A Bologna la beatificazione don Olinto Marella

Padre dei poveri e degli orfani

Un’immagine della beatificazione presieduta  dal cardinale Zuppi
06 ottobre 2020

Padre Olinto Marella si legò ai poveri e «affrancò tanti ragazzi dalla schiavitù della povertà e della fame, sorelle della “pandemia” della guerra, e che è inutile e impossibile distinguere tra loro». Così il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha ricordato il sacerdote veneto (1882-1969) durante la cerimonia di  beatificazione presieduta —  in rappresentanza di Papa Francesco — domenica pomeriggio, 4 ottobre, nella piazza Maggiore della città felsinea.

Padre Marella, ha spiegato il porporato, «voleva che nessuno rimanesse nell’inferno dell’abbandono e della disperazione e ai tanti orfani non donava soltanto un tetto, ma una famiglia e un futuro». Gli orfani, ha aggiunto, «sono nostri e la sua paternità ci invita ad adottare noi chi è senza protezione», in particolare in questi tempi in cui «ci confrontiamo con la pandemia e con le tante sofferenze fisiche e psichiche che provoca».

Proprio in questo tempo di crisi padre Marella insegna «a non abituarci mai al male e a cercare risposte concrete e per tutti».  Papa Francesco ha più volte ricordato che «siamo sulla stessa barca». Perciò è necessario che «nessuno sia lasciato fuori da questa, perché vorrebbe dire abbandonarlo in mezzo alle onde di tempeste terribili». Solo insieme si può uscirne, ha fatto notare l’arcivescovo di Bologna; e, ha aggiunto,  «non vogliamo che nessuno sia lasciato solo o indietro».

Non c’è tempo da perdere «in discussioni inutili, calcoli di convenienze da cercare o orgogli personali da difendere: è troppo serio il momento per sciuparlo in meschini interessi individuali». Del resto, ha ricordato, padre Marella non perse tempo  e dopo «la “pandemia” della guerra coinvolse tanti, direi quanti più poteva, tutti nel solidum dell’elemosina, mettendosi nel cuore della città, aiutando i bolognesi a capire la loro stessa città e a trovare il cuore».

Egli, ha aggiunto, ha avuto “intelletto d’amore”, cioè «una carità intelligente e creativa». Ogni cristiano «è chiamato a essere buono: non compiaciuto di sé e approssimativo, ma padre dei poveri che gli appartengono perché presenza reale di Cristo». E l’elemosina è «il primo modo per insegnare alla nostra società, governata dalla legge del mercato e dall’impietoso meccanismo di dare e avere, come liberarsi dal calcolo e dalle convenienze, per cui faccio una cosa solo se ne ricevo un vantaggio, se ho contropartite». L’elemosina, infatti,  non attende «rendicontazione né risultato immediato, neanche la gratitudine». Oltretutto, ha  rimarcato, «chiedere l’elemosina è umiliante, si è sottoposti agli sguardi di tutti, non di rado anche a qualche giudizio sprezzante. Si è costretti a stare per ore all’aperto, a volte al freddo».

Padre Marella, ha detto ancora il cardinale, «prendeva il posto dei poveri per potere dare loro futuro». Diceva: «Non mi interessa il passato dei miei ragazzi, mi interessa il loro futuro». Egli diede vita alla Città dei ragazzi perché essi «vivessero da uomini nella città e questa fosse a misura dei più deboli». Dava responsabilità ai suoi giovani, perché «come ogni padre desiderava il meglio per i suoi figli e non si dava pace finché non iniziavano a camminare da soli, consapevole che in ognuno c’era un dono, “secondo la grazia data”».  Padre Marella «desiderava uomini liberi perché Dio cresce nella coscienza, non la teme, anzi la nutre, la difende». Ai suoi alunni amava dire: «Quando pensate di aver capito tutto, avrete capito poco, perché l’intelligenza non è altro che un fiammifero acceso in un mare di tenebre, non ne illumina che una piccola parte. Tutto il resto è buio, tutto il resto è mistero, tutto il resto è Dio». Oggi, ha proseguito l’arcivescovo,  «ci sentiamo più uniti e più determinati a riempire e a porgere noi quel cappello di condivisione e di solidarietà per rispondere alle sofferte domande degli uomini». Da qui l’invito a farsi «umili mendicanti, come peraltro siamo, per preparare il futuro per altri e dare il nostro cuore in elemosina. L’umiltà attrae e rende davvero grandi».

Il cardinale Zuppi ha poi rivolto una preghiera a padre Marella, chiedendogli di aiutare tutti  a essere «i santi della porta accanto», a cercare «il perdono di cui abbiamo bisogno umiliandoci nella carità, possibile a tutti», rendendo i poveri «nostri fratelli, per trovare la beatitudine che non si compra e non si possiede perché si regala e si riceve». Infine, un’ulteriore invocazione al nuovo beato, perché insegni «ad amare nostra madre Chiesa, con intelligenza e umiltà», e la renda una famiglia in cui «tutti sono fratelli», una «casa per gli orfani, dove tutti sperimentino la misericordia, sentano sulla loro fragilità lo sguardo innamorato di Dio e degli uomini». La carità, ha concluso, è «la nostra gioia, perché non finisce, tutto crede, tutto spera e tutto sopporta».