Multilateralismo - Rapporto della Commissione Onu per i diritti umani sul Sud Sudan

La fame come arma di guerra

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16 ottobre 2020

I proiettili e gli esplosivi costano, bruciare i campi, distruggere le coltivazioni, avvelenare l’acqua, costa molto meno, per questo l’uso della fame come arma di guerra è storia antica. L’assedio delle città è noto fin dai primi cenni storici sui conflitti. Ridurre alla fame la popolazione è un modo molto economico di guerreggiare. Per questo oggi che la maggior parte dei conflitti viene combattuta non da eserciti regolari ma da gruppi di civili armati, con poche risorse, l’incendio della terra, il furto del bestiame, il blocco degli aiuti sono tattiche sempre più utilizzate da chi punta a controllare popolazioni civili disarmate.
Dunque in questo tipo di conflitti i primi obiettivi  militari diventano le reti di approvvigionamento idrico e le vie di comunicazione. Questo significa che facilmente si riescono a ridurre alla fame e piegare intere popolazioni: gli agricoltori non possono vendere i loro prodotti in ambienti minacciati dalla violenza e l'inflazione sale alle stelle. È una storia che si ripete nei tanti Paesi in conflitto, e in particolare in Siria, nello Yemen e nel Sudan del Sud e contro cui opera il World Food Programme, non a caso insignito con il Nobel per la pace.
E in questi Paesi, mentre i civili affogano nella miseria, le leadership politiche ingrassano nella corruttela, all’insegna dell’impunità. Dunque secondo l’Onu è tempo che il mondo si doti di «limiti chiari, riconoscibili e concordati» per sanzionare questi atti e perseguire chi causa la fame.
Non può più essere tollerata una situazione come quella del Sudan del Sud, rileva la Commissione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, dove il brutale conflitto etnico che prosegue dal 2013 continua a causare sofferenze indicibili alla popolazione civile.
Un rapporto della Commissione Onu sul Paese africano rileva che in Sud Sudan l’insicurezza alimentare e la malnutrizione ha raggiunto livelli mai visti. Con 7,5 milioni di sud-sudanesi che attualmente hanno bisogno di assistenza umanitaria, gli esperti delle Nazioni Unite evidenziano che «l’insicurezza alimentare, in particolare negli stati di Bahr el Ghazal occidentale, Jonglei e Equatoria centrale è direttamente legata al conflitto e quindi quasi interamente causata dall’uomo». «È ormai chiaro che le forze governative e dell’opposizione hanno utilizzato deliberatamente la fame della popolazione come metodo di guerra e come mezzo per punire le comunità che non si sottomettono» ha dichiarato il presidente della Commissione Yasmin Sooka. Il rapporto mostra come negli ultimi anni le forze governative hanno portato avanti questa politica del terrore, causando volontariamente la carestia. La tattica è stata, ad esempio, «privare intenzionalmente di risorse essenziali le comunità Fertit e Luo che vivono sotto il controllo dell’opposizione nello stato occidentale di Bahr el Ghazal».  Comandanti delle forze governative hanno anche permesso ai loro soldati di ricompensarsi saccheggiando oggetti essenziali per la sopravvivenza di queste popolazioni rurali. La conseguente sensazione fisica di fame non lascia «alcuna alternativa ai civili e li costringe a fuggire in luoghi più sicuri».
Per gli esperti Onu questi crimini possono essere equiparati alla deportazione o al trasferimento forzato, crimini contro l’umanità. Gli attacchi che si sono protratti contro città e villaggi nello stato occidentale di Bahr el Ghazal hanno inoltre provocato un numero significativo di morti, stupri e distruzione, incendi dolosi e saccheggi di proprietà. Di contro, ai gruppi ribelli armati e ai membri dell’Esercito di Liberazione Popolare del Sudan, gli esperti dell’Onu contestano di «negare arbitrariamente gli aiuti umanitari alle persone bisognose nell’Equatoria centrale, anche rifiutando materiale essenziale per la loro sopravvivenza».
Una situazione tragica, dunque, quella del Sudan del Sud dove la «concorrenza per le risorse e la corruzione tra le élite politiche, continua ad alimentare le divisioni etniche e la violenza». Tutto ciò aggrava «l’impunità nel paese», dove, sottolineano gli esperti Onu «senza la rapida attuazione di un processo di giustizia transitoria inclusivo, una pace duratura rimarrà illusoria».

di Anna Lisa Antonucci