Leone d’oro a Luis de Pablo alla Biennale musica di Venezia

Un inesorabile bisogno di senso

Marco Angius e l’Orchestra di Padova e del Veneto
24 settembre 2020

Bruno Maderna, Luigi Nono, Franco Donatoni, Ludwig van Beethoven: il 2020 avrà pure creato qualche problema di troppo alla vita concertistica, ma non si può dire che manchino gli anniversari. Il Festival della Biennale musica di quest’anno si intitola «Incontri» proprio perché il direttore artistico Ivan Fedele ha deciso di ruotare attorno ad alcune personalità del passato, al loro pensiero e alle loro pratiche musicali, mettendole in dialogo con autori della più stringente contemporaneità.

Da questo punto di vista la scelta di assegnare a Luis de Pablo il Leone d’oro della sessantaquattresima edizione sembra un modo per gettare un ponte tra due mondi: da una parte la tradizione consolidata, dall’altra lo spirito di innovazione. Il momento appare propizio, anche perché l’attualità, da qualche decennio, ci restituisce una realtà molto variegata nella quale, se si eccettua qualche sacca residuale, i dogmatismi appaiono superati e i compositori sembrano sentirsi liberi di utilizzare qualsiasi linguaggio, di mescolare gli stili, di recuperare e di inventare nello stesso momento. Potrebbe essere il momento dei “dimenticati”, degli esclusi, di quelli che non facevano parte di nessuna consorteria, più in generale di quelli che scrivono musica senza pregiudizi.

Classe 1930, de Pablo è uno di questi. Compositore onnivoro autore di un catalogo che supera le 200 opere, tra cui si annoverano anche colonne sonore di film di Carlos Saura, ha uno stile riconoscibile e personale senza che questo lo porti a particolari chiusure pregiudiziali. E proprio questa apertura l’ha portato a una svolta estetica in età avanzata, proprio nel momento in cui avrebbe potuto tirare i remi in barca e fare accademia di se stesso. Evidentemente non gli interessava.

Il riconoscimento gli sarà consegnato subito prima del concerto inaugurale, il 25 settembre al Teatro alle Tese. In programma la prima assoluta del Concierto para viola y orquesta e la novità per l’Italia Fantasías per chitarra e orchestra. Come si addice a una occasione solenne sono stati coinvolti solisti d’eccezione: il violista Garth Knox e il chitarrista Thierry Mercier. Sul podio dell’Orchestra di Padova e del Veneto ci sarà Marco Angius, che ha trasferito stabilmente la sua passione e la sua competenza per la musica contemporanea nei programmi della compagine che guida da qualche anno.

Autore prolifico, sicuramente il più attivo fra i compositori spagnoli sulla scena internazionale, Luis De Pablo è un poliglotta colto, con una propensione particolare per la lingua e la letteratura inglesi. Da qualche anno, però, sembra avere impresso una netta sterzata alla sua poetica, grazie alla scoperta del mondo infinitamente ricco e vario del repertorio etnico. Una sorta di rivoluzione copernicana che strappa dalle mani della musica occidentale lo scettro della primogenitura artistica e rimette in gioco gerarchie e tradizioni. Come diretta conseguenza le ultime opere del compositore spagnolo sono diventate espressione di un eclettismo delle fonti, che trova un momento di sintesi in una tecnica raffinata messa a punto in decenni di lavoro artigianale.

Tutto inizia nel 1994, quando gli viene commissionato un breve lavoro per i 90 anni dell’Orchestra Sinfonica di Madrid. Nasce così Pot pourri, costruito su frammenti di due pezzi già eseguiti Kiu e Il viaggiatore indiscreto. Il processo è avviato, ma ci sono ancora potenzialità da sviluppare. Forse sapendolo, forse no, l’autore mette in moto una macchina creativa che lo porterà alla definizione di una suite in sei movimenti, Vendaval, un lavoro che stabilirà nuovi parametri espressivi nella sua poetica. Per comporre c’è bisogno di commissioni, e la successiva arriva dalla città di Bologna, che gli chiede di scrivere un lavoro in memoria delle dell’attentato dell’agosto 1980. Vedono così la luce Danza e Final. Manca poco. Con l’aggiunta di Cuerdas, Hausa e Ojos cerrados, il processo arriva a conclusione.

Ora è tutto chiaro: il compositore spagnolo è mosso dall’esigenza di una creazione che si concretizza in una navigazione su mari inesplorati. L’approdo è incerto, gli sviluppi imprevedibili. Passione e lucidità speculativa si mescolano, si procede cercando una risposta, qualcosa che illumini un inesorabile bisogno di senso. Si cerca ovunque. Anche in una breve melodia del Ciad pensata per l’accompagnamento rituale della passeggiata di un sultano, come avviene in Hausa, il quarto dei sei movimenti di Vendaval. Non è contaminazione è necessità, è non c’è nemmeno bisogno di trovare risposte, basta porre le domande. Si tratta di prendere le cose dove stanno e di filtrarle attraverso la propria sensibilità. Non di utilizzare il sitar o un altro strumento esotico in un contesto occidentale, ma di ripensare la centralità del mondo nell’era dell’interconnessione. Un po’ più complicato, ma anche più stimolante. Che lo faccia un compositore affermato, malgrado l’età avanzata, rende la cosa ancora più interessante.

Intanto crescono le nuove generazioni, che con un mondo interconnesso hanno una innata confidenza. Tra i più celebrati compositori non ancora cinquantenni il francese il Raphaël Cendo, nato nel 1975 e fondatore di un proprio movimento estetico, il “saturazionismo”. A lui va il Leone d’argento, che sarà consegnato il 3 ottobre prima di un concerto in cui sarà presentato in prima italiana Delocazione, un lavoro composto nel 2017 su un mosaico di testi di Claude Royet-Journoud, Georges Didi-Huberman, Rainer-Marie Rilke, Georges Bataille. Ad eseguirlo saranno il quartetto Tana e i Neue Vocalsolisten.

di Marcello Filotei