Maria e l’uomo contemporaneo

Un dialogo di sguardi

Giovanni Bellini, « Madonna con il Bambino» (detta di Alzano, 1485)
29 ottobre 2020

Maria è stata una donna completa a tutti i livelli. La teologia del Novecento lo ha dimostrato, e lo sforzo in tal senso continua, in un modo insistente e organico. Ha così valorizzato molto i “titoli orizzontali” parlando di lei (creatura, donna, sorella, discepola). Si evidenziano di lei soprattutto la sua identità di donna del suo tempo, della sua collocazione geografica e culturale (si usa parlare di lei come “donna mediterranea”), soprattutto della sua condizione di «donna feriale» (cfr. C. Militello, Maria con occhi di donna. Nuovi saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo, [Milano] 2020, pp. 257-289).

Guardiamo Maria da quaggiù nella sua umanità glorificata

Forse quello che è accaduto, e qui lo si vuole mostrare in modo solo schizzato, è che l’approccio antropologico alla figura di Maria sia avvenuto nella separatezza dalla dimensione religioso-credente della sua personalità: la pienezza umana di Maria si lega ai suoi misteri, alla sua condizione di Madre messianica. Come pure, l’integrità antropologica di Maria è stata vista fenomenologicamente nei suoi comportamenti, nel suo agire, senza collegarla alla sua immacolatezza, alla sua pienezza di grazia, condizioni misteriche della sua persona che hanno fondato e caratterizzato la sua umanità.

Maria è stata e, misteriosamente, è ancora pellegrina con noi sulla via dell’esodo. Dimenticare questo aspetto equivarrebbe a perdere il senso e la misura della sua e della nostra umanità. Da quaggiù noi guardiamo Maria con occhio antropologico mirando a conoscere la completezza della sua persona, la cui umanità è salvata e glorificata: essa è, perciò, l’immagine di ciò che il Dio trinitario voleva fare dell’uomo prima che questi peccasse. Maria è inoltre la prospettiva di ciò che Dio vorrà fare dell’uomo dopo che questi è entrato nel regime di redenzione di Cristo.

L’integra umanità di Maria è l’esempio migliore della creazione nuova, alla quale anche noi partecipiamo: «In Maria e nella sua immacolata concezione appare che l’uomo, e quindi anche noi, figli di Adamo e di Eva, peccatori, siamo avvolti dalla misericordia eterna fin da principio, e perciò è manifesto che Dio non ci lascia soli» (K. Rahner, Maria. Meditazioni, Roma-Brescia 1979, p. 58).

Maria ci guarda da lassù ispirando la nostra umanità terrestre


Anzitutto la domanda: c’è nesso fra la tavolozza antropologica dei nostri giorni — nella quale dominano i grigi, i neri, i non colori — è l’antropologia mariale, ossia il discorso su quella singolare creatura umana, Maria di Nazaret, che i cristiani vedono, in trasparenza al volto di Cristo, come icona, immagine, paradigma, esempio del volto di ogni figlio e figlia di Adamo e di Eva?

La risposta è sì, ma serve un’altra domanda per procedere nel nostro tema: Maria, che in Cielo ora è la Gloriosa, entra in contatto con noi e in che modo guarda alla nostra umanità, ispirandoci come? Noi crediamo che lei ci guardi e addirittura che faccia missione con noi ponendosi dinanzi a noi come icona viva e come persona attiva in grado d’ispirarci, nella nostra vita, forme di esperienze significative per noi e per la storia che viviamo dentro l’intera carovana umana, nel cuore di una terribile policrisi che produce alcune figure di “uomo senza”: è rispetto a tre drammatici soggetti umani che si vuole, di seguito, appuntare qualche tratto delle relazioni che Maria ha con loro.

A un “uomo senza volto” Maria si mostra come «la Bellissima». È certo che la via pulchritudinis è strada magnifica per il nostro tempo dal volto sfigurato. «Oggi più che mai, in un tempo di policrisi che ha scosso la fiducia nella ragione, riappare, opportuna all’orizzonte teologico, la luce della bellezza. Si può intuire che lunga è la parabola estetica che oggi si sta lanciando in teologia: potrebbe avere l’arcatura dell’intero secolo xxi» (cfr. M. G. Masciarelli, La Bellissima.Maria sulla «via pulchritudinis» , lev, Città del Vaticano 2012, p. 8).

