Siamo tutti fratelli?

L’urgenza di fermarsi
a riflettere

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05 ottobre 2020

L’enciclica Fratelli tutti arriva come goccia d’acqua che cade in una terra desertificata, raggio di luce che attraversa “le ombre di un mondo chiuso”. È questo il titolo del primo capitolo della nuova, la terza, enciclica di Papa Francesco, dedicata alla fratellanza e all’amicizia sociale che il Papa ieri ha voluto regalare ai fedeli raccolti in piazza San Pietro nella “forma” dell’edizione speciale de «L’Osservatore Romano» tornato alla stampa su carta ma con un nuovo formato. Ma procediamo per gradi.

Innanzitutto il fatto di essere uscito dal Vaticano, la prima volta dai tempi del lock-down provocato dalla pandemia, e di essere andato ad Assisi per firmare la Lettera sulla tomba di san Francesco che ancora una volta, dopo la Laudato si’ di cinque anni fa, è fonte di ispirazione per il suo pontificato, possiede una forza simbolica talmente evidente che non necessita di ulteriori spiegazioni.

Fratelli tutti è un testo potente, che suona come un grido ad un tempo di allarme e di speranza e offrire ai lettori una visione, un orizzonte, grande che trasmetta fiducia e susciti il desiderio di impegnarsi per il bene comune, per gli altri, che sono tutti, nessuno escluso, nostri fratelli.

L’enciclica è divisa in otto capitoli che, dopo il primo che analizza, in modo lucido e senza sconti, la situazione in cui  il mondo oggi versa, un mondo che appunto appare muoversi verso la chiusura perché «la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli» (la citazione è dalla Caritas in veritate di Benedetto

xvi uno dei testi maggiormente citati dall’enciclica), si sviluppa in senso positivo e propositivo al fine di “pensare e generare un mondo aperto” (cap. 3) e di gettare le basi per “la migliore politica” (cap. 5) e creare le condizioni per il “dialogo e amicizia sociale” (cap. 6) e per aprire “percorsi di un nuovo incontro” (cap. 7) per arrivare alla conclusione che sottolinea il ruolo decisivo delle religioni “al servizio della fraternità del mondo” (cap. 8).

Un testo quindi molto denso che costringe il lettore a fermarsi e a leggere con attenzione per riflettere, meditare e quindi, infine, agire. Su questo giornale a partire dai prossimi giorni dell’intero testo con i suoi otto capitoli, verranno offerte al lettore chiavi di lettura in modo da approfondirlo attivando un processo di conoscenza non superficiale o emozionale. Ora sia sufficiente una prima semplice riflessione, quasi  un’impressione, sul tema della dignità, una delle parole più ricorrenti nell’enciclica, prendendo in esame un solo passaggio, il punto n.68 del testo, tratto dal secondo capitolo, quello in cui il Santo Padre si sofferma sul testo del vangelo di Luca dedicato alla parabola del Buon Samaritano. Il capitolo si intitola «Un estraneo sulla strada» e parte con una vera e propria esegesi delle parole di Gesù che permette al Papa di riflettere insieme al lettore sul fatto che il soccorso dato dal samaritano «ci rivela una caratteristica essenziale dell’essere umano, tante volte dimenticata; siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita”. Questo ci  deve indignare, fino a farci scendere dalla nostra serenità per sconvolgerci con la sofferenza umana. Questa è dignità».

Queste sono parole sconvolgenti che rovesciano la nostra idea di dignità. Noi spesso associamo la dignità alla freddezza, all’imperturbabilità, si dice di un uomo che “non  ha perso la dignità” perché è rimasto sereno e non ha lasciato trasparire i sentimenti magari di rabbia o di sofferenza. E invece qui il Papa va oltre e ci presenta un altro volto, paradossale, della dignità: dalla serenità si deve “scendere”, si deve perdere la flemma per “sconvolgerci” con la sofferenza degli altri. La dignità è qualcosa di caldo, fisico, viscerale. Come la misericordia, protagonista della parabola, che è qualcosa che ha a che fare con le viscere ( rachamin , è la parola che in ebraico indica sia misericordia che viscere). Proprio da qui si deve partire, dal gesto viscerale del samaritano che non fa altro che fermarsi al contrario degli altri personaggi, presi dalla fretta probabilmente; in  un mondo che corre incessantemente quella del Papa è una voce che chiede, supplica con urgenza di fermarsi al fine di recuperare il senso della dignità umana, della propria, degli altri. Rimanere fedeli a se stessi, a quella “caratteristica essenziale dell’essere umano”, il Papa ci dice che è assolutamente necessario oggi per restituire all’uomo la sua dignità, bene prezioso quanto fragile che va custodito e alimentato ogni giorno, in ogni luogo, sempre.

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Ieri mattina, in piazza San Pietro c’è stata una bella festa di popolo al momento dell’Angelus, una festa doppia per la redazione de « L’Osservatore Romano » che finalmente, dopo un lockdown di sei mesi, che ha impedito di stampare il giornale, ritorna alla pubblicazione anche su carta in un nuovo formato e con una nuova impostazione. Non è un mero “ritorno” alla carta ma è il compimento di un progetto di riforma partito da molto lontano. Un quotidiano, per ragioni anche etimologiche, non può non “aggiornarsi”, soprattutto se si tratta di un giornale internazionale che esce in sette lingue e raggiunge i suoi lettori in tutti i cinque continenti del pianeta.

