PUNTI DI RESISTENZA • La storia di Rosario

Quelle icone scartate

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24 ottobre 2020

Era il 1994 e Rosario Sollazzo aveva fatto per quattordici anni il cameriere. Il lavoro in sé non gli dispiaceva, ma era evidente che non poteva garantirgli stabilità. Almeno non nel suo territorio, il metapontino (tratto di costa lucana compreso tra Puglia e Calabria) dove un simile lavoro non poteva che essere stagionale. Decise così di cambiare, pur senza avere, in quel momento, il cosiddetto “piano B”.

E non immaginava certo che avrebbe trovato risposte al problema lavorativo quando aderì a un percorso di discernimento in una comunità spirituale a Roma, la Comunità delle Beatitudini.

Le giornate erano scandite. Momenti di preghiera, di formazione, di lavoro. Per quest’ultimo i compiti tra i partecipanti erano divisi: a lui e a pochi altri toccò in sorte di andare in falegnameria, dove si producevano, tra le altre cose, le icone sacre. L’ultimo giorno il frate responsabile della falegnameria gli assegnò il non invidiabile compito di smaltire tra i rifiuti una cassetta di icone imperfette, quelle che non potevano essere messe sul mercato.

Dall’imperfezione e dallo scarto tutto cominciò. «Anziché gettarle, potrei portarle con me?». Quella richiesta cambiò il destino di quelle icone e in un certo senso anche il suo.

Tornò con quelle icone a Valsinni, il suo paese in provincia di Matera. Lì si recò dal falegname, chiese di imparare meglio e richiese pezzi di legno per poterne realizzare altre. Cominciò a perfezionarsi, come fosse un hobby, mentre cominciava a donare agli amici i primi prodotti del suo lavoro.

Da lì, imprevedibilmente, prese il via una dinamica nuova e inattesa, perché quei doni iniziarono a diventare richiesta: c’erano gli amici che chiedevano di poterne fare molte come bomboniere, chi iniziava a ipotizzarle come un regalo.

Rosario cominciò a intravvedere allora, senza averlo cercato troppo, una strada concreta. Ne nacque, da subito, quello che chiamava “negozio”, ma che era in verità non più che un deposito. Il luogo di lavoro, quello effettivo, divennero le bancarelle delle feste patronali di paese, dove cominciò a posizionarsi con sempre più frequenza. E dove, con sempre più frequenza, arrivavano clienti, spesso con richieste affini, sempre legate all’oggettistica religiosa, ma diverse da quelle che poteva al momento esaudire: chiedevano rosari, statue, e dopo le celebrazioni arrivavano i sacerdoti a chiedere ostie, quadri, libri.

Intuì che c’era una domanda, uno “spazio di mercato”: il “piano B”, che appunto non era un piano, assumeva una sempre più chiara fisionomia. Quel “ deposito” divenne negozio proprio mentre quello slancio (tra il 1994 e il 2001) incrociava i tempi della globalizzazione e del web. Ne nacquero un sito web di e-commerce e un catalogo (42 mila diffusi in tutta Italia) per lanciare i propri prodotti anche all’estero.

«Non c’è stata una progettualità — racconta oggi — non ero imprenditore, non c’erano un’esperienza pregressa o una visione: è stata un’avventura fiduciosa. Abbiamo fatto tutto senza un potere economico ma con grande libertà di investimento, perché abbiamo sperimentato l’accompagnamento della mano di Dio in cui cominciavamo ad avere sempre più fiducia».

Quel deposito, come detto, divenne un più ampio negozio, e oggi anche quel più ampio negozio è divenuto insufficiente per il flusso di commercio che si è sviluppato.

E così, pochi giorni prima del lockdown per il coronavirus, il vescovo della Diocesi di Tursi-Lagonegro, monsignor Vincenzo Orofino, ha voluto essere presente di persona all’inaugurazione dei nuovi locali, frutto di una storia imprenditoriale mossa e sostenuta dalla fede.

È stata una vera e propria festa di comunità: con i tanti amici del Rinnovamento nello Spirito (di cui Rosario è stato responsabile regionale e consigliere nazionale) a fare festa con lui.

Maranathà Arredi sacri oggi è una realtà capace di offrire lavoro tra il punto vendita e il laboratorio tessile che produce paramenti, camici, casule, stole e molto altro. Tramite il sito web i prodotti di Policoro arrivano poi in tutto il mondo. L’accompagnamento ricevuto è divenuto gratitudine e poi gratuità. Rosario, assieme ad altri amici, ha rilevato e gestisce senza fini lucro la scuola paritaria don Vincenzo Grossi, da quando le suore Figlie dell’oratorio, che avevano garantito quarant’anni di vita all’Istituto, avevano deciso di chiudere per l’impossibilità di proseguire l’opera educativa.

Quello su cui Rosario ha insistito è un territorio in cui per molti risulta inimmaginabile anche solo ipotizzare un’iniziativa imprenditoriale che esuli dal turismo (peraltro quasi solo stagionale) e dall’agricoltura. È un messaggio che vuole dare ai giovani della sua terra, la Basilicata. Non con lo spocchia dell’imprenditore che ce l’ha fatta, ma con la gratitudine di chi ha visto fiorire un frutto imprevisto.

Anche perché, come spesso dice, «ho agito fuori dalle logiche del calcolo». Ci sono luoghi e tempi in cui esistere — e insistere — è già un resistere. Da storie come questa, si dovrà, presto o tardi, ripartire.

di Giuseppe Suriano