L’intervista di Francesco all’edizione spagnola della rivista «Il mio Papa»

Dalla crisi si esce tutti insieme e da fratelli

3/27/2020 - NO FRANCE - NO SWITZERLAND: March 27, 2020 : Pope Francis during Urbi and Orbi prayer ...
07 ottobre 2020

Ci sono i temi della nuova enciclica Fratelli tutti nell’intervista rilasciata da Papa Francesco a Carmen Magallón, direttore dell’edizione spagnola della rivista «Il mio Papa».

La pandemia sta cambiando il mondo e ci ha messo in crisi, ha affermato Francesco durante il colloquio. Facendo presente però che «da una crisi non si esce uguali. O ne usciamo migliori o ne usciamo peggiori. E il modo in cui ne usciamo dipende dalle decisioni che prendiamo durante la crisi».

Il Papa, in realtà, ha capovolto la questione ponendo una domanda decisiva all’intera umanità: quale sarà lo stile di vita che lasceremo alla futura generazione? Andando al dunque, per Francesco si tratta di smettere di pensare solo a se stessi, o al proprio presente, perché è il tempo di alzare, invece, lo sguardo verso il futuro, nella prospettiva di un’umanità che vuole restare nel tempo come parte della creazione. Ecco le sue parole: «Dobbiamo farci carico del futuro, di preparare la terra affinché altri la lavorino.  E questa è la cultura che dobbiamo elaborare nella pandemia, secondo il grande principio che da una crisi non si esce uguali. Ne usciamo migliori o peggiori; ma mai uguali».

Come affrontare il lutto?

Alla domanda su come affrontare il lutto per le vittime della pandemia, Francesco ha risposto suggerendo di valorizzare tutti i piccoli e grandi gesti che tante persone, nel mondo, hanno compiuto. E, con questo stile, il lutto si affronta «solo cercando di essere vicini», perché «è il momento del silenzio, della vicinanza e del fare il possibile per stare insieme».

Impegno fino alla fine?

«I santi della porta accanto sono tanti» ha affermato nell’intervista il Papa, facendo riferimento a tutte le persone che hanno dato la propria vita nel servizio a quanti avevano bisogno di loro. Queste persone «non hanno deciso di “defilarsi”, anzi hanno affrontato i problemi e hanno cercato soluzioni pratiche agli stessi. E Dio capisce questo linguaggio. E lo fa suo».

Un aspetto fondamentale per Francesco è che l’impegno personale di ciascuno, con la propria vita, non si riduca alla questione della salute, ma si allarghi  nella preoccupazione per gli scartati, per coloro che il sistema esclude, per quanti non hanno lavoro. Per questa ragione ha parlato più volte di  una «grande sfida sociale», che pone dinanzi agli occhi  il modo in cui «la cultura dello scarto ha impregnato il nostro modo di relazionarci».

E così, ha ripetuto, non è possibile  continuare con lo stesso sistema economico che, oltretutto, ha tra i suoi fondamenti l’ingiustizia. «La pandemia — ha spiegato il Papa — ci ha fatto visualizzare come ci eravamo abituati a questo clima dello scarto: lo scarto degli anziani, lo scarto dei poveri, lo scarto dei bambini, dei bambini non nati». Proprio dinanzi a tutto ciò ecco l’invito di Francesco a ricordare che «ogni vita vale e merita di essere difesa e rispettata». Insomma, per il Pontefice la società deve affrontare con coraggio la cultura dello scarto», quella cultura «che ci minaccia continuamente. Viviamo scartando ciò che c’infastidisce, ciò che ci avanza, ciò che ci impedisce di avere sempre di più.  E contro questa cultura dello scarto, dobbiamo vivere la cultura del ricevere, dell’accogliere, della vicinanza, della fraternità. Oggi più che mai ci viene chiesta fraternità, ci viene chiesto di andare incontro all’altro, al più debole e vulnerabile per prendercene cura, per sentirci responsabili di lui o di lei, perché non ha le stesse risorse degli altri».

La giornalista Carmen Magallón ha poi domandato al Papa che cosa ha sentito nel suo cuore lo scorso 27 marzo, in piazza San Pietro, vivendo quello straordinario momento di preghiera, sotto la pioggia. E Francesco ha confidato il suo «sentire» più profondo: «Il mio cuore stava in tutto il popolo di Dio che soffriva, in un’umanità che doveva sopportare quella pandemia e, dall’altro, doveva trovare il coraggio di camminare. Ho salito i gradini pregando, ho pregato tutto il tempo e sono andato via pregando. Così ho vissuto quel 27 marzo».

