«Il vangelo secondo Tex Willer»

Credente a modo suo

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27 ottobre 2020

Ci risiamo. Sono passati appena due anni dalle celebrazioni del 70° compleanno del ranger più famoso del fumetto italiano — quel Tex Willer amico degli indiani, convinto antischiavista e, soprattutto, con un’allergia cronica verso ogni forma di ingiustizia alla quale pone fine a colpi di pistola eliminando il cattivo di turno — ed ecco che gli viene dedicato un altro libro. E stavolta non si tratta di uno studio antropologico o sociologico, ma si punta ben più in alto. Il titolo scelto dai due temerari autori, Brunetto Salvarani e Odoardo Semellini, Il vangelo secondo Tex Willer (Torino, Claudiana, 2020, pagine 214, euro 18,50), lascia pochi dubbi, anche se si resta perplessi dinanzi a quello che a un primo impatto appare come un azzardo. Perché si pensa subito che la massima biblica più amata e praticata da Tex è «occhio per occhio, dente per dente», mica «porgi l’altra guancia». Poi ci si rende conto che la “v” di vangelo è minuscola e che Salvarani è un teologo. E allora s’inizia a leggere più rilassati, con un certo interesse. E mano a mano che si procede, si coglie il genuino impegno degli autori alla ricerca di tracce del sacro nelle storie del nostro senza mai forzare la lettura, ma offrendo insospettabili chiavi interpretative.

Come già evidenziato in altre opere dedicate al ranger, anche qui si sottolineano i cardini attorno ai quali ruotano le avventure di Tex e dei suoi pards, ovvero lealtà, libertà, oppressione, violenza e linguaggio, grazie ai quali — scrivono Salvarani e Semellini — il «protagonista è destinato a diventare, nell’arco di una manciata di decenni, non solo un personaggio ben riconoscibile nella cultura pop tricolore, ma anche l’eroe di una delle più rilevanti saghe contemporanee (e certo fra le più longeve)». Ma se queste caratteristiche sono ben note, finora nessuno aveva osato andare oltre con un’operazione simile. «E dire — si stupiscono gli autori — che c’è spazio, nelle sue avventure, persino per i labirinti del mistero e della magia, di fronte ai quali egli non arretra di un passo, a dispetto dei poteri occulti del tremendo Mefisto, o del suo degno erede, il figlio Yama, ad esempio».

In una vicenda ambientata nella giungla panamense, un ufficiale dei marine, che aveva sentito Tex parlottare col figlio Kit, commenta: «Però, non mi ero accorto di avere un filosofo a bordo». Tuttavia il comandante ci tiene ad aggiungere: «Sì, un filosofo, ma con la colt». Ma una precisazione doverosa la fanno subito anche Salvarani e Semellini, chiarendo che da parte loro «non ci sarà di certo l’intenzione di trasformare paradossalmente il nostro Tex in un teologo con la colt… ma piuttosto di cogliere quanto e come il “Fattore r” (come religione) si sia potuto insinuare, insospettabilmente, anche nelle pagine di un fumetto così apparentemente distante da discorsi del genere».

Inizia così un affascinante viaggio nelle storie di questa sorta di «angelo vendicatore» nelle quali gli autori individuano molte tracce del Fattore r, celate dietro insospettabili personaggi così come in ambientazioni talora incredibili. Ma Salvarani e Semellini parlano, inevitabilmente, anche dell’ateismo dei creatori di Tex, Sergio Bonelli e Aurelio Galeppini (in arte Galep) ragionando se ciò abbia influenzato il loro personaggio. E raccontano, inoltre, di come negli anni sia stato giudicato il fumetto di Tex all’interno del mondo cattolico, in un percorso che va dall’esclusione al riconoscimento; un riconoscimento che, sottolineano, è passato di recente anche dalle pagine di questo giornale.

Ma, tornando al tema centrale, anche altre indicazioni generali appaiono importanti per inquadrare l’eventuale religiosità di Willer. «Uno dei punti di forza e di fascino dell’eroe di Bonelli e Galeppini — scrive Paolo Naso nell’introduzione — è la visione manichea di un’umanità in cui i cattivi sono davvero cattivi, così intrinsecamente malvagi da non poter immaginare per loro nessun percorso di redenzione». Inoltre Tex ama poco la giustizia divina invocata talvolta da qualcuno scandalizzato dai suoi modi violenti. «Generalmente — risponde — la giustizia di cui parlate arriva sempre troppo tardi. Sempre troppo tardi per punire i mascalzoni e proteggere la povera gente». E talvolta non gli va a genio neppure quella umana, visto che ne ignora le leggi quando le reputa inadeguate.

Il nostro ranger non appartiene ad alcuna Chiesa, ma non si dichiara mai né ateo né agnostico. Ricorda che da piccolo «frequentava la chiesa», ammettendo di non essere più religioso. Chi conosce le sue storie, sa anche che gli indiani Navajo lo chiamano Aquila della Notte e lo riconoscono come loro capo. Questa vicinanza alle tradizioni dei nativi fa sì che Tex sia più spirituale che religioso, con un suo «personale rapporto con il sacro che non si esprime in un’appartenenza formale ma si concretizza nel rapporto col la natura, la trascendenza, il mistero della vita e della morte», spiega Naso, aggiungendo che lo si potrebbe definire un unchurced, traducibile con “schiesato”, ovvero «un credente a modo suo che mal tollera liturgie e preghiere, candele e inni, prediche e devozioni. Cresciuto nello spirito libero del protestantesimo della frontiera, porta dentro di sé la radice puritana della libertà e del rigore, il senso profondo di una vocazione che diventa missione di vita. E vi sono pochi dubbi che sia quella alla giustizia, al sostegno dei truffati e delle vittime di ogni prepotenza». Inconsapevolmente Willer è il paladino di «un vangelo duro, energico, di una giustizia retributiva per cui raccogli in proporzione e in relazione a quello che hai seminato».

Ma, come dice Antonio Staglianò nella postfazione, «qui “vangelo” è una sorta di metafora: una parola che funziona simbolicamente per concentrare in sé qualcosa di bello, una buona notizia», secondo la quale «il bene vince sempre e la vittoria contro qualunque male è nella disponibilità di Willer». E aggiunge che «una “lettura religiosa” non è immediatamente una “lettura teologica”», ma che tuttavia non si può dimenticare che «il religioso apre al trascendente», «dischiude un’ipotesi di Dio».

Le appassionate conclusioni di Staglianò, che seguono questa linea di pensiero, le lasciamo alla lettura di quanti, appassionati di Tex, avranno voglia di confrontarsi con questo tema così particolare, lasciandosi catturare dalle riflessioni di Salvarani e Semellini. I quali, volando più basso, legano questo loro viaggio a «una passione alla lunga inspiegabile, irrazionale e dunque invincibile. Perché — rivelano — di un Tex Willer, alla fine, abbiamo proprio bisogno. Ecco perché continuiamo a fare il tifo per lui con il fiato sospeso, pur sapendo bene che è destinato invariabilmente a prevalere, in un modo o nell’altro, sul malvagio di turno: nella malcelata speranza che anche nel mondo reale, quello che siamo costretti a frequentare, almeno qualche volta, succeda finalmente lo stesso».

di Gaetano Vallini