La IV edizione del Joint Diploma in Ecologia Integrale delle Università e degli Atenei pontifici di Roma

Un’alleanza pedagogica per la Casa comune

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04 settembre 2020

«Fare alleanza» è una delle parole d’ordine dell’enciclica Laudato si’, e a costituire un’inedita alleanza sono state le Università e gli Atenei pontifici di Roma con l’istituzione del primo titolo di studio interamente congiunto. Arrivato alla sua iv edizione, il Joint Diploma di Ecologia Integrale (Jdei) è un percorso accademico annuale che desidera promuovere i valori dell’enciclica in ottica interdisciplinare. I centri accademici coinvolti condividono professori, competenze e sedi delle lezioni in Roma, anche se la presente situazione sanitaria ha portato a una ulteriore implementazione della didattica a distanza, già sperimentata nelle precedenti edizioni. Le iscrizioni online per l’anno accademico 2020-2021 sono aperte fino all’11 novembre sul sito www.unigre.it; per informazioni si può contattare l’indirizzo mail jdei@unigre.it. Ne parliamo con il professor Ivan Colagè, membro del Comitato scientifico del Jdei e docente incaricato di Logica e Filosofia della Scienza presso la Pontificia Università Antonianum di Roma.

Quali sono i tratti peculiari del Jdei rispetto ad altre proposte formative sull’ecologia integrale?

Molto si può dire sull’ecologia integrale, tuttavia il Jdei vuole rimanere molto aderente al testo dell’enciclica, al punto che i sei moduli che lo compongono ne calcano i sei capitoli. Il Jdei vuole poi offrire una lettura “concretizzante” di questa pagina del magistero della Chiesa. In questo modo offre inoltre un modo per vivere una spiritualità ecologica in una comunità che si arricchisce delle reciproche esperienze. È valso anche per quest’anno, nonostante gran parte del programma si sia svolto online.

Gli studenti del Jdei provengono da percorsi formativi diversi. Vuole raccontarci le loro motivazioni e i loro traguardi?

Molti sono studenti tipici delle università pontificie, interessati ai risvolti teorici dell’enciclica, altri per le ricadute sociali e pastorali. Molti altri provengono da esperienze professionali più “tecniche” — architettura, industria, agronomia, ingegneria ambientale o gestionale — e cercano attraverso il Joint Diploma un confronto alle motivazioni personali per il proprio lavoro. Quest’anno ho seguito la tesina di una imprenditrice la cui azienda si occupa di manutenzione di spazi verdi interni, la quale ha saputo trovare in ognuno dei sei capitoli della Laudato si’ un’implicazione che avesse diretta attinenza con la sua esperienza professionale. Questa è una testimonianza della “potenza” della Laudato si’ nella vita di tutti i giorni. Un altro studente, che lavora al Consiglio per la ricerca in Agricoltura e Economia agraria, è rimasto folgorato dalla metafora di “natura come libro” (Libro dei Salmi, 12, 84-88), ponendosi la questione di come la natura vada compresa e apprezzata, prima ancora che usata, modificata, risanata. Ho poi visto molte tesine di studenti seminaristi o religiosi provenienti da altri continenti che, grazie al Joint Diploma, hanno potuto collegare i loro studi filosofico-teologici con l’analisi di alcune problematiche serie delle loro zone d’origine: l’ampia regione amazzonica, come pure bacini acquiferi africani sfruttati per fini estrattivi o per la costruzione di dighe.

Il Jdei spinge a diventare promotori dei valori della Laudato si’. Con quali frutti, oltre al conseguimento del titolo di studio?

A seguito del Jdei, diversi studenti hanno avviato iniziative più locali. Altri hanno dato vita al folto gruppo di animatori Laudato si’ che promuovono attività di sensibilizzazione e approfondimento, con la supervisione del coordinamento del Jdei. Altri ancora, giunti dalla vita in comunità di famiglie o comunità di auto/mutuo aiuto, hanno trovato i modi per contaminare reciprocamente le loro realtà di provenienza con la “comunità del Jdei”. Ci sono poi progetti di collaborazione con il Global Catholic Climate Movement. Il Jdei lascia un segno e ha conseguenze: altre, prima o poi le scopriremo.

L’enciclica dedica diversi punti all’educazione. Come si fa a diventare “moltiplicatori dei valori” nella cura per la Casa comune?

Provocatoriamente, risponderei: “Tramite l’ambiente!”. Mi spiego meglio: occorre costruire un criterio pedagogico per l’ecologia. Le scienze della vita ci insegnano che le relazioni organismo-ambiente sono bidirezionali: l’organismo modifica inevitabilmente l’ambiente, e l’ambiente modifica inesorabilmente l’organismo. D’altro canto, le scienze antropologiche ci insegnano che l’essere umano ha sempre modificato il suo ambiente, proprio al fine di modificare sé stesso: per vivere meglio, per crescere in umanità. È questo uno dei significati profondi di “cultura umana”. Sulla base di questi due spunti, si potrebbe pensare a un “criterio pedagogico per l’ecologia”, che funzionerebbe più o meno così. Ogni modifica che l’essere umano effettua sull’ambiente dovrebbe essere valutata — accanto agli aspetti di sostenibilità, solidarietà, eticità, esteticità, economicità — prima di tutto per la sua “pedagogicità”, ossia: che messaggio trasmette questa modifica a chi vi entra in contatto nel presente e nel futuro? Le nostre azioni dovrebbero essere al contempo ecologiche e pedagogiche.

Già nelle precedenti edizioni avevate adottato delle forme di “didattica a distanza” per venire incontro agli iscritti. La situazione sanitaria vi ha spinti ha osare di più?

Nell’anno accademico 2019-2020 circa metà studenti del Jdei ha svolto il percorso in modalità online e i risultati sono stati buoni, anche se ci è mancata la possibilità di vivere laboratori, messe, ritiri, il pellegrinaggio ecologico. Naturalmente speriamo di poter tornare presto ad una modalità pienamente presenziale, ma l’esperienza dello scorso anno è stata positiva e anche la partenza del nuovo anno seguirà questa forma. Di edizione in edizione siamo andati migliorando la nostra efficacia didattica. Quest’anno produrremo anche un volume che sarà di riferimento per i futuri studenti del Jdei.

Il Jdei è il primo diploma congiunto a cui hanno partecipato tutte le università pontificie romane, nonché alcuni atenei. Un metodo “pilota” per progetti futuri?

Non sta a me dirlo, anche la nascita di un successivo Joint Diploma su san Tommaso d’Aquino è un buon segno. L’aspetto da rivalutare è quello della sinergia. Non tutte le istituzioni devono fare tutto. Se l’obiettivo da raggiungere è chiaro possiamo collaborare e ottimizzare le sottilissime competenze presenti a Roma nei tanti centri accademici pontifici.

di Paolo Pegoraro