L’esperienza di oltre 50 anni di sacerdozio in Asia di Richard William Timm, Felix Eckerman e Gaston Roberge

Quando la missione è il dono più grande

Richard William Timm con suor Merry Lillian
14 ottobre 2020

La missione è il dono della vita. La vita di un missionario non è un esercizio a tempo limitato, un lavoro part-time o una professione da espletare con onestà e competenza. È molto di più. È offerta, senza se e senza ma, della propria esistenza, rimessa nella mani di Dio che si fa presente e invia ogni battezzato — «Eccomi, manda me», dice il tema della Giornata missionaria mondiale 2020, con le parole del profeta Isaia — a vivere e annunciare il Vangelo anche in paesi remoti o tra genti sconosciute. Ma quando quella chiamata arriva e viene accolta, la risposta non può che essere totale e gratuita. È questa l’esperienza di tre figure di missionari che, scomparsi di recente, hanno in comune l’aver speso oltre cinquant’anni della loro esistenza — la maggior parte della loro vita — in missione in Asia, donandosi senza riserve e immergendosi pienamente nei contesti culturali dove hanno vissuto, perché il Vangelo potesse fiorire e farsi carne, in tante forme e modalità, in quelle terre. Ognuno di loro, come dice san Paolo, si è fatto «debole con i deboli, per guadagnare i deboli», si è fatto «tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno». Richard William Timm (1923-2020), religioso della Congregazione della Santa Croce, Felix Eckerman, sacerdote verbita (1920-2020), e il gesuita  Gaston Roberge (1935-2020) hanno in comune la longevità della vita missionaria nel subcontinente indiano, ma testimoniano anche la specificità e la molteplicità dei carismi che Dio dona per diffondere il suo messaggio di amore, misericordia e salvezza.

La vita del prete cattolico statunitense Richard William Timm in Bangladesh è considerata leggendaria: Timm è stato un missionario poliedrico, fine educatore e competente scienziato, umile predicatore del Vangelo e attivo promotore della dignità umana. Deceduto all’età di 97 anni, sessantasei dei quali trascorsi in missione nel Bengala, sarà ricordato per sempre «per il suo contributo coraggioso e profetico», dicono i suoi confratelli, definendolo «un pilastro dell’evangelizzazione» nel Paese. Timm è stato alla guida del Notre Dame College della capitale Dacca, accompagnando centinaia di giovani bangladesi nel percorso di crescita umana, spirituale e culturale. Per il suo straordinario contributo educativo, un edificio di sei piani del collegio gli è stato intitolato nel 2015. Tra le varie attività di insegnante, intellettuale, assistente sociale, oratore, scrittore, promotore di progetti di sviluppo sociale delle popolazioni tribali, si è distinto per uno specifico studio e interesse, quello nella scienza e nella biologia, per cui ha condotto ricerche nel campo della zoologia, studiando i cosiddetti nematodi (i vermi parassiti delle piante) con lo scopo di migliorare l’agricoltura locale, e ha guidato diverse spedizioni scientifiche in Asia meridionale. Ma al di là di questo curioso interesse —  sempre funzionale a migliorare la vita dei contadini più poveri — «soprattutto è stato una grande anima», dicono i fedeli locali, ricordandone il contribuito a organizzare e fondare  la Caritas Bangladesh e ad animare la Commissione giustizia e pace, in seno alla Conferenza episcopale.

