In vista dell’evento «The Economy of Francesco»

Per non essere schiavi del profitto

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28 settembre 2020

A circa un anno e mezzo dal post Sinodo dei Giovani a cui ho avuto la felicità di partecipare in qualità di delegato, e a poche settimane dall’inizio dall’evento promosso dal Papa The Economy of Francesco, sulla scia del suo accompagnamento che invita tutti alla creazione di un’economia in grado di riconoscere la centralità della persona e ad un mondo del lavoro che si adoperi in tal senso, desideravo offrire alcune delle idee che sono emerse sull’argomento “giovani e lavoro” nell’ambito delle attività post sinodali.

In particolare, alla luce delle testimonianze e dei desideri che avevo raccolto nei mesi antecedenti l’inizio dei lavori, ho proposto in Assemblea e, brevemente condiviso con Papa Francesco durante l’incontro finale, una sintesi dei pensieri che raccontassero la realtà lavorativa alla luce di tre elementi essenziali: tempo, spazio e denaro.

Tempo: siamo stati abituati a un modello di impresa in cui c’è sempre poco tempo. Si corre sempre per cercare di svolgere più attività possibili, perché più veloce si va, più si produce, e quindi maggiore sarà la realizzazione di prodotti e servizi e maggiore sarà il relativo guadagno. Un modo di procedere che sembrerebbe perfetto se non fosse per il fatto che viene realizzato da esseri umani e gli esseri umani non sono stati creati per essere al servizio del profitto. Invece, un investimento davvero innovativo potrebbe essere diametralmente opposto.

Si immagini, infatti, un modello lavorativo dove ci sia il tempo adeguato all’incontro, e dunque si possa creare il terreno fertile per un ambiente generativo di idee. Cioè, una realtà in cui le dinamiche del profitto esasperato e a tutti i costi possano essere sostituite e messe da parte, aprendosi generosamente al tempo per ascoltare le necessità dell’Altro, che contestualmente prende forma e si rivela come occasione per l’accoglienza reciproca. Dunque, sacrificare consapevolmente il guadagno egoista e le ambizioni individualiste, perché innanzitutto è “l’Altro” a dover essere riconosciuto come centro dell’attenzione imprenditoriale.

Spazio: spesso assistiamo a modelli lavorativi in cui lo spazio è organizzato in modo tale da garantire la creazione di barriere e a non agevolare il necessario confronto tra la popolazione aziendale, tra chi decide e chi esegue, perché la promiscuità si teme che inneschi una relazione, e le relazioni umane fra determinati soggetti, in azienda, potrebbero attentare al conseguimento degli obiettivi di business.

Ma, pur garantendo gli spazi necessari all’esercizio delle funzioni di governo dell’impresa, non si potrebbe pensare allo spazio come a un luogo predisposto all’incontro tra persone che, in fondo, pur ricoprendo ruoli diversi, contribuiscono alla medesima missione? E di conseguenza, pensare all’impresa come a una “comunità di lavoratori”, potrebbe essere la migliore strada per creare ricchezza autentica.

Denaro: si tende a misurare l’eccellenza di un’azienda con la sua capacità a massimizzare il profitto. Semplificando, tanto guadagno, peraltro ridistribuito fra pochi, ma che è stato prodotto dall’azione lavorativa di tanti che, per garantire quel risultato, spesso sono stati chiamati a rinunce in termini di affetti e relazioni.

Sarebbe sostenibile un modello che sia in grado di non cedere alla tentazione di un “eccesso sterile”, perché, in fondo si riconosca il vero guadagno altrove e si veda nel “mero denaro” nient’altro che uno strumento piuttosto che un fine?

E sulla scorta di questi pensieri, c’è una buona notizia. Grazie alla generosità della Chiesa, che illuminata dalla grazia dello Spirito ha riflettuto e agito, consentendoci di continuare a creare momenti universali di confronto in merito a queste tematiche, a Roma, stanno nascendo alcune comunità di giovani lavoratori che, guidati da assistenti spirituali nel discernimento personale, si stanno formando nel e per il desiderio di essere testimoni umili e autentici di una “maniera diversa” di poter essere lavoratori.

«La vera eccellenza che dobbiamo ricercare non consiste nel prendere dieci, ma è desiderare di passare da nove ad otto, affinché, qualcun altro, col nostro aiuto, possa arrivare da cinque a sei». Con questa metafora scolastica che esprime quello che dovrebbe essere il desiderio di ogni uomo di buona volontà, si concludeva il ritiro spirituale offerto dal gesuita padre Salvo Collura, a cui ho preso parte qualche giorno prima dell’inizio dei lavori post sinodali.

di Marco Russo