Trasporti ed emergenza

L’equilibrio necessario tra residenza e servizi

Il Piano Pampus di Amsterdam
27 ottobre 2020

La riapertura delle scuole pone il problema di come riuscire a garantire il distanziamento tra i ragazzi; evidenzia però anche la difficoltà di come far raggiungere senza pericoli a studenti e insegnanti il loro istituto. Al rischio del contagio in classe si aggiunge infatti quello sul mezzo di trasporto. Confidiamo che l’emergenza sia solo momentanea, tuttavia l’esperienza vissuta ci impone di pensare alla predisposizione di misure capaci di neutralizzare, e con tempestività, un nuovo e improvviso pericolo di contagio.

Il tema che affligge i più è la sicurezza, intesa in termini generali e non solo convergenti sul Covid. Essa, in particolare nella situazione attuale, mette in luce le connessioni che, in condizioni di normalità, tenderebbero a sfuggire, proprio perché le reciproche implicazioni non sempre sono esplicite. L’emergenza rende chiaro a tutti che le soluzioni, per essere reali, devono rivolgersi a un quadro più ampio del singolo problema. Il trasporto sui mezzi pubblici non può essere ridotto alla dimensione del bus o alla frequenza delle corse. Questi aspetti tecnici sono sicuramente fondamentali e, se migliorati, porterebbero ad alleggerire il problema, però non possono costituire il solo meccanismo risolutivo. Le necessità legate all’emergenza trovano una composizione solo se l’insieme di tutti i servizi costituisce un sistema ben strutturato e, soprattutto, se è in grado di adattare alle nuove esigenze l’impianto iniziale.

L’urbanistica del «Movimento moderno», sviluppatasi in Europa tra le due guerre, aveva stabilito parametri di distanza tra la residenza e la scuola in base all’età degli studenti. Questo permetteva di distinguere, appunto in funzione dell’età, chi potesse andare a piedi, percorrendo un tragitto molto breve e privo di rischi, e chi potesse servirsi di un mezzo di trasporto, anche individuale come la bicicletta. La città era stata impostata attraverso una gradualità progressiva di spazi e quindi di distanze. Questo comportava la possibilità di misurare e, conseguentemente, dosare, in base al sorgere di esigenze non sempre stabili, le percorrenze dalla residenza ai servizi, scolastici, sanitari, amministrativi, culturali, religiosi. Da qui il principio di adottare come unità di misura i raggi di influenza, distinguendoli, per quanto riguarda la scuola, per tipi e gradi.

I modelli dell’urbanistica “moderna”, anche se nessuno è stato completamente portato a termine, sono sostanzialmente due: quello per nuclei, che si ripetono, con caratteristiche e dimensioni simili, dopo aver raggiunto un predeterminato equilibrio, che ha guidato, a partire dal secondo dopoguerra, una parte abbastanza consistente delle new town inglesi; quello lineare, affidato alla spina dorsale di un percorso attrezzato che contiene, oltre ai mezzi di trasporto, tutti i servizi urbani. Per questa soluzione, l’esempio di maggior rilievo è rappresentato dal «Piano Pampus» ad Amsterdam, progettato da Van den Broek e Bakema nel 1964-65. L’importanza di questa impostazione, a mio avviso più evoluta rispetto alla moltiplicazione dei nuclei equilibrati, è costituita dall’assenza di discontinuità e dall’intenzione di tenere sempre attive le connessioni con il centro storico della città. Rimane quindi costantemente aperta quella possibilità, prioritaria oggi, di inserire in un unico sistema organizzato, se non addirittura organico, il centro antico e la periferia, dove, maggiormente, si deve intervenire per generare quella condizione di vivibilità, capace di superare anche l’emergenza, che, al contrario, i centri storici quasi naturalmente possiedono.

Partendo da questi principi dobbiamo ricercare le soluzioni più idonee per comporre l’equilibrio complessivo tra residenza e servizi che, come costatiamo ogni giorno, in molte parti della città, è stato sopraffatto dal caos. Nelle periferie il recupero è particolarmente impegnativo, proprio perché nella maggior parte dei casi hanno subito uno sviluppo alquanto disordinato e, cosa determinante, costituiscono le aree urbane più densamente abitate. Per questa ragione non possono non essere tenute in primo piano in ogni programma di risanamento urbano.

Il tema delle periferie ha la possibilità di combinarsi con quello del recupero e del ripopolamento dei borghi storici abbandonati. I due problemi individuano pesi urbani molto diversi: il secondo inquadra infatti un aspetto di entità minore, quasi marginale, ma sicuramente utile per il miglioramento della generale condizione ambientale. Comporta, oltre al restauro di un patrimonio, spesso di qualità, che tende progressivamente a perdersi, un naturale alleggerimento delle necessità strutturali e complementari dei servizi che, proprio perché si rivolgono a un’utenza meno numerosa, possono essere risolti con sussidi e interventi più semplici. Facendo riferimento anche in questo caso alla scuola, il collegamento con gli istituti, almeno quelli dell’obbligo, meno affollati di quelli delle periferie, sarebbe facilitato e la raccolta degli studenti potrebbero avvenire con pulmini-navetta, controllabili dal punto di vista del distanziamento.

L’auspicabile alleggerimento del carico abitativo nelle periferie potrebbe favorire pertanto il recupero di alcuni dei principi della “città razionale”, attualmente alquanto compromessi. Riprendendo le esperienze già descritte, si potrebbe mirare a delineare comparti autosufficienti dal punto di vista della dotazione dei servizi, oppure impiantare sulle vie radiali mezzi di trasporto su ferro, utili per contenere l’inquinamento e far convergere lungo il loro percorso quelle dotazioni che, al momento, insistono soprattutto sulle aree centrali. Sostenuti dai pericoli legati all’emergenza, si potrebbe rivolgere quindi l’impegno a recuperare, anche se parzialmente, i modelli di un ambiente urbano più ordinato, capace di supportare meglio il disagio.

Inquadrato all’interno delle ricadute funzionali, che l’emergenza Covid rende particolarmente drammatiche, il problema dei trasporti non può essere pertanto ricondotto a una soluzione tecnica e circoscritta. Come abbiamo visto, esso si proietta sull’organizzazione della città e coinvolge l’insieme dei servizi e il rapporto tra centro e periferia. Le soluzioni possibili vanno pertanto rintracciate nell’equilibrio, calibrato all’interno delle parti urbane e dell’organizzazione complessiva della città, rincorrendo la condizione più efficace per contenere il consumo delle risorse energetiche e tutelare il patrimonio ambientale, sociale e culturale. Inutile ricordare la necessità di favorire, il più possibile, ciò che è sostenibile in termini di inquinamento e di occupazione del suolo, ma anche quanto può essere proposto e risolto per contenere l’affollamento sui mezzi pubblici. Sembra di ripetere concetti ormai del tutto noti e apparentemente acquisiti – favorire il trasporto verde e tornare a pensare ai modelli della “città razionale” –, tuttavia il permanere di modestissime azioni convinte e decise e, soprattutto, l’assenza di risultati concreti impone di ricordare che la politica del territorio non può distrarsi rispetto a questi principi. Gli stessi possono essere superati e sostituiti da altri, purché capaci di assorbire i mutamenti della città contemporanea ed essere conseguenti a un’idea di progetto e di programmazione, non alla casualità degli interessi, quasi sempre solo privati, dei singoli investitori.

di Mario Panizza