La protesta in Bulgaria contro il governo accusato di corruzione

Cento giorni in piazza

A demonstrator participates in an anti-government protest near the parliament building in Sofia on ...
21 ottobre 2020

Con la manifestazione dello scorso 16 ottobre, le proteste di piazza in Bulgaria hanno raggiunto i cento giorni consecutivi di durata. Dai primi giorni dello scorso luglio, infatti, un impressionante numero di cittadini bulgari ha iniziato a manifestare il proprio dissenso verso il primo ministro Bojko Borisov e il procuratore generale Ivan Geshev, accusati di favorire la corruzione nel Paese e di violazioni della costituzione nazionale.

Dall’inizio delle proteste, il clima è andato inasprendosi: i manifestanti si sono inizialmente accampati in luoghi simbolici della capitale Sofia, come la piazza del Parlamento e il grande incrocio stradale di Orlov Most (“Ponte delle aquile”), intonando slogan antigovernativi ma senza creare disordini. Il 2 settembre si è invece verificata la prima grande frattura: le forze dell’ordine hanno sgomberato i dimostranti, e si sono verificati scontri ai quali sono seguiti numerosi arresti. In molti sono inoltre rimasti feriti da entrambe le parti. In seguito a questi eventi, Borisov ha proposto una bozza di riforma costituzionale, che però non è stata accolta positivamente dalla popolazione.

Leader del partito conservatore “Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria” (Gerb), Bojko Borisov ha già ricoperto la carica di primo ministro dal 2009 al 2013 e dal 2014 al 2017 prima del suo terzo e attuale mandato. La sua amministrazione non è mai stata esente dalle critiche dei cittadini, ma è nel corso di questo ultimo incarico che il malcontento popolare è definitivamente esploso. Il governo di Borisov è stato infatti denunciato come oligarchico, antidemocratico e lesivo della libertà di espressione, e i cittadini hanno iniziato a chiedere a gran voce le dimissioni del premier ed elezioni anticipate. Per la Bulgaria si tratta della prima grande protesta a non avere carattere anticomunista dal 1989.

Ad organizzare il movimento antigovernativo è stato il cosiddetto “Trio Velenoso”, composto dall’avvocato Nikolay Hagighencev e dai giornalisti Arman Babikian e Velislav Minekov. I manifestanti sono in gran parte giovani studenti e lavoratori che richiedono, oltre alle dimissioni di Borisov e Geshev, anche una riforma del sistema giudiziario e del sistema politico bulgaro in generale, non trovandosi rappresentati da alcuno dei partiti storici del Paese.

La dimensione delle proteste è cresciuta considerevolmente rispetto al primo periodo: oltre a radunare un numero sempre maggiore di partecipanti a Sofia, infatti, esse si sono estese fino alle grandi città europee che ospitano una rilevante comunità bulgara (Londra su tutte) e anche fino al Parlamento europeo, che lo scorso 8 ottobre ha votato una dura risoluzione contro la Bulgaria, condannandone lo stato di diritto, la diffusa corruzione, la mancanza di riforme del sistema giudiziario e le crescenti limitazioni alla libertà di stampa. Anche il presidente bulgaro Ruman Radev si è schierato a favore delle proteste di piazza, accusando il premier di violare la costituzione.

Borisov sembra per il momento non voler cedere alle richieste dei manifestanti e aspettare le prossime elezioni politiche bulgare, previste per la primavera 2021.

di Giovanni Benedetti