Questo mese America latina

Una doppia esperienza rende più forte la fede

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26 settembre 2020

Una teologia “fatta da donne” tra uguaglianza e progetti solidali


Lo zucchero sprofondava nella margarina sotto la pressione del cucchiaio di legno rivoltato senza sosta da Diana. Gli altri 15, donne e uomini, sistemavano gli ingredienti e, nel mentre, chiacchieravano. Lo spazio era stretto ma non ci badavano. Avevano trovato un ordine tutto loro: la più anziana appollaiata sull’unica sedia, il resto accovacciato sul pavimento o appoggiato alla parete. L’impasto aveva quasi raggiunto la giusta consistenza quado Socorro ha cominciato a leggere: «Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva sacrificare la Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni, dicendo: “Andate a prepararci la cena pasquale, affinché la mangiamo”». Per un anno, una mattina alla settimana, Socorro Vivas Albán — docente di Teologia all’Universidad Javeriana di Bogotà — si è recata alla periferia sud della capitale accompagnata da un’équipe di studenti. Nel quartiere Bolívar, dove centinaia di migliaia di sfollati avevano cercato rifugio dagli orrori della guerra civile, ha radunato un gruppo di persone senza lavoro. Le ha messe intorno a un tavolo e ha insegnato loro a fare biscotti da rivendere per sopravvivere. Nel mentre, la teologa commentava con loro il brano dell’Ultima cena, come raccontato da Luca. Tra fornelli rudimentali e pentole, le parole evangeliche sono uscite dalla carta e si sono mescolate alle vite dei partecipanti, ferite dalla povertà, dall’esclusione, dalla violenza. Cucendo gli strappi, curandoli, lenendo il dolore, illuminando gli angoli bui. Dopotutto la teologia somiglia all’arte culinaria nella capacità di sciogliere i “grumi” della fede e farla fluire nell’impasto quotidiano dell’esistenza umana. Socorro Vivas ne è certa: «Il fine di progetti come questo è trovare nuovi luoghi teologici dove, in questo tempo, Dio si rivela». La studiosa è una delle fondatrici dell’Asociación colombiana de teólogas (Act), uno spazio per pensare la fede al femminile. Nato nel 1999, è uno dei molti movimenti con cui, nell’ultimo mezzo secolo, le cattoliche latinoamericane, laiche e religiose, hanno cercato di farsi protagoniste della costruzione del Regno. Un fermento ispirato dal Concilio e dalla sua incarnazione nel Continente, con le Conferenze dell’episcopato latinoamericano di Medellín e Puebla. «Cinquant’anni fa, le donne non studiavano teologia. Né tantomeno la facevano. Il sapere teologico era patrimonio esclusivo degli uomini di Chiesa – spiega una delle esponenti della prima generazione di teologhe latinas, la colombiana Isabel Corpas de Posada, anche lei colonna dell’Act -. Il Concilio ha cambiato le cose, restituendo alla teologia l’altra metà dell’esperienza umana». Quella metà senza la quale, come narra la Genesi, l’immagine del Creatore è mutilata.

