Il ricordo del direttore della Caritas diocesana

Si chiedeva sempre: «Cosa vuole Gesù da me?»

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16 settembre 2020

Un uomo che aveva dedicato interamente la sua vita agli ultimi degli ultimi, quelli che non hanno nemmeno un tetto sulla testa. Quasi un “santo della porta accanto”, come lo ricorda il suo vescovo. Un prete di strada, letteralmente, anche se non amava dirsi tale. Ma era lì, sulla strada, che don Roberto Malgesini, 51 anni, collaboratore dell’unità pastorale Beato Scalabrini di Como, passava le sue giornate, dall’alba a notte inoltrata, sempre pronto ad aiutare i suoi amici, migranti e persone senza dimora. E proprio sulla strada è morto ieri, 15 settembre, accoltellato da uno di quelli che aiutava, una persona con gravi problemi psichici, di origine tunisina. Come Charles de Foucauld in Algeria, come don Renzo Beretta a Ponte Chiasso nel 1991. Nello stesso giorno in cui ricorre l’anniversario dell’assassinio di don Pino Puglisi a Palermo. Incredibile coincidenza.

«Credo profondamente che la vita non ci appartiene e nulla succede a caso», commenta il diacono Roberto Bernasconi, direttore di Caritas Como: «Sapeva che sarebbe potuto accadere qualcosa. La sua frase ricorrente era: “Mi chiedo sempre cosa vuole Gesù da me?” Si riteneva uno strumento nelle mani del Signore, voleva recuperare la dimensione della Croce nelle persone sofferenti che incontrava». Bernasconi paragona la sua morte a un martirio, perché «frutto del suo impegno disinteressato».

Erano amici da una vita i due Roberto, si vedevano spesso e collaboravano, seppure con stili diversi, nella missione comune dell’aiuto ai poveri. Il sacerdote ucciso era anche molto legato al vescovo di Como, Oscar Cantoni, suo padre spirituale ai tempi del seminario. Il presule aveva confermato l’impegno di don Roberto tra i senza dimora di Como, si confrontavano spesso. «Sono convinto che don Roberto sia stato un santo della porta accanto — ha detto monsignor Cantoni — per la sua semplicità, per l’amorevolezza con cui è andato incontro a tutti, per la stima che ha ricevuto da tanta gente anche non credente o non cristiana, per l’aiuto fraterno e solidale che ha voluto dare a tutti in questa città che ha tanto bisogno di imparare la solidarietà perché questo è il nuovo nome della pace».

I duecentocinquanta senza dimora presenti in città trovavano la sua porta sempre aperta. Al mattino portava la colazione a una settantina di persone, aiutato da un piccolo gruppo di volontari. Durante la giornata incontrava i suoi amici: sulle panchine, alla mensa, li accompagnava in ospedale. Praticamente viveva in strada con loro. «Mi rimane nel cuore la sua semplicità e costanza nel vivere una vita così faticosa», aggiunge il direttore della Caritas di Como: «Si alzava tutte le mattine alle 4, andava a pregare in chiesa e poi partiva per le sue azioni concrete, frutto di questa preghiera». Le persone che aiutava facevano parte della sua vita. E loro ricambiavano l’affetto. Si fidavano e affidavano. Per loro era disponibile 24 ore su 24. E quando non riusciva a trovare soluzioni concrete, chiedeva aiuto alla Caritas. Non aveva una parrocchia ma celebrava le messe nell’unità pastorale.

Probabilmente è stato ucciso per un motivo banale. Tant’è che chi ha commesso il gesto si è subito recato dai carabinieri per costituirsi. Una persona con un disagio mentale grave, che girava per le strade di Como da una ventina d’anni, senza familiari, perso nella solitudine e nei meandri oscuri della sua psiche. E che tuttavia, stando alla questura, non risultava in carico ai servizi sociali. Don Roberto gli aveva dato la possibilità di dormire al coperto in una parrocchia perché era difficile da gestire in un dormitorio. Gli ricordava di prendere le medicine. «In Italia — afferma Bernasconi — la malattia psichica è la Cenerentola del sistema sanitario e questi sono i risultati. Credo ci sia anche una responsabilità delle istituzioni perché tutto viene demandato alla Caritas, alle comunità parrocchiali e alle altre associazioni ma non c’è niente di strutturato per aiutarli ad affrontare un cammino di recupero».

Il direttore della Caritas, addolorato, osserva le reazioni sui social e si intristisce perché è già iniziata la caccia all’untore, e subito le strumentalizzazioni politiche. «Vorrei invece che la sua morte — confida — diventasse un seme per far nascere una nuova società ma sarà molto difficile far passare questa idea, anche nelle nostre comunità. Almeno un tentativo andrebbe fatto. Però questo è il momento di rispettare il dolore dei familiari e pregare per lui. Verrà il giorno in cui bisognerà fare queste valutazioni».

Don Roberto Malgesini, nato a Morbegno, in Valtellina, ha tre fratelli. Sapevano che si esponeva a rischi, però rispettavano il suo sentire. «Lascia un vuoto a livello di ideali — conclude Bernasconi — perché era colui che li teneva vivi. Noi arrivavamo dopo per renderli concreti. Speriamo di riuscire a prendere esempio da lui e di avere la possibilità di migliorare il cammino della Caritas e il cammino delle comunità parrocchiali nell’attenzione alle persone».

Nella serata di ieri, martedì, tutta la comunità ecclesiale di Como si è riunita in cattedrale per pregare il rosario, per lui e per il suo assalitore. I funerali saranno probabilmente celebrati nel suo paese di origine.

di Patrizia Caiffa