Dio nella riflessione di Giancarlo Gaeta

Nascosto, ma solo per farsi cercare

Giuliano Vangi, «Giobbe» (2002)
26 ottobre 2020

Il celebre aforisma «Dio si nasconde nei dettagli» nel quale risuona il versetto di Isaia «Tu sei davvero un Dio nascosto» potrebbe essere tradotto in termini di storia della riflessione teologica con la constatazione della crisi definitiva della scolastica e della sua ambizione di sistematizzazione razionale dell’intero Creato. Lo conferma in questi giorni il bellissimo libro Il tempo della Fine, Prossimità e distanza della figura di Gesù di Giancarlo Gaeta, edito da Quodlibet.

Il volume, molto agile appena 120 pagine, raccoglie i testi rivisti di otto relazioni tenute dall’autore nel 1998 e poi tra il 2011 e il 2018 in occasione della Settimane Alfonsiane a Palermo. Sette interventi sono dedicati a interpretazioni ricche di stimoli di versetti evangelici, l’ultimo, posto in appendice, è una breve biografia intellettuale di Michel de Certeau, pensatore gesuita vissuto a cavallo della metà del secolo scorso. Proprio l’analisi, datata 2018, della riflessione sviluppata da de Certeau anche e forse soprattutto in relazione al Sessantotto, illumina di una luce particolare gli scritti precedenti stimolando il lettore a ricercare i dettagli piuttosto che la sistematicità di quanto in essi contenuto.

Gaeta ha studiato a lungo e in profondità la formazione non priva di incertezze e contrasti del pensiero religioso del cristianesimo dei primi secoli, prima della codificazione imposta dai primi concili. Ha tentato di schematizzare quanto accadde individuando personaggi, tra di essi giganteggia san Paolo, e testi principali, evidenziando le differenze anche profonde che si trovano nelle redazioni evangeliche persino in relazione a elementi fondativi, quali l’istituzione dell’eucaristia. Si è spinto anche oltre, leggendo nei testi una figura di Gesù più conflittuale con la società che lo circonda di quanto l’esegesi contemporanea non sembri convinta.

Ma proprio l’accoglienza nel canone evangelico di narrazioni così diverse da parte dei padri conciliari efesini ci conferma nella convinzione che le cose dello spirito non siano riconducibili a un sistema chiuso ma facciano piuttosto parte di un dialogo fra ogni uomo e ogni donna e Dio, capace di parlare a tutti in modo personale e comprensibile, all’interno di un rapporto di amore inestinguibile.

E in questa ottica le notazioni di Gaeta, che in chiusura dell’ultimo saggio dedicato all’esegesi evangelica scrive «resta solo, se resta, la fede nell’Agnello sgozzato», divengono preziose, squarci di luce che illuminano aspetti importantissimi, ma nascosti, della riflessione personale, della ricerca di Dio, che costituisce parte integrante della preghiera.

La loro abbondanza costringe a fare una scelta affidata al gusto e al tratto di cammino della vita che il lettore sta percorrendo. Segnalo l’individuazione della crisi nella quale precipitano i discepoli al momento della crocifissione «che impose loro un difficile processo di ricomprensione della figura di Gesù, che dura tutt’ora».

Dove la consapevolezza di uno sconcerto comune si mescola con quella della determinazione che lo Spirito sa infondere in un gruppo di persone sfiduciate che avevano abbandonato il maestro dandosi alla fuga nella notte.

In un altro passo, a commento del versetto «lascia i morti seppellire i loro morti», Gaeta sostiene che «l’etica di Gesù è l’etica dell’attesa, incompatibile con l’etica moderna del progresso o con l’etica dei valori», intendendo che il messaggio evangelico è di radicalità assoluta. Subito è costretto a contraddirsi, considerando che in altri passi evangelici Gesù sostiene famiglia, genitori anziani, cura dei bambini, rispetto assoluto del matrimonio.

Più oltre nel testo si trovano notazioni sui «tratti veramente inquietanti della personalità religiosa di Gesù», conclusioni secche quali «la logica istituzionale si è imposta nella Chiesa come pressoché esclusiva» o intuizioni del tipo «il tempo della fine è giunto e dunque a propriamente parlarne non c’è sviluppo storico, bensì ricapitolazione di tutta la storia».

Proprio qui si trova con ogni probabilità la motivazione del titolo del libro, che ritroviamo anche nell’ultimo saggio della raccolta, cronologicamente più antico ma collocato in posizione conclusiva e quindi privilegiata.

L’autore ripresenta infatti più volte, come in una sorta di basso continuo, la convinzione che la distinzione tra mondo e aldilà sia meno netta di quanto possa apparire.

L’evento escatologico finale non pone fine al mondo ma al «potere del demonio su di esso». La presentazione più chiara del concetto è collegata a quella che viene definita «a magnifica intuizione di Matteo 25»: «Il giudizio universale si compie ora, giorno dopo giorno, atto dopo atto, lungo l’estensione di questo tempo».

di Sergio Valzania