Il profumo nel Vecchio e nel Nuovo Testamento secondo Anne Lécu

Un quasi nulla che indica la strada

Carlo Crivelli, «Maria Maddalena» (1476, particolare)
01 settembre 2020

«Andare incontro ai profumi biblici è un poco come camminare nella nebbia. È perdersi, con il proprio lettore, in un vagabondaggio onirico che non segue il tempo cronologico, ma un semplice effluvio, un “quasi nulla”, che sempre minaccia di volatilizzarsi, di perdersi. Significa incrociare delle impronte senza sapere se sono le nostre (…) o quelle di qualcun altro, passato di lì molto tempo prima».

Così in apertura del suo ultimo libro Mi hai unto con un profumo di gioia (Edizioni San Paolo 2020, pagine 240, euro 20, traduzione di Natale Benazzi), suor Anne Lécu invita il lettore a entrare in quel mondo di essenze, balsami e resine odorose che attraversa tutta al Sacra Scrittura dal momento che «la Bibbia è un libro profumato».

Religiosa domenicana in costante ricerca spirituale su temi afferenti alle “ferite” dell’umano e con un dottorato in filosofia pratica (tesi finale sulla cura dell’altro nella prigione), dal 1997 Lécu è medico in un carcere nell’Île-de-France. Scrittrice prolifica, in questo testo scompone e ricompone la Parola di Dio in una lettura originale. Rovesciando i ruoli, ricorda come i credenti siano tali perché possiedono non solo il «profumo di Cristo», l’aroma dello Sposo, ma anche l’odore del legno della croce, intriso del suo stesso sangue.

Dalle descrizioni poetiche ed evocative contenute in Genesi, fino all’offerta devota e silenziosa delle donne al sepolcro nel mattino di Pasqua, il viaggio, anzi il vagabondaggio di Lécu scorre in realtà su un duplice binario. Vi è infatti l’indagine di cosa un profumo sia in sé, e la ricerca di cosa esso ci faccia nella Parola di Dio. O meglio, del perché esso la impregni.

In assoluto il profumo annuncia la presenza di qualcuno ancor prima che egli si manifesti. E la sua traccia — nota Lécu — resiste anche quando la persona se n’è andata. Il profumo «assicura una forma di persistenza legata al corpo, ma differente dal corpo, una sorta di corpo esteso». E spesso la sua potenza si dispiega in corrispondenza con gli altri sensi. Sono infatti «le metafore a descrivere meglio i profumi, perché questi sono sfuggenti e le parole non possono contenerli».

Interessantissime le pagine del libro dedicate a Gesù, incastonato fra la mirra dei magi alla nascita e il nardo della donna di Betania prima della morte. Non solo a Betlemme riceve i re venuti da Oriente che gli offrono oro, incenso e mirra; non solo alla sua morte le donne preparano aromi da portare il mattino di Pasqua per l’imbalsamatura: ripercorrendo la vita di Gesù ogni evangelista riporta almeno una scena con un profumo, «in un’ambientazione nuziale, persino sensuale, in cui Gesù accetta balsami dalle donne che gli si avvicinano. L’insieme della tematica degli aromi, degli oli e dei profumi tesse una tela di cui Lui è il centro».

Ma vi è anche l’altro lato della medaglia, nota ancora Lécu, la cui scrittura ricorda lo zoom di un regista curioso e poetico in cerca di dettagli per comprendere la complessità della scena. Il buon odore di Gesù, infatti, «non va da sé». Perché il figlio di Dio è nato in una stalla, luogo non certo di buoni effluvi, e dalla crocifissione si trova ad affrontare l’odore del sangue, della morte e della putrefazione. «Tra la puzza e il fetore della croce il “profumo” di Cristo non è poi così scontato. Esso nasce giustamente laddove vi sono odori che allontanano. Dalla nascita di Gesù, però, già annuncia la vittoria sulla morte». Si tratta, insomma, dell’ «unico profumo di Cristo».

Attraverso questo singolare vagabondare, Anne Lécu invita il lettore a entrare in relazione con la Parola e con Dio, e soprattutto a farlo facendosi profumo. Perché «un profumo non ha altro sogno che effondersi. Non può essere contenuto. Come il Risorto, apre porte chiuse e finestre. Il dolce aroma del Vangelo non ha la vocazione di rimanere chiuso in una boccetta di alabastro. Il flacone è spezzato, il corpo del Maestro è spezzato, ed ecco ormai il profumo sparso ben al di là delle frontiere del mondo conosciuto».

Perché c’è un’altra caratteristica fondante dell’essere profumo. L’essere in relazione. «A contatto con coloro che lo ricevono — infatti — il profumo si modifica. Rivela la vera natura di chi profuma. Fa zampillare da ciascuno il meglio di ciò che è». E lo Spirito Santo, il profumiere, «sente chi siamo, prima di noi stessi, a nostra insaputa».

di Silvia Gusmano