La Chiesa in missione sulle alture della Bolivia per prevenire la disabilità visiva

Uno sguardo nuovo per affrontare la vita

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18 settembre 2020

Le alture della Bolivia sono un terreno fertile di carità. I ritmi della vita quotidiana sono scanditi dalla natura e le tradizioni sono fortemente radicate. In questi territori operano da decenni i volontari dell’Operazione Mato Grosso che insieme alle parrocchie locali si prendono cura dell’educazione scolastica, dell’evangelizzazione e della formazione professionale in particolar modo dei giovani. A loro si rivolgono principalmente anche le iniziative dell’organizzazione di volontariato Christian blind mission Italia che nel Paese, con il sostegno della Conferenza episcopale italiana, di alcune Caritas e altre organizzazioni, si occupa di curare, sensibilizzare e prevenire la disabilità visiva.

«Tutto è nato spendendo molto tempo ed energie nell’aiuto di chi sta peggio di noi». Così Diego Bon racconta cosa ha spinto lui e la moglie, dodici anni fa, a partire in missione nel Mato Grosso. Un territorio situato al confine tra Bolivia, Brasile, Ecuador e Perú. La coppia opera nell’altopiano occidentale del Paese, nella parrocchia di Ambaná, che prende il nome dall’omonimo fiume che scorre tra le valli andine prima di sfociare nel lago Titicaca, a 3.800 metri di quota. La missione fu fondata nel 1999 dal parroco, don Valentino De Bortoli, in una zona in cui mancava un prete da oltre 30 anni. Nel 2000 avviò una scuola tessile per ragazze. Più tardi, nel 2014, è sorto un istituto maschile di falegnameria. «Lo abbiamo fatto per andare incontro alle esigenze dei ragazzi», spiega Bon, «in un’area che è molto esposta al fenomeno dello spopolamento verso la città e verso le piantagioni di coca». A causa della mancanza di lavoro pochi ragazzi restano a vivere nell’altopiano. «I loro genitori — prosegue — sono quasi tutti contadini, ma è un lavoro molto duro che qui fanno a mano. Nella mia vallata non è presente neanche un trattore». Perciò i ragazzi sognano di andare in città, ma lì trovano impieghi precari e mal pagati.

È nata così l’idea di costruire due istituti superiori privati gratuiti. I giovani seguono corsi di sei anni in cui acquisiscono conoscenze e imparano un lavoro. La parte scolastica e la formazione spirituale è curata da don Valentino, mentre Diego Bon si occupa del laboratorio di falegnameria, il Taller don Bosco. «Insegnamo loro anche a convivere con gli altri, perché la scuola è un pensionato in cui i ragazzi stanno dalla domenica al sabato», racconta il volontario. «Nei primi anni nessuno finiva la scuola», mentre «oggi un terzo dei giovani conclude gli studi. A quel punto hanno la possibilità di lavorare in una cooperativa di artigiani locale», senza dover emigrare. Oggi tre studenti sono iscritti all’università. Impensabile fino a pochi anni fa. «Questo anche grazie alla nostra scuola che gli permette di trovare un buon lavoro in città con cui pagarsi gli studi». Due studiano per diventare professori e «vengono molto apprezzati», sottolinea Bon con orgoglio, tanto che «i docenti hanno visitato le nostre sedi e si sono congratulati con noi».

Oggi si cerca di rinnovare la pastorale cattolica avviando i bambini ai sacramenti e puntando sulla carità. Gli allievi delle scuole aiutano con la catechesi e animano l’oratorio. Quest’ultimo ha un ruolo centrale nella vita parrocchiale, anche perché i giovani partono da qui per portare aiuto a poveri, vedove, anziani, famiglie con persone malate e con disabilità. La scuola è anche uno strumento di contrasto ai modelli educativi legati al narcotraffico e al contrabbando che si sta diffondendo al confine tra Bolivia e Perú. Basti pensare che la comunità di Ambaná oggi è composta da 5.000 abitanti dislocati in 40 villaggi, ma la metà di loro si era trasferita nella Yungas per coltivare la coca. «Gran parte dei nostri braccianti non sa cosa è una droga», dice Bon, ma «noi lo spieghiamo ai ragazzi più grandi e offriamo loro un lavoro che gli permetta di guadagnare il pane onestamente». Questo fa di loro bravi cittadini e buoni cattolici.

