Intervista a Barbara Henry su transumanesimo e post-umanesimo

Un nuovo tipo di colonialismo

Una scena del film «The Matrix» (Andy e Larry Wachowski, 1999)
22 settembre 2020

Intervistata da Carla Danani, che insegna all’università di Macerata, Barbara Henry (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa) sarà tra i relatori che parteciperanno al lXXV Convegno del Centro Studi Filosofici di Gallarate su «La natura e l’umano: quale rapporto», dal 24 al 26 settembre. Un tema di grande attualità in questi tempi in cui il rapporto con la natura è tornato prepotentemente alla ribalta sotto diversi rispetti. Uno dei più rilevanti è il superamento dell’antropocentrismo autoreferenziale in favore di una prospettiva di ecologia integrale, nel cui orizzonte l’umano viene investito del compito della cura complessiva del creato. Tra i partecipanti al convegno Carlo Cirotto (università di Perugia), Adriano Fabris (università di Pisa), Paolo Gamberini (Facoltà Teologica Pontificia di Napoli e University of San Francisco), Mario Micheletti (università di Siena), Pietro Pietrini (Imt di Lucca). Il convegno — tranne per le sessioni dei gruppi di lavoro — potrà essere seguito in diretta su Youtube.

In questo tempo, in cui da un lato viene messa in discussione la possibilità di parlare di natura umana ma, dall’altro, il rapporto con la natura è tornato prepotentemente alla ribalta sotto diversi rispetti, ci si deve impegnare a ripensare più a fondo quel nesso, come suggerisce anche l’enciclica di Papa Francesco Laudato si’, che propone una ecologia integrale nel cui orizzonte l’umano viene investito del compito di cura complessiva del creato. Ne scaturisce la domanda: quale natura in rapporto a quale rappresentazione dell’umano? Domanda che diventa ancora più complessa considerando la grande trasformazione cibernetico-digitale dell’ambiente in cui viviamo.

Oltre a esplorare il tema negli ambiti regionali della biologia, della neurofisiologia e della intelligenza artificiale, il convegno si propone di considerare la prospettiva filosofica di tipo naturalistico e la proposta di forme diverse di oltrepassamento dell’umanesimo. Su quest’ultimo aspetto sabato 26 settembre interverrà Barbara Henry, filosofa di fama internazionale e ordinaria di Filosofia Politica presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Studi Universitari e di Perfezionamento di Pisa. Le rivolgiamo qualche domanda che introduca al tema del convegno e, in particolare, a quello che sarà il suo intervento.

In primo luogo è importante uno sforzo di chiarificazione terminologica e concettuale. Ci sono termini utilizzati talvolta con una certa confusione: mi riferisco a postumanesimo, post-umanesimo (scritto con il trattino), transumanesimo, umanesimo digitale.

Il transumanesimo — i cui sostenitori usano in una specifica accezione il termine di post-umano (con il trattino) contribuendo all’opacità definitoria — e il postumanesimo filosofico sono su versanti opposti fra le concezioni pienamente integrate, ma con radici ed esiti diversissimi, nella rivoluzione cibernetico-digitale; l’umanesimo digitale è in una posizione laterale, in quanto traspone nell’età digitale, senza particolari ripensamenti, la versione dell’umanesimo “canonico”, ignorandone e quindi riproducendone ai nostri giorni le criticità, fra le altre il logocentrismo, l’antropocentrismo radicale, l’universalismo astratto.

Postumanesimo e transumanesimo sono quindi filosofie antitetiche. Perché ritiene da respingere la prospettiva transumanista?

