I cristiani tedeschi trovano sempre più difficoltà a praticare l’asilo ecclesiastico

Una tradizione di accoglienza da difendere

Matratzen für junge Asylbewerber liegen am 12.09.2014 auf dem Boden in der Pfarrei St. Otto in ...
24 settembre 2020

Si riaccende il dibattito tra le grandi Chiese presenti in Germania e l’Ufficio federale per le migrazioni e i rifugiati (Bamf) sulle condizioni di applicazione del cosiddetto “Kirchenasyl”, una pratica che consiste nell’accogliere temporaneamente i richiedenti asilo nei locali delle chiese tedesche. Usanza nata oltre 30 anni fa ma resa più difficile dalle norme di questi ultimi anni. Nel grande paese dell’Europa centrale l’asilo ecclesiastico è stato sostanzialmente ripristinato all’indomani della caduta del muro di Berlino dopo un incontro tra varie comunità di credenti per denunciare l’allarme dei profughi provenienti dai paesi dell’ex blocco sovietico in dissoluzione, e da allora è sempre stato applicato. Nel 2015 sia la Conferenza episcopale tedesca (Dbk) che la Chiesa evangelica in Germania (Ekd) hanno raggiunto un accordo con il Bamf sulla procedura da applicare: le parrocchie e le congregazioni che concedono l’asilo ecclesiastico a una persona in cerca di protezione devono presentare un dossier all’ufficio federale, nel quale motivano le ragioni che a loro avviso inducono a temere che l’espulsione comporterebbe gravi difficoltà nel caso particolare in esame. Negli ultimi anni, il numero di casi per cui le autorità federali hanno accettato le ragioni prospettate dalle parrocchie o congregazioni è diminuito notevolmente. La durata massima dell’asilo, frutto di un accordo fra governo e autorità ecclesiali, era di sei mesi fino al 2018, quando i ministri dell’interno degli stati federati, insieme al ministero federale dell’interno, l’hanno estesa a diciotto mesi. In quest’arco di tempo le chiese o le comunità devono comunicare al Bamf chi sono gli stranieri ospitati e da quanto tempo soggiornano nelle loro strutture, in attesa della decisione governativa sul diritto alla permanenza nel paese o meno. Un periodo durante il quale i beneficiari di asilo ecclesiastico possono essere espulsi nei paesi europei attraverso i quali sono arrivati in Germania. Alcuni osservatori hanno interpretato questo come un provvedimento volto a dissuadere parrocchie e congregazioni dal concedere l’asilo, in quanto è certamente più difficile per loro ospitare un richiedente asilo nella loro sede per diciotto mesi piuttosto che ospitarlo solo per sei mesi, commenta la Dbk, contattata dal nostro giornale.

Di fatto, pochi giorni fa, il presidente della Ekd, Heinrich Bedford-Strohm, ha auspicato che vengano rimosse le regole più severe per l’asilo ecclesiastico. «Chiediamo al Bamf di tornare alla scadenza originaria di sei mesi», ha detto il responsabile al «Süddeutsche Zeitung». «Le parrocchie ci dicono che l’ospitalità in chiesa difficilmente può essere gestita con queste modalità, per tempi così lunghi», ha dichiarato dal canto suo il rappresentante della Chiesa evangelica a Berlino, Martin Dutzmann. Inoltre, è troppo pesante per le persone colpite rimanere così a lungo nella sala della comunità o in una stanza della chiesa. Sarebbero 354 gli asili ecclesiastici attivi al momento in Germania.

Antica prassi che affonda le radici nei secoli — nel Medioevo il diritto di asilo venne riconosciuto alle chiese e alle cappelle, all’atrio della chiesa, ai monasteri, agli ospedali e alle residenze dei vescovi in cui si trovassero delle cappelle — in Germania l’asilo ecclesiastico nella sua forma moderna risale agli anni ‘80, quando una parrocchia protestante a Berlino riuscì a proteggere tre famiglie palestinesi dalla deportazione nel Libano dilaniato dalla guerra. Un fattore significativo che ha contribuito all’ascesa del movimento è stata la decisione del Bundestag tedesco di limitare il diritto costituzionale di asilo nel 1993. Nell’anno successivo, sia i sostenitori protestanti che cattolici dell’asilo ecclesiastico hanno fondato il Gruppo di lavoro ecumenico Asilo nella Chiesa. L’apice delle tensioni tra Stato e Chiese è stato raggiunto nel 2019, quando un pastore luterano di Solingen, nel Nordreno-Vestfalia, e la sua comunità hanno impedito l’accesso in chiesa della polizia per prelevare un iraniano che l’ufficio immigrazione aveva accertato non essere in possesso dei requisiti per rimanere in Germania. «Nonostante questi recenti risvolti — commenta Matthias Kopp, portavoce della Dbk — è ancora possibile attingere alla tradizione dell’asilo ecclesiastico per trovare soluzioni responsabili che proteggano i rifugiati da gravi disagi. Pertanto, la Conferenza episcopale tedesca persegue l’obiettivo di salvaguardare l’accordo raggiunto con la Bamf e continua di dialogare con le autorità competenti».

di Charles de Pechpeyrou