Le osservazioni conclusive del cardinale Parolin

Negare la libertà di religione significa negare la natura dell’essere umano

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01 ottobre 2020

Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin è intervenuto al simposio sul tema «Promuovere e difendere la libertà religiosa a livello internazionale attraverso la diplomazia», che ha avuto luogo mercoledì 30 settembre all’ambasciata degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede. Pubblichiamo di seguito in una nostra traduzione dall’inglese le osservazioni conclusive svolte dal porporato.

Eccellenze, Signore e Signori,

Desidero ringraziare l’Ambasciatore Gingrich e il personale dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede per aver organizzato questo importante simposio di un giorno, in cui si è riflettuto sul tema «Promuovere e difendere la libertà religiosa internazionale attraverso la diplomazia». Sono grato dell’invito a offrire alcuni spunti di riflessione a conclusione.

Cari Amici,

La tutela e la promozione della libertà di religione è un tratto caratteristico dell’attività diplomatica della Santa Sede. Questo diritto umano fondamentale, insieme all’inviolabile diritto alla vita, costituisce il fondamento solido e indispensabile di molti altri diritti umani. La violazione di questa libertà compromette il godimento di tutti i diritti e minaccia la dignità della persona umana. Di fatto, in riconoscimento della centralità di questo diritto fondazionale, la libertà di religione è sancita nella legislazione costituzionale di molte nazioni e viene menzionata in un ampio spettro di convenzioni internazionali, compresa la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il concilio Vaticano II ha dedicato un intero documento alla libertà religiosa, rispecchiando la crescente consapevolezza e importanza di rispettare tale libertà fondamentale. In Dignitatis humanae leggiamo che questa libertà significa «che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata» (n. 2).

Al centro dell’esercizio della libertà di professare e praticare una certa religione, o di non seguirne alcuna, se così si sceglie, c’è l’esercizio della libertà di coscienza, il luogo sacro interiore della natura trascendente dell’uomo dove «l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore […]. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore […]. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 16). La Chiesa ha sempre sostenuto la necessità di rispettare il forum interno della propria coscienza, non solo per il suo legame intrinseco con la libertà di religione, ma anche perché è il luogo sacro interiore della persona umana. Purtroppo stiamo assistendo a un numero crescente di esempi in cui questa libertà viene violata, perfino con la forza, dalla legislazione civile, cosa che di fatto equivale a un attacco alla dignità della persona umana.

Vorrei suggerire che, almeno in parte, alcune delle difficoltà che stiamo sperimentando riguardo alla violazione della libertà di religione a livello globale, derivano da un fondamentale fraintendimento del significato di libertà umana. Gli attacchi alla libertà di religione sono spesso motivati da paura e da ideologia: da parte di regimi totalitari che usano il potere per imporre restrizioni draconiane, come si osserva, per esempio, in paesi dove la pratica di alcune tradizioni religiose è vietata e le “minoranze” sono attivamente perseguitate, ma anche dalle voci intolleranti del “politicamente corretto”, che “mettono a tacere” e condannano quelle credenze, tradizioni e pratiche religiose che si scontrano con la loro ideologia progressista, etichettandole come “odiose” e “intolleranti”. È ora che riflettiamo più profondamente sulle radici dell’“intolleranza” in simili situazioni e, in particolare sulla riduzione dello spazio pubblico per il dialogo per e con quanti praticano la loro fede apertamente. Di fatto, il livello di rispetto della libertà di religione nella sfera pubblica è un chiaro indicatore della salute di ogni società; pertanto, ne consegue che è pure una “cartina al tornasole” per il livello di rispetto esistente anche per tutti gli altri diritti umani fondamentali.

Il mio suggerimento che la libertà di religione è in crisi perché è in crisi la nostra comprensione della verità della persona umana e della sua antropologia non è nuovo. I Padri del concilio Vaticano II hanno osservato che «Nell’età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone, e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà» (Dignitatis humanae, n. 1). «Così, il senso più acuto della dignità della persona umana e della sua unicità, come anche del rispetto dovuto al cammino della coscienza, costituisce certamente un’acquisizione positiva della cultura moderna. Questa percezione, in se stessa autentica, ha trovato molteplici espressioni, più o meno adeguate, di cui alcune però si discostano dalla verità sull’uomo come creatura e immagine di Dio ed esigono pertanto di essere corrette o purificate alla luce della fede» (Papa Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 31). Purtroppo, la nostra crescente consapevolezza e affermazione della dignità della persona umana non è stata sempre accompagnata da una comprensione autentica del dovere morale e della responsabilità che deriva dall’esercizio della libertà umana. Questa divergenza tra la dignità e la responsabilità inerente alla libertà ha un impatto deleterio sul concetto di libertà di religione e del suo godimento nella società moderna.

Questo aspetto è stato elaborato con maestria nella acuta e profonda riflessione di Papa san Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica Veritatis splendor, lo “splendore della verità”, dove, tra le altre cose, sottolinea la necessità di avere la giusta comprensione della natura umana, specialmente della sua dimensione trascendente, che è radicata nella forza dell’intelletto e della volontà, esercitata attraverso l’uso responsabile della libertà in congiunzione con la verità sul bene». Anche se attualmente esistono diverse tendenze che minano la corretta prospettiva della libertà umana, san Giovanni Paolo II ne evidenzia due principali. La prima potrebbe essere definita «soggettivismo radicale» o esaltazione «della libertà individuale come un assoluto».