Anche padre Felix Eckerman, missionario della Società del Verbo Divino, era nativo degli Stati Uniti, ma il suo cuore, la sua mente, le sue energie migliori le ha spese in India dove ha trascorso, in un’opera missionaria sempre felice e intrisa di speranza, oltre cinquant’anni di vita, come insegnante al seminario e instancabile promotore del dialogo interreligioso. L’esperienza terrena del centenario sacerdote si è conclusa in America, ma il religioso amava ricordare di sentirsi “cittadino d’adozione” in quel Paese dove era arrivato da giovane sacerdote nel 1948, all’indomani dell’indipendenza dell’India dall’impero britannico. Catapultato a vivere e ad annunciare il Vangelo in un remoto villaggio tribale nella diocesi di Indore, nello stato di Madhya Pradesh, il verbita ben presto era divenuto un punto di riferimento per la comunità locale, intessendo proficue relazioni con i leader indù e le autorità civili. La benevolenza guadagnata gli valse la possibilità di vedere rinnovato il suo visto di permanenza nel Paese anche se il governo indiano limitava l’arrivo di nuovi missionari stranieri o non concedeva il rinnovo dei permessi a quelli già residenti.

Trasferito a Pune, in Maharashtra, lì è rimasto come docente al seminario locale per oltre trent’anni, «facendosi apprezzare per la sua arguzia, fascino, saggezza e presenza bonaria», raccontano nostalgici i fedeli locali, definendolo «un eccezionale insegnante e un sant’uomo». E l’istituto di Pune, che in sessant’anni di vita ha accompagnato nella fede e nella crescita dello spirito missionario oltre settecento allievi, ne ricorda il contributo cruciale per formare gli oltre duecento giovani missionari che, dopo la formazione tra quelle mura, sono stati inviati a evangelizzare in oltre quaranta nazioni del mondo. Il segreto, amava dire padre Felix, era tutto nel motto prescelto da quel seminario: «Guidati dallo Spirito». Ogni battezzato, se si lascia plasmare e guidare dallo Spirito santo, potrà vivere pienamente il dono della sua missione evangelizzatrice nel mondo: è la lezione che padre Eckerman ha lasciato ai suoi.

Lo stesso ardore missionario animava padre Gaston Roberge, gesuita canadese che aveva trovato una via tutta speciale per declinare l’annuncio e la testimonianza del Vangelo di salvezza nella cultura contemporanea: quella del cinema. L’esplosione e il rapido sviluppo della “Bollywood” indiana, l’industria cinematografica del subcontinente che tanto ha influenzato la cultura popolare, lo aveva colpito fin dai primi anni di missione, negli anni ’60 del secolo scorso. E così, dopo un decennio dedicato a studi che coniugavano teologia e comunicazione, cinema e missione (con un master all’Università della California), il gesuita fonda a Calcutta nel 1970 «Chitrabani» (ovvero “immagine e parola”), il più antico istituto di formazione multimediale dell’India orientale, avviato come estensione del St. Xavier’s College. Da allora l’attività di regista, sceneggiatore, scrittore e produttore è stata instancabile. Nel suo studio, ricordano i suoi più stretti collaboratori, campeggiavano, accanto al crocifisso, le immagini di Satyajit Ray, sceneggiatore e critico cinematografico, e di Bimal Roy, uno dei più famosi registi indiani di tutti i tempi. Era il modo per esprimere il suo desiderio: far entrare il Vangelo a Bollywood, non lasciare che il messaggio di Cristo fosse alieno nel mondo della pellicola che tanta parte avrà nell’influenzare la cultura dell’India moderna.

Nella sua opera educativa, Roberge praticava un vero apprendistato sul campo: non tanto con insegnanti e studenti, quanto con registi e apprendisti-praticanti. Animato dalla consapevolezza che il Vangelo potesse mettere radici nella società del subcontinente, il missionario si era poi dedicato totalmente all’attività culturale e accademica, contribuendo a diversi università e centri studi, anche non cristiani, con docenze su cinema e mass-media. Era un’attività che lo ha assorbito completamente. Ma se doveva rispondere alla domanda sul momento più prezioso dei suoi oltre cinquant’anni di missione, diceva senza esitazione: l’incontro, lo scambio di idee e la condivisione con Madre Teresa, l’umile suora che a Calcutta si spendeva per salvare i derelitti. Identica missione di carità in due strade diverse, stesso amore per il Vangelo di Cristo e la salvezza degli uomini.

di Paolo Affatato