Maria, che non ha mai abbandonato questo mondo ma vi si è avvicinata di più salendo al Cielo, con la sua presenza non disdegna di accostare la sua bellezza al volto deturpato dell’uomo contemporaneo. La bellezza confina sempre con la bruttezza; anche la bellezza del volto di Maria, di colei che è la Madre della famiglia umana, è accanto al volto dell’uomo contemporaneo, che spesso reca segni di bruttezza e di repellenza. Maria, benché sappia che l’uomo contemporaneo si trovi in un contesto di vita che porta incise in sé le «stimmate laceranti della bellezza brutalizzata», invita a pensare che il volto umano non debba essere mai rifiutato perché esso non è mai solo brutto (cfr. S. M. Perrella, «Tota pulchra es Maria», in aavv., Il dogma dell’Immacolata Concezione di  Maria,  pp. 482-485).

A un “uomo senza cuore” Maria si mostra come «la Misericordiosa». Dall’essere Maria icona di misericordia, discendono alcuni criteri esistenziali di comportamento che hanno un loro lato di sapienza convincente anche dal punto di vista umano: il nostro tempo ha bisogno di una cura di misericordia: s’impone con urgenza che i cristiani s’impegnino a collaborare per creare un umanesimo della misericordia. La vetta da mostrare a un uomo senza cuore è la testimonianza del perdono concesso senza condizioni e limiti. Dal comportamento dei cristiani dovrà apparire chiaro che «il Cristianesimo parla essenzialmente di misericordia» (S. Kierkegaard, Gli atti dell’amore, Rusconi, Milano 1983 p. 510).

La permanenza e l’irradiazione della misericordia che Maria testimonia porta a creare una cultura del cuore di cui icona è la Pietà. Donna e madre di misericordia, Maria ispira un’antropologia d’amore e di perdono quale profezia di una civiltà della compassione e ad attivare il principio della misericordia nella vita della comunità degli uomini. Questa è un’esigenza sentita anche in campo laico: «Fra tutti gli esseri della natura solo l’uomo conosce la virtù della misericordia. La misericordia fa parte della sua eccellenza, della sua dignità, della sua unicità. [...] Solo la misericordia contrassegna il mondo umano rispetto al mondo animale, al regno della natura non umana. Nel mondo umano accade pur qualche volta che la “pietà l’è morta”. [...] Nel mondo animale la pietà non può morire perché vi è sconosciuta» (N. Bobbio, De senectute, Einaudi, Torino 2006, p. 29).

A un “uomo senza casa” Maria si mostra come «la Discepola». A un uomo senza identità, come spesso è l’uomo d’oggi, Maria si presenta con la sua persona e con la sua personalità di Discepola, la sua prima facies che non nasconde o ombra il suo Mistero, ma ne epifanizza la densità, la profondità, la latitudine e l’altezza, mentre ne evidenzia anche la imitabilità maggiore. Di fronte a un “uomo senza casa”, Maria si presenta come una donna, una che compie un pellegrinaggio di popolo, guidato da un pastore affidabile: è suo Figlio, che lei ha educato con la sua identità mite, sicura, sapientemente equilibrata, ma anche criticamente esemplare nei confronti dell’uomo contemporaneo, che è senza punti fermi, cioè “senza casa”.

L’essere Discepola, infatti, non fa debole Maria perché la rende sicura la guida di Gesù, impareggiabile Maestro-Pastore, l’unico che sa dove abita il Padre (cfr. Mt 11, 25-27), la meta della sua esistenza messianica. Donna pellegrina, sa da dove parte e dove va perché senza pari sono gli insegnamenti di questo Maestro-Pastore, il solo che ha parole di vita eterna (cfr. Gv 6, 68). Camminando dietro le spalle di questo Maestro-Pastore, Maria è una pellegrina che sa dove andare nel cammino della vita (cfr. Lc 9, 23). La sua “casa” è il suo stesso pellegrinaggio, motivato e sensato. Perciò si realizza per lei il paradosso: stare sulla strada dell’esodo equivale ad essere già nella terra promessa; camminare fuori nella strada è stare dentro nella “casa”.

di Michele Giulio Masciarelli