"Quel tipo di donna" di Valeria Parrella

Come se fosse normale

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27 ottobre 2020

Ci sono tante cose nell'ultimo romanzo di Valeria Parrella, scrittrice e attivista che ha firmato libri meravigliosi come "Tempo di amare" e "Almarina". C’è il dolore che non puoi cancellare, ma solo abitare, trovando così l’unico modo per farci i conti; c’è l’autentico e misterioso significato della forza (che «non è essere forti, ma capire quando non puoi esserlo»); c’è la potenza rinfrancante dell’amicizia vera, e dell’emancipazione quando non rimane superficie; c’è il significato - così snaturato oggi - dell’essere testimoni narratori («ci sono dei momenti in cui se ci sei vedi e puoi raccontare, e se non ci sei la Storia te la raccontano come vogliono loro»); c’è la preghiera dei non preganti («però vedi, si prega. Questo nostro stupore è preghiera»); c’è la saggezza materna e simbolica di Luisa Muraro; e c’è il valore del viaggio, che non è tanto vedere e immagazzinare, quanto vivere e spartire. Su tutto, però, in "Quel tipo di donna" (HarperCollins 2020) - racconto di quattro amiche, strette attorno a una perdita atroce (la morte della figlia di una di loro), partite da Napoli su una vecchia Mercedes bianca alla volta della Turchia - c’è la consacrazione della comunità. Perché da soli non si va da nessuna parte, e quel viaggio alla riscoperta di noi è possibile unicamente perché ci sono le altre e gli altri, uniti a noi da quella tela che si chiama vita. «Alla fine funzionò così: che ognuna dovette lasciare qualcosa a qualcuno, chiedere un favore a qualcuno, per partire in agosto per la Turchia come se fosse normale». È solo la comunità a fare il miracolo di rendere normale ciò che normale non è - il dolore atroce, la gioia senza confini, un quotidiano in salita tra mura scrostate e senza ascensore.

di Giulia Galeotti