Proprio nell’anno di Puebla, il 1979, si è svolto in Messico, il Congresso di Tepeyac, considerato uno degli incubatori di quella che poi è stata definita la “teologia femminista latinoamericana”, avviata dagli studi delle pioniere Elizabeth Schüssler Fiorenza, María Clara Bingemer, Nancy Pineda, María Alicia Brunero, María Pilar Aquino. La loro memoria viene raccolta e tramandata grazie al lavoro delle eredi. Il termine “femminista” può suonare “sospetto” a certe orecchie clericali. In realtà, esso va compreso alla luce del contesto. «Non si tratta di un maschilismo al contrario, la nostra non è una teologia rivendicativa. Al contrario. Riflettiamo sulla fede a partire dalla nostra esperienza di donne. E cerchiamo di vivere e promuovere l’uguaglianza, anche fra uomini e donne, come ci chiede Gesù nel Vangelo. Per questo, per evitare pregiudizi o inutili fraintendimenti preferisco parlare di teologia fatta dalle donne» spiega Marcela Mazzini, teologa dell’Università Cattolica argentina e una delle ideatrici di Teologanda [a pagina 8 un suo intervento sul Sinodo della Famiglia ] . «Ho frequentato la Facoltà di Teologia quando non c’era nemmeno una docente donna di tale materia. Una volta laureate, abbiamo iniziato a riunirci fra ex compagne di corso. Dopo anni di incontri informali, ci siamo date una struttura nel 2003 con l’obiettivo di incentivare la teologia al femminile. Abbiamo realizzato un ampio lavoro di ricerca in quattro tomi che raccoglie il contributo delle principali teologhe latinoamericane. Anche grazie alla collaborazione con l’Associazione delle teologhe cattoliche tedesche, inoltre, abbia realizzato incontri internazionali. E ora andiamo avanti proponendo progetti di ricerca e borse di studio», afferma l’accademica di Buenos Aires, fermamente convinta della necessità che le donne facciano teologia. «Perché la fede deve essere pensata da tutti i luoghi esistenziali possibili. Il discorso teologico è impregnato dal contesto. Non è lo stesso che a formularlo sia un maschio o una femmina, un laico o un presbitero» conclude. Per tale ragione, la teologia al femminile non è «roba da donne», come non si stanca di ripetere Lucila Servitje, esponente del consiglio della Cattedra di teologia femminista costituita nel 2016 all’interno dell’Università Iberoamericana di Città del Messico. «Ci proponiamo di interpretare la fede a partire dall’esperienza femminile. Un lavoro non solo a vantaggio delle donne. La loro discriminazione rappresenta una ferita anche per gli uomini, privati di altri modi di immaginare il rapporto con Dio e, dunque, di vivere la loro piena umanità. Non si tratta di negare la differenza tra i generi ma di lottare perché questa non sia utilizzata per giustificare la diseguaglianza. La teologia femminista non è un gruppo di pressione in favore del sacerdozio femminile. E’ un servizio in favore di ogni essere umano. Non a caso del consiglio della cattedra fanno parte teologhe e teologi».

«Non vogliamo sostituire un dominatore con una dominatrice. Bensì lottiamo evangelicamente contro ogni relazione di dominio, in cui l’altro viene ridotto a oggetto, poiché si tratta di una situazione di peccato che avvelena il cuore di chi sfrutta e di chi è sfruttato»” sottolinea suor Geraldina Céspedes, missionaria domenicana del Rosario e teologa dell’Università Rafael Landívar di Città del Guatemala dove, nel 1994, insieme alle compagne di corso e a due insegnanti ha avviato il gruppo Mujeres y teología. Ventisei anni dopo, al tradizionale incontro annuale con il pubblico, si ritrovano centinaia di persone. «Condividiamo e ci adoperiamo per mettere in pratica il sogno di Gesù – prosegue – di una comunità inclusiva, dove ci sia posto per tutti».

José León Suárez, affollata cintura urbana di Buenos Aires. Consuelo era scettica sul circolo. Impegnata nel quotidiano sforzo di sopravvivere alla crisi cronica, pensava di non avere tempo per le attività astratte. La Bibbia, invece — ha imparato nelle riunioni settimanali — ha molto di concreto da dire alla sua vita di donna povera e vittima di violenza. Nella Parola, nelle chiacchierate, negli esercizi di rilassamento e danza ha trovato forza e speranza. Proprio per questo, un gruppo di religiose, tredici anni fa, ha creato Arraigos para la vida, circoli femminili ormai diffusi in tutta l’Argentina. «Il Vangelo restituisce piena dignità a chi è stato a lungo “scartato” – conclude la sociologa Ana Lourdes Suárez, veterana di Arraigos — E nel farlo trasforma la vita. L’ho visto accadere molte volte. Quando gli esseri umani camminano fianco a fianco. Diventando Buona Notizia, gli uni per gli altri».

di Lucia Capuzzi