Ricordo di don Pietro Ganapini sacerdote «fidei donum» in Madagascar per quasi sessant’anni

Sempre accanto ai più poveri

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02 settembre 2020

«Don Pietro Ganapini è una delle figure più singolari, forse la più significativa, dei missionari reggiani che hanno vissuto il loro ministero nella seconda metà del novecento e in questi primi anni del nuovo millennio. Si può dire che tutta la sua vita matura sia coincisa con la vocazione missionaria. Dal 1961 è vissuto ininterrottamente in Madagascar dove lo ha mandato la volontà del vescovo Beniamino Socche. Non esisteva ancora quel progetto missionario che si sarebbe poi manifestato e articolato negli anni del post concilio». Così il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca, ricorda la figura del missionario fidei donum spentosi lo scorso 30 giugno nella sua adorata terra malgascia, alla quale ha dedicato quasi sessant’anni della vita.

Pioniere e decano dei missionari reggiani, fin dal primo giorno del suo arrivo nell'“isola rossa”, dove ha messo a frutto l’entusiasmo scaturito dalla pubblicazione dell’enciclica di Pio XII Fidei donum aprendo la strada a tanti missionari — sacerdoti, suore e laici — si è subito posto al servizio dei più poveri, soprattutto dei bambini, da lui definiti affettuosamente “i più poveri tra i poveri”, quelli che non avevano la possibilità di studiare. E così, grazie al suo immenso impegno e dedizione, sostenuto anche dallo sforzo delle popolazioni locali, ha contribuito in maniera decisiva alla fondazione di 108 istituti cattolici nell’arcidiocesi della capitale, tra cui una scuola media e un liceo, per combattere l’analfabetismo che nel paese raggiunge punte ancora alte. «Le scuole che ha creato e diretto — ha sottolineato Camisasca nella lettera alla sua diocesi in cui annunciava la scomparsa del sacerdote — sono oggi un asse fondamentale del debole sistema educativo del paese. Le più di cento residenze scolastiche che, con l’aiuto dell'associazione “Amici di don Pietro Ganapini”, ha innalzato in questi ultimi anni sono il segno di una instancabile e lucida percezione del valore dell’educazione per il presente e il futuro di una Chiesa e di una nazione. Don Pietro — prosegue il presule — ci ha dato la testimonianza di una vita missionaria al servizio dei poveri, senza nessuna ombra di riduzione sociologica o ideologica. Era un prete sereno, costruttivo e legato all’essenziale. Egli era semplicemente cristiano». Con un cuore giovane, molto giovane e con un sorriso mai scomparso dalle sue labbra, fino all’ultimo giorno della sua vita. «Quando l’ho incontrato nel mio unico viaggio in Madagascar e poi qui in Italia — viene ricordato nella lettera — ho sempre avuto la percezione di trovarmi di fronte a un bambino così come ne parla il vangelo e come Gesù ha pensato la vita adulta. Non un uomo sprovveduto, ingenuo, ma umile, positivo, interamente raccolto nel compito che gli era stato assegnato».

Migliaia di ragazzi hanno potuto ricevere così basi di istruzione e di sviluppo «che non saranno facilmente quantificabili in termini di cifre, ma che nella vita del Madagascar portano e porteranno frutti di maturità umana e cristiana», aveva osservato il sacerdote, portatore di una carità incondizionata verso chiunque gli chiedesse aiuto: dalla mamma con il suo bambino bisognoso di cure fino al suo vescovo che gli manifestava necessità pastorali. Secondo la linea dettata da don Pietro i maestri devono redigere frequenti rapporti e consegnarli alla diocesi la quale verifica se i programmi sono condotti con efficienza. Al termine dell’anno scolastico gli allievi sostengono l’esame e se la quota di promossi è inferiore al 70 per cento, alla riapertura dopo la pausa estiva vengono eseguite verifiche per capire quali situazioni non hanno funzionato. Questo perché, se anche solo una scuola cattolica non funziona, tutte ne risentono.

Parroco a Ilanivato e poi ad Ambanidia (guidata da 1974 al 2006), quartieri tra i più poveri della capitale Antananarivo, don Pietro ha trovato in periferia, nella Casa della carità di Tongarivo, l’approdo definitivo e un ulteriore arricchimento della sua esistenza. «Il vivere nella Casa della carità — ripeteva spesso — è per me scuola di purificazione e di preghiera perché io possa lasciare più spazio all’opera dello Spirito Santo nella mia povera vita estremamente bisognosa della grazia di Dio».

Lo spirito evangelico che animava il suo animo rigoglioso lo ispirava anche nel comporre musiche che poi venivano eseguite durante i riti liturgici. Testimonianza, questa, di come ritenesse importante valorizzare la religiosità popolare, gestendo le comunità a lui affidate nella forma di piccole chiese domestiche e diffondendo con il rosario la devozione a Maria. «Don Ganapini — ha tenuto a precisare don Pietro Adani, direttore del centro missionario diocesano di Reggio Emilia — è stato un patriarca sia per noi che per i malgasci, un uomo di fede che ha saputo introdurre chi lo ascoltava nella conoscenza di questo popolo, grazie ad uno sguardo affettivo e coinvolto. Ha saputo creare musica rispettando la cultura malgascia: in tutta la città di Antananarivo, durante le celebrazioni eucaristiche, risuonano ancora i suoi canti».

di Rosario Capomasi