Racconto - La parola dell'anno

Contro la dittatura dell’ovvio

Cosimo Rosselli, «Discesa dal monte Sinai» (1481-1482)
08 ottobre 2020

La prosa è la faccia quotidiana della realtà


L’elogio che il Santo Padre ha dedicato al narrare, alla vita che si fa storia emana una luce inedita, è di potente ispirazione. Il punto cruciale del messaggio è nella necessità umana di produrre storie, e nell’allusione alle storie che narcotizzano contrapposte alle storie che salvano. Ci sono storie distruttive e storie nutrienti, dice Papa Francesco mentre estrae dall’ Esodo il momento cruciale in cui il Signore consegna a Mosè il senso dei segni da lui tracciati perché se ne conservi memoria. L’elogio del narrare formulato dal Papa è un grande gesto di testimonianza spirituale, e una sfida a ogni tipo di chiusura dogmatica e a ogni forma di dittatura dell’ovvio, anche quelle espresse, o imposte, dal mercato, e fa perno sull’ipotesi (la bussola di chi narra) e sulla ricostruzione fantastica come meravigliosa prerogativa dell’umano. Chi narra una storia, infatti, ricorda e trasfigura il vissuto. Come il Flavio Giuseppe tramandatoci dal grande storico Vidal Naquet, l’uomo narra da sempre storie per salvare se stesso e il proprio patrimonio di credenze, e anche per un lontano, oscuro, vincolo antropologico. Ma a volte chi racconta con coraggio e accuratezza rischia di essere indicato dalla propria comunità come un traditore. Milan Kundera dice infatti che «l’uomo sogna un mondo in cui il bene e il male siano nettamente distinguibili, e questo perché, innato e indomabile, esiste in lui il desiderio di giudicare prima di aver capito. Su questo desiderio sono fondate le religioni e le ideologie. Esse possono conciliarsi con il romanzo solo traducendo il suo linguaggio di relatività e di ambiguità nel loro discorso apodittico e dogmatico. Religioni e ideologie esigono che qualcuno abbia ragione: o Anna Karenina è vittima di un despota ottuso, o Karenin è vittima di una donna immorale; o K., innocente, è schiacciato da un tribunale ingiusto, o dietro il tribunale si nasconde la giustizia divina e K. è colpevole. In questo aut-aut è racchiusa tutta l’incapacità di sopportare la sostanziale relatività delle cose umane, l’incapacità di guardare in faccia l’assenza del Giudice supremo.  Il romanzo sottintende invece il mondo come ambiguità, e quindi, il dover affrontare, invece che una sola verità assoluta, una quantità di verità relative che si contraddicono, il possedere dunque come sola certezza la saggezza dell’incertezza». La letteratura, l’immaginazione, hanno da sempre inseguito l’idea di purezza come ipotesi estrema. Il romanzo s’instaura lì dove regna il relativo, quando Dio sembra aver lasciato il campo all’uomo, nel momento in cui Don Chisciotte esce di casa e non riesce a riconoscere il mondo, nell’ora in cui tutto appare immerso in una terribile ambiguità e la verità divina si scompone in centinaia di verità relative. È questa la ragione per cui, a conti fatti, la letteratura è più congeniale alla corruzione che alla purezza. La prosa è la faccia quotidiana della realtà, quella concreta, che si trova all’opposto del mito. Gli uomini tentano di trasformare la propria vita in mito, mentre la missione della prosa è demitizzare. Il pensiero romanzesco è indisciplinato, asistematico. O-maggiando il valore del narrare Papa Francesco esalta questo pensiero come gesto supremo, e profondamente religioso, della vita, e cita, con le Confessioni di Agostino, I Fratelli Karamazov e i Promessi Sposi come prove esemplari del dialogo tra Dio e il mondo. Ed è quanto mai vero che raccontare a Dio la nostra storia non è mai inutile, e che non c’è mai una storia nuova, ma c’è un’arte che ce la fa scoprire come se fosse nuova, come se non l’avessimo mai sfiorata prima. In questo senso, la Bibbia è un meraviglioso palinsesto, un prodigioso esercizio di ascolto del creato. Come ogni grande autore, anche lo scrittore del Libro dei libri ha bisogno di racconti, sembra suggerire il Papa, ed è un pensiero limpido e di grande coraggio, un invito a giudicare dopo aver capito.

di Roberto Andò