Lo spiega così: «In alcune correnti del pensiero moderno si è giunti ad esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori. In questa direzione si muovono le dottrine che perdono il senso della trascendenza o quelle che sono esplicitamente atee. Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male. All’affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l’affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Ma, in tal modo, l’imprescindibile esigenza di verità è scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità, di «accordo con se stessi», tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale» (Veritatis splendor, n. 32). Nelle nostre società contemporanee, specialmente in Occidente, c’è la forte tendenza ad esagerare la propria libertà personale, a disgiungerla volutamente dalla ricerca del bene o, peggio ancora, a renderla l’unico bene. Di conseguenza l’uomo si ripiega su se stesso, diventando autoreferenziale e ciò che è bene diventa totalmente soggettivo. Da qui il passo è breve perché l’uomo diventi un’isola, esercitando la sua libertà, perfino lontano dalla giusta ragione. Il “massimo bene” diventa ora l’eliminazione di qualsiasi ostacolo all’“autonomia radicale” come la legge morale naturale o divina. Anche gli altri diritti umani fondamentali devono essere aboliti per non ostacolare più il desiderio della propria scelta.

Di fatto, un altro equivoco moderno fin troppo comune che interferisce con una corretta concezione della libertà umana è la negazione della verità morale oggettiva, convenientemente sostituita dal sentimento o la sensazione personale dell’individuo sul bene morale.

Il santo polacco prosegue: «Persa l’idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell’intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell’individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza. Tale visione fa tutt’uno con un’etica individualista, per la quale ciascuno si trova confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri. Spinto alle estreme conseguenze, l’individualismo sfocia nella negazione dell’idea stessa di natura umana» (Veritatis splendor, n. 32).

Questi approcci riduttivi al bene e alla coscienza sono al centro della maggior parte delle correnti di pensiero, e sono l’ideologia liberale predominante, che pone in drastico contrasto la legge morale e la coscienza, come anche la nostra natura e libertà umana. Questo contrasto percepito ha conseguenze devastanti nel pervenire a una giusta comprensione della libertà umana, compresa la libertà di coscienza e la libertà di religione.

Essenzialmente, la decisione di radicare la libertà dell’uomo solamente nell’io, senza alcun riferimento al Creatore, è inadeguata. Porta a una comprensione limitata della libertà di religione e fatica a generare e mantenere lo spazio necessario per il pluralismo autentico e la ricerca della verità oggettiva, ovvero la verità che non finisce con me o con te. Mentre dobbiamo continuamente ripetere che la libertà religiosa comporta la capacità di esercitare, senza coercizioni e senza minacce di persecuzione, le proprie convinzioni religiose, sia in privato sia in pubblico, questa è solo una parte della comprensione della libertà religiosa. È l’approccio della via negativa, se vogliamo, che afferma semplicemente che non deve esserci coercizione nella pratica della religione. Tuttavia, quello che spesso non riusciamo a riconoscere è che la libertà di religione è, al tempo stesso, libertà di cercare la verità. La libertà di religione è anche la libertà “per” la fede. In altri termini, deve essere intesa anche in modo affermativo. Sottolineare esclusivamente l’espressione della libertà di religione come “libertà da coercizione esterna” senza affrontare a che cosa tale libertà è giustamente ordinata, vale a dire la scoperta della verità ultima della propria esistenza, le proprie origini e il proprio destino, dati dal Creatore, è come dare a un bambino uno strumento e dirgli “non devi usarlo per questo e quest’altro” senza però mai spiegargli “a quale fine deve servire tale strumento”.

Se non erro, c’è una famosa serie di libretti per la catechesi prodotta da una dei Consigli di Baltimora negli Stati Uniti. Una delle domande iniziali di quell’abbecedario della fede è: “Perché Dio ti ha creato?”; e la risposta corretta da dare è “Dio mi ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questo mondo e per essere felice con Lui in eterno in quello a venire”. La semplicità di ciò non deve offuscare la profondità di questa verità. Siamo stati creati per uno scopo. Abbiamo ricevuto una natura ordinata a un determinato fine, con i doni dell’intelletto e la volontà di conoscere e scegliere il bene, ognuno secondo la propria coscienza. Senza questo fine oggettivo, un fine che esiste al di là dell’io, non possiamo sperare altro che trovare una società in crisi, con ognuno di noi incapace di abbracciare chiunque se non se stesso.

Nella nostra discussione sulla libertà religiosa, compresa la sua promozione attraverso l’attività diplomatica, continua a esserci utile ricordare non solo che cosa speriamo di difendere e di promuovere, ma anche le minacce che dobbiamo affrontare. Queste certamente includono l’oppressione fisica, la persecuzione e l’imposizione ideologica, ma anche la negazione della natura stessa dell’uomo. Spero di esser riuscito a contribuire a chiarire meglio questo aspetto oggi qui con voi.

E, come sempre, è mia speranza che iniziative come il Simposio odierno continuino a dare un impulso a livello internazionale, di modo che questo diritto umano fondamentale possa essere goduto da tutti.

Grazie della vostra attenzione.