Il racconto

Le lacrime e il silenzio dei genitori di don Roberto Malgesini

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14 ottobre 2020

I Malgesini non sono persone che perdono tempo in chiacchiere o si pavoneggiano coi proclami. Quello che hanno da dire lo comunicano, e bene, coi fatti. Con gli sguardi.
È proprio con questo stile che tutta la famiglia Malgesini, stamani, alle 8.45, ha incontrato Papa Francesco, subito prima dell’udienza generale, nell’auletta dell’aula Paolo VI .
Mamma Ida e papà Bruno  sono arrivati dalla loro Rogoledo, piccola frazione di Cosio Valtellino, per pregare con Francesco nel ricordo di don Roberto, il loro figlio, assassinato a Como il 15 settembre scorso nel pieno del suo servizio ai più poveri. Aveva 51 anni.
Con il Papa hanno pianto. In silenzio. Insieme.
E con un filo di voce gli hanno chiesto semplicemente una preghiera — ricevendo in dono una corona del rosario — per continuare a vivere il loro dolore con il coraggio della fede. Ad accompagnarli gli altri tre figli: Enrico, Mario e Caterina — che ha donato al Pontefice una fotografia con un’immaginetta — con le loro famiglie. Ma anche i  rappresentanti dell’«altra famiglia» di don Roberto, un tutt’uno con quella naturale: la diocesi di Como. Il vescovo, monsignor Oscar Cantoni, non nasconde la commozione nel ricordare il sacerdote. Del resto, è da quel drammatico 15 settembre che non riesce a trattenerla: «Don Roberto è stato un prete che nel silenzio, senza proclami, ha dato tutto se stesso, persino la propria vita» — lo stile dei Malgesini, appunto — «ma ecco che oggi sta “parlando” tanto e a tutti, perché davvero sempre più persone stanno scoprendo le sue grandi qualità spirituali, la sua dolcezza e la sua concretezza». Monsignor Cantoni parla di «dolore ma anche di consolazione perché — confida — siamo grati al Signore per la testimonianza che don Roberto sta continuando a dare anche ora, dopo aver servito con umiltà le persone emarginate».
Nei giorni scorsi il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, aveva conferito al sacerdote la medaglia d’oro al valor civile alla memoria, indicandolo come «luminoso esempio».
Il vescovo, accompagnato da tre preti di Como legati da amicizia a don Roberto, ha ringraziato il Papa per le sue parole di incoraggiamento e anche per aver chiesto al cardinale elemosiniere Konrad Krajewski di celebrare la messa di suffragio, nel duomo di  Como, il 19 settembre.
«La nostra gente è rimasta colpita dall’attenzione di Francesco — racconta il vescovo — e dal particolare gesto di delicatezza del cardinale Krajewski che, subito dopo la celebrazione, è andato personalmente a casa dei genitori di don Roberto per abbracciarli, per pregare con loro e donare il rosario del Papa». Don Roberto «ha svolto il suo ministero in una dimensione veramente pastorale — aggiunge il vescovo — e mi ripeteva spesso che “i poveri sono la vera carne di Cristo”».
Appena entrato in aula Paolo vi , Francesco ha voluto condividere con i pellegrini “la forza” dell’incontro con i familiari di don Roberto: «Le lacrime di quei genitori sono le lacrime “loro” e ognuno di loro sa quanto ha sofferto nel vedere questo figlio che ha dato la vita nel servizio ai poveri».
Sempre prima di incontrare i pellegrini, il Pontefice ha ricevuto, nell’auletta, undici monache di clausura del monastero trappista di Vitorchiano, nel viterbese.
L’abbadessa, suor Rosaria Spreafico, ha presentato al Papa le dieci religiose che stanno per partire per il Portogallo per fondare un nuovo monastero di clausura — Santa Maria Mãe da Igreja — a Palaçoulo, un piccolo paese immerso nella campagna, nella diocesi d Bragança-Miranda.
Francesco ha incoraggiato le monache che si fanno missionarie e, grazie alle nuove vocazioni, rilanciano la presenza cistercense in Portogallo. A ciascuna il Papa ha donato una corona del rosario.
Inoltre, nella galleria dell’aula, ha anche benedetto una croce in legno, raffigurante un’originale Via Crucis, realizzata con uova di emù, dall’artista croato Zoran Lučić. L’opera sarà collocata nella chiesa di San Girolamo dei Croati a Roma.
Particolarmente significativa, poi, la presenza nell’aula Paolo vi  — nella quale il Papa ha fatto il suo ingresso alle 9 senza passare nel corridoio centrale in modo da evitare assembramenti — dei rappresentanti del Comitato per una Civiltà dell’Amore, impegnato nella conversione degli arsenali nucleari in progetti di sviluppo contro la fame nel mondo.
Attraverso iniziative concrete il Comitato si propone di convertire, appunto, l’attuale arsenale nucleare per offrire le risorse ai microprogetti di sviluppo necessari in tutte le aree che nel mondo soffrono per la povertà. Contribuendo così a cancellare l’ingiustizia della fame e anche e a ridurre sempre più la minaccia di una apocalisse nucleare.
Già nel recente passato, del resto, è stato possibile completare la conversione di ventimila testate nucleari in energia pari al fabbisogno di elettricità di tutte le famiglie del mondo per un anno.
Tra i presenti, anche monsignor Laurent Breguet, nuovo rettore della chiesa romana di San Luigi dei Francesi, e una delegazione dell’associazione Intercultura che promuove opportunità di incontro e di dialogo tra persone di culture diverse.