Punti di resistenza

Un popolo in cammino

Caravaggio, «Riposo durante la fuga in Egitto» (1597)
05 settembre 2020

La XXI Giornata della cultura ebraica


È stata pensata nel 2000, allo scopo di «aprire le porte» ai luoghi dell’ebraismo, approfondendone usanze e tradizioni, avvicinando alle sinagoghe, al patrimonio storico-artistico e all’architettura di una civiltà millenaria. Questa XXI Giornata della cultura ebraica, che coinvolgerà 32 Paesi europei e 90 località italiane, si celebra in un clima e secondo modalità inevitabilmente diverse: lo spirito alla base della manifestazione — diffondere e condividere storia e principi fondanti, pratiche e riti, significati e valori dell’identità ebraica e, soprattutto, mostrare la vitalità di una comunità radicata in tutto il mondo — resta, tuttavia, intatto. Conoscere la “lingua” con cui si esprime l’ebraismo aiuta ad abbattere i pregiudizi, a favorire la propensione allo scambio e all’accoglienza, a improntare le relazioni sul rispetto delle diversità.

Come ogni anno, un filo conduttore lega tutte le località nei diversi Paesi e, questa volta, i partecipanti seguiranno davvero un tratto di strada insieme: il tema proposto è, infatti, Percorsi ebraici, richiamando un’idea, quella del popolo in cammino, fortemente radicata nella storia ebraica. Una storia che ha inizio con l’abbandono di Abramo della terra dei padri, per volere di Dio, per una destinazione ignota.

«Il brano ci invita a scoprire da dove veniamo e quel che di non buono c’è», riflette Alfonso Arbib, rabbino capo della Comunità ebraica di Milano. «Ad Abramo — continua — viene chiesto di lasciare il culto idolatra dei padri e intraprendere una strada nuova: per quale destinazione non si sa. Abramo raggiungerà la terra di Canaan, poi terra d’Israele, ma questo si rivela solo in seguito, come in ogni percorso, la cui prerogativa è proprio quella di sapere cosa si lascia, ma non cosa si trova. In particolare, questo elemento è una costante di molti passaggi della storia ebraica». Il pensiero corre a un altro percorso fondamentale per il popolo ebraico, quello di liberazione dalla schiavitù e dall’oppressione, che dall’Egitto conduce al Sinai e ad abbracciare il dono della Torà: prima del compimento di quella promessa — l’entrata in terra di Israele — trascorreranno quaranta anni.

«La lunga attesa, il percorso accidentato verso la Terra Promessa è una metafora del cammino di ciascuno di noi, in cui si alternano cadute e ripartenze — afferma il rabbino Arbib — entrambe parti integranti della nostra crescita, purché alla caduta segua la volontà di rialzarsi». Teshuvà, ovvero “ritorno”, “pentimento”, è il principio cardine su cui si sofferma Arbib: «Per quanti errori possiamo commettere, non ci sono mai impedite la via della riconciliazione e la libertà di riprendere il giusto sentiero».

Un grande Maestro dell’Ottocento, Rabbi Chayim di Wolojin, parla dell’esistenza di un approccio ideale all’ebraismo, a cui, però, non è semplice adeguarsi, perché implica accettare di salire i gradini di una scala di cui potremmo non raggiungere la cima: «È una prospettiva simile a quella messianica, che contempla la redenzione e che essa sarà portata dal Messia — conclude il rabbino, sottolineando l’elemento che accomuna e unisce tutta l’umanità —. Il processo di redenzione non riguarda solo il popolo ebraico, liberato dall’oppressione, ma l’intera umanità, che sarà riscattata dalla violenza, dalle divisioni, e potrà parlare la lingua comune del perdono, della verità e della pace».

Ed ecco emergere il tema della giornata: non è noto quando tutto ciò si realizzi, ma a noi è chiesto di comportarci in modo da favorire la venuta del Messia: il Maimonide invita a non curarci del quando, ma piuttosto a vivere in modo da permettere la redenzione messianica. Quale è il senso, dunque, di una giornata interamente dedicata alla riflessione e perché mettere al centro l’Europa?

Gadi Schonheit, assessore alla cultura della comunità ebraica di Milano ricorda che la cultura non comprende solo mostre d’arte o concerti, ma tutta una rete di relazioni tra uomini e donne e tra popoli: «Non a caso, in ogni epoca — aggiunge Schonheit — tra i primi provvedimenti dei regimi dittatoriali compare la cancellazione delle manifestazioni culturali e la messa al bando dei libri, proprio per la profondità e la gravità delle conseguenze sui rapporti tra le persone: l’interruzione delle attività culturali crea una cesura all’interno di ogni comunità».

Quanto sia palpabile questo effetto lo si sta percependo in questo periodo, a seguito dell’emergenza che ha portato al lockdown: «Una persona, sola o isolata, più facilmente è condizionabile nel pensiero e nello stile di vita: per questo, come comunità di Milano abbiamo organizzato decine di eventi culturali, nella primavera scorsa, proprio per non lasciare le persone sole». Dunque, quale ruolo giocano le comunità ebraiche nel contesto europeo? «La cultura ebraica in Europa — precisa Schonheit — è da secoli un veicolo importante di dialogo e avvicinamento, in ambito filosofico come scientifico, teatrale e musicale, ma soprattutto, ora, di fronte alla più grave crisi del dopoguerra, non può venire meno a questa funzione aggregatrice e inclusiva, decodificando il concetto di percorso nella maniera più ampia e attuale possibile».

Così, a Milano, Gabriele Nissim ci parlerà dal Giardino dei Giusti dei “giusti” della pandemia che si sono messi al servizio del prossimo. Il rabbino Sachs terrà un intervento sulla forza delle idee nelle emergenze. E, seppure molti eventi saranno in streaming, il concerto finale di domani sera si terrà all’aperto, in piena sicurezza, ai Bagni Misteriosi del teatro Parenti. Infine, una nota biografica dello stesso Schonheit ci riporta all’attualità di questi giorni: «Mio padre, sopravvissuto al lager di Buchenwald, ai ragazzi nelle scuole raccontava del giorno in cui apprese della liberazione dal campo: non riconosceva più la libertà, persa dall’avvento delle leggi razziali, ma aggiungeva che nemmeno i nazisti erano liberi, perché non lo si è, se non lo è il nostro prossimo. Di queste parole dovremmo fare tesoro oggi, di fronte a migliaia di persone in cerca di libertà: non possiamo voltare lo sguardo dall’altra parte o finiremo per smarrire la nostra libertà».

di Silvia Camisasca