L’assistenza degli scalabriniani alla comunità musulmana nei quartieri poveri di Marsiglia

Una fratellanza basata sulla fiducia reciproca

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28 ottobre 2020

Quando — nell’Europa minata dalla pervasiva dissoluzione del legame sociale — il seme evangelico viene sparso a mani larghe e la compassione inizia a circolare ogni giorno fra le strade e le case delle città, chi non ce la fa più riprende vita e scopre fedeltà e dedizioni capaci di far superare privazioni e avvilimenti disperanti se portati in solitudine. Succede anche a Marsiglia, nel arrondissement, considerato il quartiere più povero d’Europa. Qui, dove vivono migliaia di immigrati di prima, seconda e terza generazione, molti dei quali di fede islamica, nel 1987 è stata fondata da suor Valeria Rubin, scalabriniana, e da alcuni laici l’associazione «Enfants d’aujourd’hui, Monde de demain» (Bambini di oggi, Mondo di domani) che offre accompagnamento e sostegno ai giovani e a chi vive nel bisogno.

Era il 1985 quando suor Valeria giunse a Marsiglia: la missione italiana fondata negli anni Cinquanta dai padri scalabriniani per assistere i migranti italiani era ormai frequentata da un numero assai esiguo di connazionali. Il quartiere era cambiato: i residenti provenivano in larga maggioranza dal Magreb ed erano loro ad aver bisogno di aiuto. Insieme ai suoi collaboratori, la missionaria decise anzitutto di dedicarsi all’educazione istituendo un servizio di doposcuola perché i ragazzi mostravano di avere gravi difficoltà negli studi e non venivano seguiti dai genitori che non di rado erano analfabeti. I primi giovani che varcarono la soglia del centro, sede dell’associazione, erano cinque. L’anno successivo più di quaranta. Ben presto si comprese che occorreva sostenere anche le famiglie di questi ragazzi: fu quindi proposto un corso di francese destinato agli adulti. Nel corso degli anni, mentre il quartiere andava popolandosi di migranti provenienti da moltissimi paesi (inclusa la Siria in tempi recenti), furono avviate nuove iniziative e si unirono a suor Valeria una consorella e un padre scalabriniano.

Oggi il centro — che può contare sulla dedizione di oltre sessanta volontari di diversa nazionalità e religione — è frequentato da decine di persone: numerose famiglie che vivono nella miseria sono accompagnate e ricevono regolarmente pacchi alimentari e abbigliamento; oltre centocinquanta bambini e ragazzi frequentano il doposcuola e completano con buoni risultati il ciclo di studi; gli scolari delle elementari si appassionano ai libri con gli “Atelier di lettura”, decine di adulti seguono i corsi di alfabetizzazione e riescono a superare gli esami per ottenere il permesso di soggiorno. Ogni settimana gruppi di giovani si riuniscono e — sotto la guida del sacerdote — riflettono insieme sui grandi temi della vita imparando a stare insieme e a sostenersi gli uni gli altri responsabilmente.

Tra i volontari che prestano servizio nel centro vi sono giovani universitari che da bambini sono stati a loro volta aiutati: lavorano con gioia, desiderosi di restituire il sostegno ricevuto. «Ne siamo particolarmente lieti», dice suor Valeria, che oggi ha 77 anni ed è animatrice dell’associazione: «Allo stesso modo siamo felici quando diversi ragazzi del nostro doposcuola, ormai adulti, ci vengono a salutare raccontando con orgoglio e soddisfazione di essere riusciti a diventare avvocati, professori, infermieri, insegnanti. Un tempo in questo quartiere i migranti italiani faticavano molto a trovare lavoro, subivano prevaricazioni e umiliazioni, erano fortemente discriminati. La situazione non è cambiata: gli stranieri patiscono ancora dolorosi avvilimenti, il tasso di disoccupazione è elevato ed è cresciuto in questo tempo di pandemia aggravando la miseria delle famiglie».

Durante il lockdown stabilito dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron lo scorso marzo, il centro è stato chiuso ma la prefettura ha chiesto all’associazione di continuare a distribuire i pacchi alimentari, unica fonte di sostegno per le famiglie più indigenti. Le attività sono riprese in settembre, con l’inizio della scuola, nel rispetto delle norme anti-contagio.

La maggior parte delle famiglie e dei giovani che vengono assistiti è di fede islamica e i rapporti sono ottimi; non vi sono mai state tensioni o sgradevoli incomprensioni. «I musulmani — sottolinea suor Valeria — frequentano volentieri il centro e ci affidano serenamente i loro figli, persino per i weekend formativi organizzati periodicamente, perché hanno compreso che saranno rispettati e sanno che noi cattolici, che non nascondiamo certo la nostra fede, ci aspettiamo di ricevere il medesimo rispetto: così nasce la fiducia reciproca e le relazioni diventano limpide e feconde. Qui cerchiamo di edificare giorno dopo giorno quella fratellanza invocata nell’importante Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato lo scorso anno da Papa Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb, Grande Imam di Al-Azhar».

Spendere la vita accompagnando e accudendo persone che sovente professano una fede diversa e sono afflitte dalla miseria — prosegue suor Valeria — «impone di andare all’essenziale della propria fede e di scegliere la povertà per essere coerenti con il Vangelo ed evitare di offrire una contro-testimonianza. Lavorando qui si comprende bene l’esistenza vissuta da Gesù con la famiglia umana e prendono realmente corpo le sue parole sul giudizio finale: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito” (Matteo, 25, 35-36)». Nel cristianesimo è così che funziona: i discepoli di Gesù camminano insieme a tutte le creature per le quali il Signore ha passione e compassione. E non si prendono cura solo “dei loro”.

di Cristina Uguccioni