Con Postumanesimo (critico, in particolare), indichiamo una concezione a-disciplinare, polimorfica, ibrida, irriducibile a schemi preconcetti, nella misura in cui lo è l’universo simbolico-materiale e la nozione, il postumano, al quale rinvia. Il suo ambiente è un insieme di fenomeni, di difficile catalogazione e con origini culturali, storiche e disciplinari diverse, che possiamo chiamare postumano latente, già presente fra noi, e che l’illuminismo, erede non fedele dell’umanesimo, ha purtroppo oscurato per secoli: un insieme che precorre una inedita società futura di forme di intelligenza e di esistenza interagenti — umane, animali non umane, bioniche e ibride, artificiali — tutte da considerarsi, pur con le debite distinzioni categoriali, sullo stesso livello in termini etico-politici, tutte egualmente libere e degne, almeno presuntivamente. Non è dunque lecito che si identifichi il postumano e la filosofia corrispondente, Postumanesimo, con una visione antropocentrica e tecnofiliaca, che sia svincolata dalle relazioni dello stesso potenziamento tecnologico umano con l’ecosistema, le specie non umane, la materia e il cosmo. Ben altro è il Transumanesimo, cui corrisponde una vera e propria agenda transumanista, prevalente in contesti decisionali egemonici in politica e in economia e abilmente propagata dagli araldi di una indiscussa dominanza del libero mercato e dell’individualismo acquisitivo. Secondo chi scrive questa agenda va criticata e respinta, non da ultimo, per la sua debolezza a fronte delle ben fondate accuse di possedere, a livello di premesse teoriche, i lineamenti di un antropocentrismo e di una eccezionalità ontica aventi natura predatoria, superomistica e coloniale. Il Transumanesimo va correttamente inteso e criticato come ideologia/filosofia mirante a oltrepassare, nel senso di abolire nella dimensione mondana, lo status di esseri umani in quanto entità finite ed incarnate, discrete, strutturalmente relazionali e orientate grazie alla corporeità, materiale e simbolica ad un tempo. Intravede la soluzione per la sopravvivenza nella colonizzazione illimitata di altri pianeti e del cosmo, come se avessimo inscritta indefettibilmente in noi la licenza di dominare, di asservire, di esaurire qualunque cosa esista o viva nell’universo. Niente di più antitetico alla visione di una ecologia integrale.

Lei utilizza volentieri l’espressione postumanesimo critico, e ritiene che vada messo in valore. Può spiegarci meglio?

Il Postumanesimo critico, attraverso le nozione centrali di ibridità e ibridazione, è una accezione del postumanesimo che consente di lumeggiare, in una lettura diacronica e sincronica tanto delle tradizioni nascoste nell’alveo dell’Occidente quanto in quello dell’Oriente (categorie da leggersi entrambe al plurale), specifici connubi e chiare alleanze fra le specie e le dimensioni del reale, caratteri di compresenza, contiguità, transitività, coappartenenza dei diversi livelli e forme della materialità e della vita. Ciò che viene superato, dal punto di vista concettuale e ontologico, sono tre dicotomie fondamentali: fra dimensione razional-spirituale e dimensione materiale, fra dimensione immanente e dimensione trascendente, fra umanità e altre forme, organiche e inorganiche, di esistenza. Come è ben evidente nei testi del taoismo, con assonanze impreviste con le parole di Simone Weil, l’orizzonte della sapiente armonia e interrelazione fra gli enti non è astrattamente uniforme ma è irriducibilmente e corposamente plurale. Una pluralità originaria che impone di riconsiderare la centralità del ruolo dell’umano nel cosmo e la sua disposizione all’umile ascolto della polifonia semantica e indessicale nemica dello specismo e del logo-fallocentrismo antropocentrico che tanto invece ci ha caratterizzato come occidentali moderni.

La sua posizione può sollevare alcune preoccupazioni. Non ritiene, ad esempio, che il discorso interspecista possa comportare una sorta di indifferenza alla differenza dell’umano?

Non credo che esista tale pericolo, se naturalmente accettiamo di vedere oltre l’orizzonte angusto della nostra presunta superiorità occidentale, accettando l’interculturalità cognitiva. Esistono versioni sincretiche (assai sofisticate) di ben più antiche radici animistiche, che sono esempi di postumano latente, e non prospettano affatto «una notte in cui tutte le vacche sono nere».

Ritiene che saremo costretti a rivedere la nostra visione di ciò che significhi essere “umano”?

Sì. Divenendo ciò che “in gran parte non siamo ancora stati”, nonostante avessimo già da tempo la potenzialità di diventarlo.

di Carla Danani