L’aggiornamento prevede un rinnovamento nella grafica e nei contenuti al fine di offrire al lettore più approfondimenti. È questa la parola, approfondire, cara a san Paolo

vi , che ha ispirato il progetto del “nuovo” Osservatore Romano . Il giornale che avete tra le mani (finalmente si può pronunciare questa frase), ha un formato leggermente più piccolo di quello precedente, il che significa un aumento del numero delle pagine che diventano 12, ogni giorno. Di queste le quattro pagine centrali diventeranno un inserto estraibile a sfondo tematico:  il martedì pomeriggio “Quattropagine”, il settimanale culturale; il mercoledì pomeriggio “Religio”, dedicato alla Chiesa come ospedale da campo in cammino sulle vie del mondo nel quale incontra le altre religioni; il giovedì pomeriggio “La settimana di Papa Francesco”, per fissare parole e gesti del Pontefice; il venerdì pomeriggio “Atlante”, settimanale di informazione internazionale che racconta le cronache di un mondo globalizzato.

Due parole chiave possano illustrare il senso di questo progetto di aggiornamento e rinnovamento: integrazione e speranza. Con la prima si fa riferimento a un doppio rapporto: quello tra giornale di carta e digitale e quello relativo all’integrazione de « L’Osservatore Romano » nel sistema dei media vaticani. Il periodo di sospensione dovuto alla pandemia ha provocato una forte spinta allo sviluppo del giornale nel mondo digitale per cui oggi il quotidiano è disponibile sul web  (www.osservatoreromano.va) grazie alla nuova App, scaricabile gratuitamente sia su AppStore che su PlayStore. D’altra parte il giornale, fondato nel luglio del 1861, per lunghi decenni l’unico mezzo di comunicazione della Santa Sede, è oggi circondato da una serie di altri mass-media a partire dalla Radio Vaticana e dal portale web Vatican News e con questi si integra in un processo che coordina i vari mezzi esaltando di ciascuno la propria peculiarità. La logica è, per dirla con le parole di Papa Francesco tratte anche da quest’ultima enciclica, quella della prospettiva più ampia e complessa che emerge dalla figura del poliedro che «Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili», ma è appunto «il poliedro, dove, mentre ognuno è rispettato nel suo valore, “il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma”».

Infine, la speranza. Anche qui le parole del Papa possono servire a fare luce. Parlando alla rivista belga « Tertio » il 18 settembre scorso, Bergoglio ha affermato che: «Il professionista cristiano dell’informazione deve dunque essere un portavoce di speranza, un portatore di fiducia nel futuro. Perché solamente quando il futuro è accolto come realtà positiva e possibile, anche il presente diventa vivibile». Per essere portavoce di speranza il cristiano deve cercare «una visione positiva delle persone e dei fatti, respingendo i pregiudizi» per «favorire una cultura dell’incontro attraverso la quale è possibile conoscere la realtà con uno sguardo fiducioso». « L’Osservatore Romano » fa sue queste parole del Papa e si impegna a raccontare le storie di oggi e di ieri (la storia della Chiesa è sempre contemporanea) con uno sguardo positivo, rivolto al futuro. Un approccio professionale che fa quindi affidamento all’immaginazione e alla creatività che cerchi di dare voce a chi non ha voce, per raccontare il bene che silenziosamente si fa strada, illuminare la speranza che fiorisce anche nelle situazioni più drammatiche, far sentire il grido e le attese degli ultimi e degli scartati che spesso faticano a trovare spazio nel flusso delle notizie quotidiane.  Proprio in questo tempo così accelerato in cui   il ritmo frenetico delle informazioni sembra sommergerci, abbiamo bisogno di fermarci per  riflettere e così vedere dentro e al di là della notizia per capire, permettendo alla realtà di sorprenderci, metterci in discussione, commuoverci. Solo se riusciamo a fermarci dal flusso dell’attivismo che rischia di stordirci e rendere la nostra sensibilità intorpidita, riusciremo a fare come il Buon Samaritano, a cogliere che c’è un estraneo lungo la strada, ma che se ci avviciniamo smette di essere estraneo ma diventa un nostro simile e, alla fine, un amico. Altrimenti rischiamo di fare come i due discepoli viandanti  di Emmaus, che incontrano un “forestiero” lungo il cammino e non si rendono conto che è Gesù. Essi sanno tutto della notizia del giorno, sono “informati”, ma non riescono a coglierne il senso. È qui la sfida di un giornale come « L’Osservatore Romano » che è “forestiero” perché vive in questo mondo ma lo guarda e lo giudica non solo con le logiche mondane ma anche con uno sguardo che “non è di questo mondo”. Un obiettivo grande quindi: allargare la prospettiva con cui si osserva il mondo, offrendo la prospettiva che si vede da Roma, dal cuore della cattolicità, provando a toccare la mente e il cuore dei lettori con una comunicazione curiosa, onesta, aperta.

di Andrea Monda