Punti di resistenza

Una 007 indiana contro Hitler

Noor Inayat Khan
12 settembre 2020

Storia di Noor Inayat Khan giustiziata il 13 settembre 1944 a Dachau


Sulle labbra aveva ancora il soffio della parola “libertà”, l’ultima parola da lei pronunciata, il 13 settembre 1944, quando fu giustiziata, con un colpo di pistola alla nuca, nel campo di concentramento di Dachau: pochi conoscono le eroiche gesta di Noor Inayat Khan, che cercò di opporsi alla furia nazista in nome della pace.

Nei giorni scorsi, Shrabani Basu, la biografa di Khan, ha scoperto, durante una cerimonia ufficiale, una targa blu in suo onore a Taviton Street a Londra. Nel 2012 un suo busto era stato inaugurato nel centro della capitale inglese: due gesti, questi, dall’alto valore simbolico, perché concepiti come un tributo di riconoscenza per l’estremo sacrificio da lei compiuto per aiutare la Gran Bretagna a combattere il nazismo.

Era nata a Mosca nel 1914, da padre indiano musulmano e da madre statunitense. I genitori erano Sufi e lei crebbe con profondi ideali pacifisti. La famiglia si trasferì a Londra allo scoppio della Grande guerra e successivamente in Francia, vicino Parigi. Durante la seconda guerra mondiale si trasferì nuovamente in Inghilterra, dove si arruolò volontaria nella Women’s Auxiliary Air Force e venne addestrata per diventare un’operatrice radio. Nel frattempo venne notata — in particolare per la sua pronta intelligenza e per il suo coraggio — dalla British Special Operations Executive, un corpo speciale incaricato di sabotare le forze naziste nei Paesi europei occupati dalla Germania.

La missione cui fu chiamata era molto pericolosa: si trattava di trasportare gli apparecchi in territorio nemico e, in caso di cattura, l’agenzia segreta non avrebbe potuto fornire alcun aiuto. Khan accettò e nel giugno del 1943 atterrò ad Angers, a sud di Parigi. La missione fallì una settimana dopo il suo arrivo. I suoi compagni furono arrestati e lei venne richiamata in patria. Khan, tuttavia, riuscì a convincere i superiori a farle proseguire la missione, anche se ciò avrebbe significato eseguire da sola il lavoro di sei operatori. Nei quattro mesi successivi trasportò rifornimenti alla resistenza francese, inviò rapporti sull’attività nazista a Londra e organizzò il trasporto di soldati alleati. Nell’ottobre del 1943 la sorella di una collega — innamorata di un uomo che amava Khan — comunicò il suo indirizzo alla Gestapo. Arrestata, riuscì a fuggire, ma poco dopo tempo cadde di nuovo nelle grinfie dei soldati nazisti. Fu quindi trasferita al campo di concentramento di Dachau, dove, dopo essere stata sottoposta a torture, fu giustiziata.

Ricorda il quotidiano «The Telegraph» che la targa blu è un importante e ambito riconoscimento che viene dato dalla English Heritage, un organismo pubblico incaricato della gestione del patrimonio culturale della Gran Bretagna. Proprio recentemente l’English Heritage ha ammesso che soltanto il 14 per cento della 950 targhe a Londra finora conferite rappresentano donne: una “omissione” che ci si ripromette in futuro di riparare. Questo scenario contribuisce a dare un rilievo ancora maggiore alla figura di Noor Inayat Khan che per la Gran Bretagna sacrificò la vita perché credeva nella pace, ovvero in un valore che non conosce geografia, confini e barriere.

di Gabriele Nicolò