Le udienze generali senza la partecipazione «fisica» dei fedeli sono state un momento particolare per il Pontefice: «era come se stessi parlando a dei fantasmi» e «ho supplito a molte di quelle assenze fisiche con il telefono e le lettere. Ciò mi ha aiutato abbastanza a prendere il polso di come stavano vivendo le famiglie e le comunità».

Come costruire il futuro? Il bene comune come criterio

Nell’intervista  Francesco ha affermato, inoltre, che non esiste una ricetta per uscire dalla crisi e, in realtà, si troverà il cammino solo se si cambierà il paradigma economico: Iniziare dalle periferie (...), dalla dignità delle persone». E ha aggiunto: «Ho parlato delle periferie, ma dobbiamo includere anche la casa comune, che è il mondo, la cura dell’universo».

In questa linea Francesco ha indicato il contenuto dell’enciclica appena pubblicata Fratelli tutti — la fraternità umana come una delle chiavi per costruire il futuro — parlando, poi, anche della distribuzione del vaccino contro il coronavirus: «Il vaccino non può essere proprietà del Paese del laboratorio che lo ha trovato o di un gruppo di Paesi che si alleano a tal fine (...). Il vaccino è patrimonio dell’umanità, di tutta l’umanità, è universale; perché la salute dei nostri popoli, come la pandemia c’insegna, è patrimonio comune, appartiene al bene comune... e questo deve essere il criterio».

I migranti

Sulla questione  dei migranti Francesco ha risposto con fermezza alla domande della giornalista: «Rispetto ai migranti, dobbiamo farcene carico. Il migrante lascia la propria patria perché cerca nuovi orizzonti, perché scappa per la fame o per la guerra. Basti pensare alla Siria...». E ha spiegato: «Se non ci faremo carico dei migranti perderemo gran parte dell’umanità, della cultura che essi rappresentano».

Sempre sullo stesso tema, il Papa ha invitato alla sincerità e a riconoscere l’apporto che persone venute da altri Paesi hanno dato in questo tempo di confinamento: «Nel periodo di lockdown sono stati molti i migranti che si sono esposti lavorando la terra, mantenendo pulita la città, continuando a svolgere molteplici servizi. È doloroso constatare come ciò non venga riconosciuto loro né valorizzato e si approfitti di un fatto lontano o perso per discreditare tante persone che con il loro lavoro hanno sostenuto il nostro popolo».

Francesco ha anche suggerito di analizzare le cause delle migrazioni del Libano e della Siria: «Sono famiglie intere che fuggono da una guerra che non si capisce. I nostri paesi possono restare neutrali di fronte a questa dolorosa situazione?».

Una Chiesa dei poveri

Francesco non ha mancato di far presente che «ci sono sacerdoti, religiosi, laici, religiose, vescovi che si fanno in quattro per ottenere questo. Ci sono esempi molto belli che stanno aprendo il cammino». In tale contesto il Papa ha espresso la speranza che l’umanità  sia «capace di reagire, specialmente nelle periferie se si organizzano». E ha parlato della «cultura depopolo», spiegando: «Mi piace pensare all’anima dei popoli, a quella riserva spirituale che permette loro di andare sempre avanti».

In modo particolare, nell’intervista  il Pontefice ha ricordato i popoli che sono perseguitati, gli Yazidi e i Rohingya, per esempio, ricordandone sofferenze e prevaricazioni: «Allora — ha detto — bisogna andare verso questi popoli che soffrono e finché l’umanità intera non se ne farà carico, non ci sarà speranza.  Speranza della periferia, dei più esclusi».

Riguardo al rapporto con le reti sociali come strumento di evangelizzazione, Francesco ha confidato, con una battuta, di essere un po’ «allergico».

Inoltre, sempre rispondendo alle domande della giornalista, Francesco ha fatto presente che non esiste distinzione tra quello che avviene agli  uomini e quello che avviene al pianeta: «Sta cambiando il clima, perdiamo opportunità (...), non possiamo giocare con il mare, con l’universo. Dobbiamo prendercene cura».

Infine, nel quadro dei cinquecento anni della conversione di sant’Ignazio di Loyola, il Papa ha espresso il suo desiderio di andare a Manresa, il luogo dove Ignazio cominciò il suo cammino di fede: «Credo che la conversione di sant’Ignazio sia anche un incontro con il cuore e possa invitarci a riflettere sulla nostra conversione personale, sul chiedere il perdono della conversione per amare di più e servire alla maniera di Gesù Cristo».