L’8 ottobre 1920 nasceva Frank Herbert

La fantascienza e il monito contro Prometeo

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07 ottobre 2020

La tensione prometeica che aspira a sfidare, con virulenta tracotanza, le leggi della natura, è destinata a rimanere inappagata. Come pure la sete di vendetta, che l’ha alimentata. L’uomo non superi dunque i confini che gli sono stati assegnati, coltivando la consapevolezza non solo dei suoi pregi, ma anche dei suoi limiti. È questo il messaggio (e il monito) che ispira la narrativa di Frank Herbert, scrittore di fantascienza statunitense di cui, l’8 ottobre, ricorre il centenario della nascita.

Quel messaggio trova esemplare incarnazione nel libro Esperimenti e catastrofi , incentrato sull’utopia, venata di follia, inseguita da uno scienziato che mira a creare una civiltà tanto perfetta quanto mostruosa. Il mondo rischia di trasformarsi in uno scenario arido e velenoso: lo scienziato, corroso dalla brama di scatenare una rappresaglia spietata e indiscriminata, diffonde sulla Terra un virus in grado di sterminare (il tema ha un’attualità che produce un effetto inquietante) la specie umana. Il romanzo si compone di tre storie: L’alveare di Hellstrom , Esperimento Dosadi e Il morbo bianco . Il comune denominatore è rappresentato da scenari apocalittici all’interno dei quali si sviluppa la strenua lotta dell’uomo per sopravvivere mentre la scienza, con caparbia e sfrenata determinazione, si cimenta nel tentativo di superare limiti che, in realtà, non le è dato di varcare.

Da questo complesso e fluttuante contesto emerge un’umanità confusa, dai tratti sbiaditi, per cui è difficile operare il classico distinguo tra buoni e cattivi. In verità di buoni ce ne sono pochi, poiché la soverchiante maggioranza è volta a inseguire il sogno di sfidare, e quindi, spezzare, gli equilibri della natura. Quali sono le conseguenze di tale atteggiamento o, meglio, di questa filosofia di vita? Non fa sconti, in merito, Herbert. La democrazia gradualmente perde forza mentre i suoi valori sono ignorati o calpestati; la libertà si configura come un miraggio; la coscienza di ciascuno, vessata da poteri misteriosi, cessa di costituire un centro vitale capace di dettare una condotta di vita regolare, sana e onesta. È l’intera civiltà — ammonisce Herbert — a correre il rischio di venire inghiottita all’interno di un baratro senza fine.

Il pessimismo dell’autore, tuttavia, non è inficiato da una sorta di vittimismo di maniera. In filigrana, infatti, vibra un’indomita volontà di riscatto nutrita di una dimensione etica che aspira a redimere l’uomo spogliandolo delle sue smodate ambizioni prometeiche. In sostanza, l’autore scioglie una sorta di inno alla ragione, e alla sua salvifica influenza, destinata a tutelare l’uomo dalle minacce che lo insidiano quando proprio dalla ragione egli, colpevolmente, si allontana. È nel celebre ciclo di Dune che Herbert attua questa impostazione di pensiero.

Il ciclo si apre con l’opera proprio intitolata Dune , cui seguiranno Messia di Dune , I figli di Dune , L’imperatore-dio di Dune , Gli eretici di Dune , La rifondazione di Dune . L’opera prima fu celebrata dalla critica. «Senza Dune — dichiarò il regista George Lucas — non ci sarebbe stato il mio Guerre stellari ». Il libro, nel 1965, vinse il premio Nebula e l’anno successivo il premio Hugo, ovvero i massimi riconoscimenti nell’ambito della narrativa fantascientifica: per molti appassionati, Dune è l’opera migliore di fantascienza epica mai scritta. Detiene il record di vendite in merito al genere fantascientifico: dodici milioni di copie (dall’opera David Lynch, nel 1984, trasse un film che tuttavia non ottenne lo stesso successo del libro).

Originariamente pubblicato in due parti tra il 1963 e il 1965 sulla rivista «Analog», rispettivamente con i titoli Dune World e The Prophet of Dune , il romanzo — apparso per la prima volta in volume nel 1965 — narra la storia della sfida, a sfondo ecologico, tra la dinastia Atreides e quella Harkonnen per il controllo del pianeta Arrakis, una landa desertica che, ciononostante, costituisce l’unico luogo di produzione, raccolta e raffinazione del Melange. Si tratta di una preziosissima sostanza, fondamentale per la struttura della società galattica, che si ritiene possegga la capacità di allungare la vita e di prevedere il futuro, nonché di dischiudere tutte le potenzialità della mente umana. Spicca, in questo scenario, la figura del duce Leto Atreides, detto “il Giusto”: uomo di grande carisma, incarna i valori di pace e di giustizia. Virtù che gli valgono la fedeltà dei subordinati. Ma sono anche virtù che suscitano la crescente invidia dell’imperatore Shaddam

iv , che riconosce nel duca una seria minaccia al suo trono. Non potendo ricorrere a un attacco diretto, che scatenerebbe — vista la vasta e convinta popolarità di cui “il Giusto” gode — una reazione massiva, Shaddam decide di sfruttare una faida secolare fra gli Atreides e gli Harkonnen come copertura, avvalendosi dell’astuto e crudele barone Vladimir Harkonnen, capo dell’omonima casa. Scaturiranno, da questo piano, vicende complesse e intrecciate le quali, al di là della dimensione cronachistica, restituiscono il ritratto di un’umanità variegata, caratterizzata da luci e da ombre, capace di nutrire gli ideali più alti e di piegarsi agli atti più abietti, di generare, al contempo, eroismo e viltà, eccellenza e mediocrità.

Un equilibrio — sembra suggerire Herbert — che si vorrebbe spezzare in favore del bene e a detrimento del male, ma che, in realtà, in forza delle imperscrutabili leggi dell’universo, è destinato a ricomporsi. All’uomo, dunque, non resta che accettare responsabilmente queste leggi, rimanendo al contempo sempre vigile affinché il male, infrangendo  l’equilibrio, non prevalga sul bene.

di Gabriele Nicolò