La pandemia è arrivata anche nelle valli. L’ospedale più vicino è a Escoma, a oltre due ore di auto. Sono decine i contagi da covid-19 registrati, ma la maggior parte sfugge alle statistiche perché le persone preferiscono curarsi a casa per paura di contagiarsi. Per questo motivo nella diocesi di Coroico, da giugno ad agosto, i volontari di Christian blind mission Italia hanno avviato una campagna di sensibilizzazione radiofonica per spiegare il virus nelle lingue locali. Il progetto si chiama «Unidos por el alma» ed è finanziato dalla Cei. Con il sostegno della Caritas locale sono stati distribuiti dispositivi di protezione a 29 centri medici, oltre che centinaia di kit sanitari e pacchi di alimenti ad altrettante famiglie in difficoltà che abitano nelle aree rurali intorno alla capitale La Paz.

Da anni l’organizzazione internazionale di ispirazione cristiana in Bolivia porta avanti progetti per la lotta contro la disabilità visiva e per il miglioramento delle condizioni di vita di queste persone. «Da chi ha una semplice miopia a chi vive situazioni di cecità che sono prevenibili», spiega Melissa Razzini, referente dei progetti nel Paese andino. «Sono malattie che oggi gli Stati più sviluppati possono curare facilmente, ma che nei luoghi in cui operiamo portano spesso a una cecità irreversibile». Parliamo di cataratta e di glaucoma che sono le principali fonti di perdita della vista. Tuttavia, anche la miopia o l’astigmatismo, che possono essere curati con l’utilizzo di occhiali, sono la prima causa di ipovisione. Altre malattie sono il retinoblastoma, un tumore, le infezioni come il tracoma e l’oncocercosi, e la retinopatia del prematuro. Quest’ultima patologia può colpire i bambini nati prematuri ed è la prima responsabile della cecità neonatale. Una malattia che impegna i volontari di Cbm Italia con un progetto basato su controlli preventivi e telemedicina finanziati dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, in collaborazione con la Fondazione don Gnocchi, con i volontari di Vis e Fundasil.

«Una persona con problemi visivi gravi come l’ipovisione o la cecità difficilmente riesce a lavorare», spiega Razzini. «Questo la esclude dal tessuto sociale ed economico e ostacola i bambini nel percorso di maturazione scolastica. Per questo a El Alto, nei dintorni della capitale, da due anni i volontari della onlus portano avanti un progetto di prevenzione dei disturbi visivi gravi e meno gravi, sia nella popolazione adulta che in età scolare. L’iniziativa prevede screening nelle scuole e nelle comunità, formazione dei professori e dei medici, distribuzione di occhiali, visite di controllo periodiche, terapie di riabilitazione, sensibilizzare della popolazione e identificazione delle patologie in un centro medico locale specializzato. Il programma, che termina a ottobre, ha avuto il sostegno economico della Cei e vede la partecipazione della Caritas locale.

La situazione politica e l’emergenza sanitaria hanno sconvolto il modo di fare volontariato. Alcuni missionari dell’Operazione Mato Grosso non sono potuti ripartire per l’America Latina. Christian blind mission Italia ha dovuto sospendere il monitoraggio nelle scuole e rinviare le operazione chirurgiche, e mentre i centri sanitari venivano destinati alla lotta contro il covid-19, assicurava le visite grazie alla telemedicina. La pandemia ha imposto un ripensamento delle modalità d’intervento. «Nei prossimi mesi — aggiunge Razzini — verrà utilizzata una clinica mobile per fare lo screening direttamente nelle comunità». Ciò rivoluzionerà e ravviverà un progetto di prevenzione sviluppato con il Rotary Club e con le Caritas di La Paz e di Coroico. Il Paese, intanto, si prepara alle elezioni nazionali di ottobre. La speranza è che si «discuta insieme qual è il cammino più opportuno» per il Paese, ha affermato l’episcopato boliviano. Il 27 settembre le chiese riaprono ai fedeli e tante preghiere chiederanno pace, stabilità e prosperità.

di Giordano Contu