Un secolo fa nasceva Salvo D’Acquisto, ucciso pochi giorni prima di compiere 23 anni per essersi opposto all’ingiustizia

Il momento della scelta

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14 ottobre 2020

Richard Dawkins, nella prefazione a Il gene egoista , scrive che siamo «macchine da sopravvivenza – robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste note sotto il nome di geni». Nulla da osservare. Le esperienze a suffragio di questo argomento sono troppe e troppo ben circostanziate, per osare dubitarne. Senz’altro, però, un pomeriggio a Palidoro, il 23 settembre del 1943, qualcosa non va come deve andare: il  sofisticato meccanismo del gene egoista si inceppa inspiegabilmente, e non è la prima volta.

Dopo il Proclama di Badoglio dell’8 settembre 1943, dei paracadutisti tedeschi requisiscono alcuni edifici, vicino Roma, tra i quali la Torre, occupata sino a poche ore prima da un maresciallo della Guardia di Finanza e da due guardie addette alla vigilanza sul lungomare. Rovistando nell’edificio, nel tardo pomeriggio del 22, i tedeschi entrano in una stanza, al secondo piano, e trovano una cassetta di ferro, contenente carte e documenti segreti. Pare fosse collegata, mediante un dispositivo, con una bomba collocata al suo interno. Se fosse stata aperta con chiave regolamentare, non avrebbe dato luogo a incidenti. Ma se qualcuno avesse tentato di aprirla con chiavi false, la bomba avrebbe fatto il suo mestiere. E fa il suo mestiere: i soldati vengono investiti da una violenta esplosione, che ne uccide due e ne ferisce altrettanti.
Il vicebrigadiere della locale stazione dei Carabinieri, Salvo d’Acquisto, in vece del maresciallo comandante temporaneamente assente, fa di tutto per convincere il comandante del reparto delle Waffen ss , che non si è trattato di un attentato, bensì di un incauto maneggio di materiale esplosivo da parte dei suoi soldati. Del resto, la località è presidiata da oltre 200 militi delle ss    e nessuno sarebbe stato così temerario da organizzare un attentato in quelle condizioni. Ma il maresciallo non vuole sentire ragioni.

Nel giro di poche ore, giunge a Torrimpietra un autocarro carico di soldati tedeschi in pieno assetto di guerra. Scendono tutti sulla spianata davanti al castello e rastrellano, a caso, tra la popolazione terrorizzata, 50 persone. Scartati i vecchi e i bambini, gli ostaggi vengono ridotti a 21. Il camion giunge verso le undici sulla piazzetta di Palidoro, dove si trova già il vicebrigadiere D’Acquisto, guardato a vista da altri soldati tedeschi. Viene duramente percosso, gli strappano di dosso la giubba e gli fanno saltare il berretto. «Se non esce il colpevole», sentenziano, «moriranno tutti». Gli viene intimato di indicare in mezzo agli ostaggi il colpevole dell’attentato, ma Salvo, con calma e dignità, cerca di dimostrare che nessuno dei fermati è responsabile. I 21 ostaggi, oltre D’Acquisto e un giovane diciassettenne, Angelo Amadio, che sarà l’unico testimone oculare di ciò che avverrà di lì a poco, vengono fatti risalire sull’autocarro e condotti ai piedi della Torre di Palidoro per essere sottoposti a un secondo interrogatorio, che naturalmente si concluderà con la protesta della loro innocenza.

La soldataglia, allora, dà ai prigionieri vanghe e badili per scavarsi la fossa. Le vanghe affondano nella terra, rallentate dal terrore. Ogni zolla rovesciata è un gradino verso la buca. Soltanto Dostoevskij e il suo principe Myškin hanno saputo descrivere a parole che cosa prova un uomo che sta per essere ucciso: «Il dolore principale, il più forte (…) la certezza, che fra un’ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l’anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere uomo». I minuti, gli attimi, e ogni attimo, un respiro, e un palpito, e la speranza quasi impossibile, di rimanere nel corpo. Le «macchine da sopravvivenza – robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste note sotto il nome di geni», cosa sentono quando sanno di avere poco tempo? Quando stanno per morire?

Il vicebrigadiere D’Acquisto è un ragazzo del Mezzogiorno, di soli 22 anni e osserva la scena infernale. Il 15 ottobre ne compirà 23. È bruno, alto, di carattere fermo. Ha un profilo da attore americano, perfettamente sbarbato, con una fossetta in mezzo al mento, uno sguardo dolce e intenso. Ha studiato dai salesiani, sul Vomero. È figlio di gente onesta e laboriosa, non ha conosciuto lussi, né agiatezze. Ha ricevuto la sua educazione morale da una madre napoletana, apprensiva e amorosa, che tutti i giorni prega per lui. Porta sempre nel taschino un’immaginetta del Cuore di Gesù, che lui dice «protegge i soldati del mare, della terra e del cielo». Anche suo nonno materno e tre dei suoi zii sono stati carabinieri come lui: hanno marciato, fatto ginnastica dalle 7 alle 16, come lui. È stimato dai suoi superiori per la sua buona volontà e la perizia nel maneggio delle armi. È un bravo ragazzo, il cui corpo è programmato esattamente come tutti gli altri all’egoismo e alla conservazione. Eppure, getta un ultimo sguardo a quegli uomini terrorizzati, che continuano a scavare, con la gola serrata dall’angoscia. Sono muratori, fabbri, venditori ambulanti, padri di famiglia. E, in cuor suo, Salvo decide: «Se muoio per altri cento, rinasco altre cento volte: Dio è con me ed io non ho paura!». Chiama l’interprete; gli chiede di tradurre, alla lettera, le sue parole all’ufficiale comandante del reparto tedesco: «Sono io il colpevole, liberate i fratelli innocenti». Pochi minuti dopo, Amadio sente una voce secca, quasi metallica, gridare «Viva l’Italia» e contemporaneamente una scarica.

È il 23 settembre 1943, un pomeriggio come tanti, a Palidoro, ed è appena morto il vicebrigadiere D’Acquisto, una macchina della sopravvivenza, come tante, «capace» di Dio. Gli stessi tedeschi, sorpresi, devono ammetterlo: «Il vostro Brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte».

di Roberto Rosano