Gli anni di piombo argentini nell’ultimo romanzo di Alver Metalli

Requiem per un benzinaio

Edward Hopper «Gas» (1940, particolare)
25 settembre 2020

Alver Metalli, giornalista e scrittore, è stato per lungo tempo inviato in America latina. Ha vissuto in Argentina, Messico, Uruguay. Attualmente risiede a Buenos Aires in una baraccopoli alla periferia della città condividendo l’esperienza di padre Pepe di Paola. Ha diretto, per cinque anni, il sito d’informazione «Tierras de América». Ha scritto saggi sull’America latina (Cronache centroamericane, L’America latina del secolo XXI, Il Papa e il filosofo), libri per ragazzi (Lupo siberiano, La vecchia ferrovia inglese, Las dos Adelias), e i romanzi L’eredità di Madama, Gli dei inutili, Il giorno del giudizio (con Lucio Brunelli), Isidora.

Ha pubblicato inoltre la raccolta di racconti L’uomo dell’acqua e il libro Non aver paura di perdonare. Il «confessore del Papa» si racconta, introdotto da Papa Francesco, con Andrea Tornielli. La sua ultima fatica, Morte di un benzinaio di provincia, esce ora per le Edizioni San Paolo. Che l’autore, immerso nelle mille incombenze dettate dai servizi richiesti in una favela argentina abbia avuto il tempo di scrivere in un ambiente che non è propriamente un paradiso, vulnerabile come pochi alla pandemia odierna, è certamente notevole.

Si tratta di un thriller calato profondamente nelle atmosfere e nel contesto delle immense periferie di Buenos Aires, con il loro caos, il degrado umano e ambientale che distano anni luce dagli splendidi edifici e monumenti di una città tra le più belle dell’America latina. Il protagonista, Pedro Duran, è, come il suo autore, un giornalista. Collabora a «La Mañana» e, per motivi di cronaca, viene interessandosi di un caso che si rivela essere un vero e proprio puzzle. Un settantenne di nome José Benito Benavides ha ucciso un uomo di quindici anni più giovane, Alejandro Ruiz Petrone, per poi venir travolto e ammazzato, subito dopo, da un’auto in corsa. I due non hanno, all’apparenza, nulla in comune, nulla che possa valere da movente. Benavides è un ex militare in pensione e Petrone un benzinaio.

Che cosa li lega? Perché Benavides ha ucciso Petrone? Da qui inizia l’inchiesta di Duran la quale si svolge, come in ogni thriller che si rispetti, attraverso interrogazioni, ricerca dei personaggi legati ai due, false piste.

Nel dipanarsi della trama il racconto si ravviva di personaggi di contorno, come Paloma rossa, la barbona che appare e dispare ogni volta che Duran si reca nel suo territorio, «in piazza San Martin con la sua corte di gatti randagi, piccioni storpi e cianfrusaglie che penzolano dal carretto della spesa come i festoni di un carro allegorico». Paloma rossa che «sembra uno sparviero coperto di stracci. È appostata vicino all’edificio di American Express e di lì vigila chi si inoltra nel suo territorio sbiascicandogli dietro il frasario sconnesso partorito dalla sua insensatezza. Aspetta che il passante le dia le spalle e gli sibila degli improperi volgari che obbediscono a degli indecifrabili impulsi interiori». La Paloma che muore in una notte gelida di luglio, seduta su un materasso sudicio nel suo fortino di cartoni incapace di proteggerla. Una delle tante vittime della povertà e della follia.

Ma vi sono altre vittime ed è qui che il racconto di Metalli si apre e si intreccia con le vicende drammatiche dell’Argentina della metà degli anni Settanta, quella del golpe militare del 24 marzo 1976 che porta al potere i generali Videla. Massera, Agosti. L’assassino di Petrone ha a che fare con gli anni bui della dittatura militare, con i 20-30.000 desaparecidos di allora. Questa è la verità che lentamente affiora. Alejandro Ruiz Petrone è stato, da giovane, oggetto di un sequestro da parte delle forze armate. Era membro del gruppo rivoluzionario dei Montoneros. Viene trattenuto quattro mesi, torturato, e poi, inspiegabilmente, liberato. Di José Benito Benavides, l’assassino, si scopre che era addetto a catalogare le vittime, con mansioni però di secondo piano. Si segnala un amore particolare per l’unico figlio di nome Francesco. Scorre così la galleria dei personaggi chiamati a dare la loro versione dei fatti, dal sergente Rodolfo Ibarra, al parroco di Benavides, don Ignatio Salvatierra, all’ufficiale Flavio Manero che non ama la perestroika dei vertici militari, alla moglie di Petrone, Elisa Armanian.

La penna di Metalli incastra sapientemente, personaggi, psicologie, versioni differenti. Ogni volta emerge uno spezzone, un indizio che rimette in discussione la versione precedente. A lungo l’interpretazione rimane in sospeso. Perché Benavides ha ucciso un ex desaparecido? «L’unico punto di intersezione tra i due è stato il giorno dell’assassinio, in un municipio della periferia di Buenos Ares, alle 9.57 di un giovedì di aprile, quando l’ex militare ha sparato a una antica vittima del regime».

Solo verso la fine i fili separati paiono connettersi, gli indizi convergono verso un’unica spiegazione possibile dove, come nel più classico dei thriller, il bianco e il nero si confondono. Così come si confondono nell’animo stesso dell’investigatore, Pedro Duran, tormentato da un tradimento che ha causato la fine del suo rapporto con Nuria, la madre del figlio Pedrito.

In un flashback insistente, l’immagine di Nuria appare di continuo, interrompe la narrazione, introduce una nota di malinconia e di rimpianto. Nuria vista a Gualeguaychú, la città del carnevale. «In piedi tra la folla assiepata ai lati della strada la guardavo, pallida e bella, cercando di non farmi notare. In realtà volevo che mi vedesse, che avevo fatto tutti quei chilometri per lei, che era nei miei pensieri e nel mio cuore». E così l’inchiesta procede con i ricordi di Nuria. «Gli appuntamenti cauti dei primi tempi, le passeggiate clandestine lontano dagli sguardi degli amici, le storie che si mescolano, gli accadimenti che si immergono nella luce del nuovo destino pregustato nell’unità dei corpi e degli spiriti, le vite che si disvelano in una intimità crescente, i regali scelti con cura e offerti con un intimo appagamento, le promesse sussurrate, le attenzioni minime, le premure delicate». Le vite degli altri rimandano alla propria e l’intreccio dei destini si vela di mistero. «Due vite su fronti opposti, quella di Petrone e di Benavides, l’una consacrata a sgretolare un ordine che considerava ingiusto l’altra a difenderlo dagli assalti eversivi; due vite che sono andate avanti ignorandosi per decenni per congiungersi la settimana scorsa nella stazione di servizio di León Suárez, ai bordi di una baraccopoli che spesso occupa la cronaca cittadina per le violenze tra spacciatori. Cosa le ha avvicinate fino a toccarsi? Cosa le ha spinte una verso l’altra? Da dove è venuta quell’attrazione fatale che le ha disintegrate nel contatto?».

Ogni morte, ogni morte criminale, implica una domanda sul destino. I thriller non si sottraggono a questa domanda e l’ultimo romanzo di Metalli, che ha come scenario gli anni di piombo argentini con la loro tragedia non ancora sopita, ne costituisce una eloquente e suggestiva conferma.

di Massimo Borghesi