A colloquio con Daniela Nicosia, alla guida dell’«Hub educativo» Tib Teatro di Belluno

Ricomincio dai tre (anni)

Una scena dell’«Elettra» allestita nel Teatro Olimpico di Vicenza nel 2018
21 settembre 2020

La gioia più grande non è ricevere l’ennesimo premio (e di riconoscimenti per il suo lavoro Daniela Nicosia ne ha ricevuti davvero tanti) ma è «vedere i ragazzi che vengono a teatro in tuta, con il borsone della palestra» vedere che parole antiche, antichissime entrano a fa parte della loro vita, come la birra al bar sotto casa o la partita di calcetto. Vederli specchiarsi in modo sempre più profondo e autentico nelle parole di Euripide, durante le prove. Accompagnarli nell’indagare il disamore di Clitemnestra, la sete di potere di Egisto, lo smarrimento di Elettra, aiutarli a guardarsi dentro per far risuonare altre storie, altre citazioni, altre parole, in un caleidoscopio infinito di suggestioni e di voci («durante la lettura del testo a una delle ragazze è tornato in mente Fuochi di Marguerite Yourcenar, il monologo di Clitemnestra, e l’abbiamo usato»).

Che poi lo spettacolo si svolga all’Olimpico di Vicenza (come è successo nel 2018) o in un hangar dismesso in un’area industriale poco importa, l’importante è il prima, il percorso condiviso che ha dato vita alla drammaturgia. Daniela Nicosia è il motore di Tib, una piccola-grande struttura teatrale nata nel profondo Nord-Est, un cantiere educativo attivo dal 1993 che ha saputo dar vita a una quantità sorprendente di iniziative (laboratori, corsi, percorsi di avviamento al lavoro, non solo intellettuale e artistico ma anche manuale, come sartoria o illuminotecnica) incastonato tra le cime delle dolomiti venete. Formatasi artisticamente con Yoshi Oida — attore di Peter Brook — nel 2004 ha ricevuto il Premio Nazionale della Critica per la direzione artistica e i progetti realizzati nel Teatro Comunale di Belluno. Il festival Il Teatro del Sacro l’ha premiata due volte, nel 2011 e nel 2013, per gli spettacoli Io ti prendo per mano, (sul tema del morire, e sulla necessità di non censurare questo passaggio essenziale della vita, un testo profetico, col senno di poi del post-pandemia) e Passione tratto dal romanzo Passio Laetitiae et Felicitatis di Giovanni Testori, con in scena Giovanni e Maddalena Crippa, pluripremiato, oggetto di articoli, studi e saggi, e di una tesi di laurea da parte di Erika Di Bennardo. E proprio dalla protagonista di questo spettacolo è arrivato il complimento forse più bello, per una autrice-regista: Maddalena Crippa ha paragonato, per la metodologia di lavoro (la prima lettura del testo a tavolino con tutti i collaboratori artistici e tecnici presenti, l’invito agli attori a non recitare, ma “essere” le parole che dicono sul palco e le competenze profuse) al Piccolo Teatro di Milano così come lei l’aveva vissuto, trent’anni prima.

I nomi famosi in cartellone sono tanti, ma il Tib non è una passerella di celebrità in transito ma un luogo dove si lavora a lungo, con costanza (e tutti insieme, attori e tecnici) con allievi e docenti di tutte le età. Anche piccoli, e piccolissimi; sono esclusi solo gli under 3. Il prossimo spettacolo in cantiere conferma la fortissima vocazione educativa dello staff del Tib: a dicembre debutterà un testo dedicato al maestro Manzi, icona della lotta all’analfabetismo nell’Italia degli anni Sessanta e «inventore della didattica a distanza ante litteram» chiosa Nicosia. Una figura che riserva molte sorprese, se vista da vicino, dagli studi di biologia che l’hanno portato in America Latina (dove ha insegnato a leggere e a scrivere agli indios) al lavoro con i ragazzi del carcere minorile di Roma, fino ad arrivare al celebre, ironico timbro «Fa quel può, quel che non può non fa» che il maestro Manzi usava per protestare di fatto contro schede di valutazione troppo invasive che avrebbero potuto, nel tempo rivelarsi dannose per il futuro dei ragazzi. Difficile anche solo elencare tutte le attività in corso al Tib, dalla più recente, la Casa delle Arti (nata nei locali di una ex caserma dismessa) alla più antica, il Filo d’Arianna, festival di teatro, danza, arti visive, letteratura nelle architetture urbane «con cui — spiega Nicosia — ho portato il teatro e le arti in genere, ad innestarsi nelle strutture architettoniche della città, nei mercati, nelle piazze e nel paesaggio naturale. Con il festival ho in qualche modo oltrepassato le mura del teatro, per rifondarlo nel rapporto con la quotidianità; con la direzione del Comunale e della Fondazione Teatri, ho fatto in modo invece che si aprisse alla città, a tutti gli spettatori dai più piccoli, con una stagione di teatro per l’Infanzia e la Gioventù “Comincio dai 3” che tuttora Tib Teatro realizza, e che accompagna a teatro i bambini dai tre anni in su, le famiglie, le scuole, gli adolescenti, e poi con la stagione di contemporaneo Doc-Teatro d’Autore. Questo lavoro territoriale ha fatto sì che il pubblico abbia affollato il teatro, anche nelle sere in cui c’erano le proposte più difficili, meno popolari. Faccio teatro perché credo che il teatro contribuisca al benessere della persona, perché credo nella gratuità dell’arte che non “serve” a nulla, ma è necessaria a vivere».

Memore della lezione di Nina, uno dei personaggi del Gabbiano di Cechov, che una giovanissima Daniela Nicosia, in versione attrice, recitava durante i provini: «Ora poi, da quando son qui, cammino a lungo, cammino e penso, penso e sento crescere di giorno in giorno le mie forze spirituali…. Adesso io so, io capisco, Kostja, che nel nostro lavoro poco importa se recitiamo o scriviamo, l’essenziale non è la gloria, non è il lustro, non è ciò che sognavo, ma la capacità di soffrire. Sappi portar la tua croce e abbi fede. Io ho fede, e questo mi allevia il dolore, e quando penso alla mia vocazione, non ho paura della vita».

di Silvia Guidi