Atlante - Cronache di un mondo globalizzato

New York rende omaggio alla madre dei migranti

The Mother Cabrini statue is seen after the unveiling in the Manhattan borough of New York City, New ...
16 ottobre 2020

Un tributo alla madre dei migranti. La copertina di questo numero di «Atlante» è dedicata all’inaugurazione a New York di una statua che ritrae santa Francesca Saverio Cabrini insieme ad alcuni migranti. La scultura, svelata dal governatore Andrew  Cuomo in occasione del Columbus Day, è stata eretta a Battery Park, da dove è possibile scorgere sia la Statua della Libertà che Ellis Island, luogo di approdo di quei migranti ai quali madre Cabrini ha dedicato la sua esistenza.  Il memoriale in onore della religiosa italo-americana — dichiarata santa nel 1946, la prima americana, e nel 1950 patrona degli emigranti —  comprende anche un mosaico composto da pietre provenienti da Sant’Angelo Lodigiano, suo luogo natale. La storia della santa con la valigia, missionaria fra gli emigrati italiani negli Stati Uniti fra ‘800 e ‘900, ci riporta al dramma attuale di tanti uomini e donne costretti a lasciare la loro terra, cent’anni fa come oggi. E proprio alle porte dell’Europa, nell’isola greca di Lesbo, si consuma una delle tante tragedie dell’immigrazione.  A poco più di un mese dall’incendio del 9 settembre che ha distrutto il campo di Moria e costretto circa 12 mila persone a vivere in strada senza niente, piogge torrenziali si sono abbattute sull’isola allagando il nuovo campo allestito in gran fretta dalle autorità greche con il sostegno dell’Unione europea per alloggiare i migranti e richiedenti asilo. È la seconda volta nell’arco di una settimana. Immagini diffuse dai media greci e dagli operatori umanitari mostrano tende allagate nel campo provvisorio di Kara Tepe, anziani con zappe di fortuna, intenti a scavare piccoli canali per far defluire l’acqua. Le poche e povere cose strappate alle fiamme il mese scorso da migliaia di migranti sono state inghiottite dal fango. Già prima della pioggia e del freddo, le condizioni igienico-sanitarie erano piuttosto precarie. Nel nuovo campo i test ufficiali hanno già rivelato almeno 250 positivi al covid, un dato che rischia, purtroppo, di moltiplicarsi velocemente. Secondo L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), al momento vi sono circa 7800 persone alloggiate a Kara Tepe. Più del 40 per cento sono bambini e ragazzi. La zona è esposta alle intemperie, la gente vive nelle tendopoli dell’Unhcr, ma è costretta a lavarsi in mare perché mancano le docce e un sistema fognario e di scolo dell’acqua. Non c’è illuminazione notturna e i pasti vengono distribuiti una volta al giorno. Unhcr e autorità greche stanno cercando di adottare misure per far fronte al peggioramento climatico, mentre un gruppo di lavoro Ue-Grecia sta provvedendo a soluzioni alternative di alloggio. Alcune decine di profughi continuano a restare a Moria nelle rare tende e baracche risparmiate dall’incendio che ha incenerito tutto il resto. Sarebbero 3 mila, invece, quelli imbarcati nelle scorse settimane nei traghetti e trasferiti nei campi di Atene e delle altre città del continente greco. E intanto l’inverno è alle porte.

di Alicia Lopes Araújo