Ricordo di Gregorio Diamare, vescovo e abate di Montecassino, a 75 anni dalla morte

Pastore coraggioso in mezzo alla tempesta

L’abbazia di Montecassino dopo i bombardamenti del 15 marzo 1944
07 settembre 2020

Il 6 settembre 1945 moriva l’abate e vescovo Gregorio Diamare, che per trentasei anni a partire dal 1909 aveva guidato l’abbazia e la diocesi di Montecassino, ed appena un anno prima, il 15 febbraio 1944, aveva vissuto da vicino un evento tra i più tragici della seconda guerra mondiale, il bombardamento di Montecassino, seguito poi, un mese dopo da quello della sottostante città di Cassino. A settantacinque anni dalla sua scomparsa, com’è vivo il suo ricordo nella comunità cassinese e nella società civile di Cassino e dei paesi di quella che fu la sua diocesi, così resta ancor oggi particolarmente incisivo e pienamente veridico il ritratto che ne delineò Papa Pio XII in un suo autografo del 18 giugno 1941, a lui indirizzato per il cinquantesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale. Scriveva il Pontefice: «Ci sono ben note le molteplici cure con le quali hai cercato di far crescere l’onore a Dio e il profitto delle anime. Ci si presenta infatti, tra gli altri tuoi meriti, il rinnovamento della cripta di S. Benedetto, che conducesti felicemente al fine, e che fu seguita dalla solenne celebrazione dell’anno giubilare; ci si presentano inoltre la restaurazione della chiesa cattedrale dell’Abbazia, il riattamento delle fabbriche dell’archicenobio. Le belle arti poi e le scienze, le opere di carità e quelle sociali, con ricerche e pubblicazioni, facesti progredire; i convegni eucaristici e la solenne ricorrenza, quattordici volte secolare, della fondazione dello stesso archicenobio celebrasti con ogni cura. Né ti fu meno a cuore di governare e perfezionare, con l’aiuto del clero, la vita cristiana del popolo».

La prima grande prova che segnò il governo abbaziale di Gregorio Diamare fu il terremoto della Marsica avvenuto il 13 gennaio 1915: quindici giorni dopo (28 gennaio) egli firmava una lettera rivolta ai fedeli della diocesi di Montecassino e prepositura di Atina, dalla quale emerge tutto il suo sgomento di fronte all’entità dei danni subiti dai vari centri abitati diocesani, in primis quelli abruzzesi, seguiti dai limitrofi centri delle regioni circonvicine, tra cui la stessa Cassino. Ecco quel che l’esperienza personale del disastro gli faceva scrivere con animo accorato e insieme fiducioso, e non meno intensamente di come lo hanno vissuto e descritto in quegli stessi giorni altri due insigni testimoni oculari, il laico Ignazio Silone e il santo sacerdote Luigi Orione: «A tanto danno, che se può considerarsi lieve in paragone di quello di Avezzano e Sora, è nondimeno in sé gravissimo, ci si stringe il cuore. Nel doloroso giro che ho fatto per i luoghi della diocesi maggiormente danneggiati, per arrecare a tanti sventurati quel meschinissimo conforto, più della parola che di altro, che mi era possibile, ho potuto constatare quanto grande sia la sventura, e quanto duramente siano provati coloro che ne sono stati colpiti. Povera gente! Perduta la casa si agglomerava sotto tende sepolte dalla neve, o in piccole stanzette a pian terreno, che la pietà di pochi vicini meno colpiti offriva a coloro che erano maggiormente danneggiati; vedeva le proprie masserizie sottratte alla furia devastatrice del terremoto, inesorabilmente danneggiate dalla inclemenza di una stagione eccessivamente piovosa. Mancava ad essa financo il conforto di potersi prostrare nella Casa di Dio, che è la casa di tutti, per attingere ai piedi del Tabernacolo, nella frequenza dei Sacramenti, la forza per resistere allo imperversare di tanta sciagura. Ma sia benedetto sempre il Signore, nelle vicende prospere come nelle avverse, nella gioia come nel dolore. In mezzo a tanto sconforto ho potuto constatare la grande rassegnazione ai voleri di Dio, da cui quella povera gente era sorretta, e la illimitata fiducia nella infinita misericordia del Signore. Mi commuove ancora il ricordo di onesti operai che pur mostrando l’animo squarciato e gli occhi pieni di lacrime al vedere le rovine della propria casetta, si preoccupavano piuttosto della sorte della loro chiesa, e supplicavano perché fosse subito restaurata e riaperta al culto. I bisogni sono immensi, ed io mi rivolgo ai meno danneggiati perché vengano in aiuto ai loro fratelli più bisognosi, sicuro che il mio appello non cadrà invano».

Trenta anni dopo, lo stesso grande cuore ugualmente pervaso di abbandono agli imperscrutabili disegni di Dio, pur dopo lo schianto della distruzione di Montecassino e la morte di tanti innocenti, animava la lettera che il vecchio abate ormai ottantenne scriveva al suo clero il 20 agosto 1945. Speranza cristiana, zelo apostolico, spirito di ricostruzione percorrono le parole — un vero testamento — che il pastore rivolge ai suoi più diretti collaboratori solo pochi giorni prima dell’appuntamento supremo al quale il Dio della misericordia l’avrebbe chiamato per conferirgli la corona delle tante grazie di cui l’aveva arricchito nel corso della sua feconda vita di benedettino, contemplativo e insieme apostolo di Cristo: «Ora che tutte le nazioni ed i popoli belligeranti hanno deposto le loro armi dobbiamo rivolgere il nostro pensiero riconoscente al Signore, che tutto ha permesso e disposto pel nostro vero bene, il quale accogliendo le incessanti suppliche che da ogni parte del mondo gli venivano rivolte ha fatto cessare le immani stragi provocate dalla guerra. Vogliamo quindi che voi, reverendi parroci, assieme agli altri sacerdoti che vi coadiuvano, ricordiate al popolo questo dovere, e promoviate nel miglior modo che potete pubbliche funzioni di ringraziamento al Signore, col canto del Te Deum in un giorno festivo dopo la celebrazione della S. Messa, e possibilmente dinanzi a Gesù sacramentato solennemente esposto. Ricorderete ancora al popolo che non basta onorare il Signore con le sole labbra; occorre in primo e principale luogo dargli il dovuto onore e mostrargli così la dovuta riconoscenza per i benefici ricevuti, con un tenore di vita sempre più conforme ai suoi santi comandamenti e precetti. Solo così potremo aspettarci che i popoli deponendo ogni odio e rancore possano raggiungere una vera e giusta pace che permetta a tutti, ed in modo speciale a noi Italiani, di attendere alacremente alla non lieve opera di ricostruzione morale e materiale del nostro tribolatissimo Paese. Vi benedico di cuore».

All’abate Diamare nei suoi lunghi anni di governo non fece certo difetto la sapientia cordis, che egli esercitò instancabilmente nei confronti di monaci, sacerdoti, e fedeli tutti, ricco di un’esperienza familiare ed ecclesiale che aveva assimilato nella città natia, con le sue ricche tradizioni cristiane, popolari e culturali, quella Napoli dove aveva visto la luce il 13 aprile 1865, primogenito di Salvatore e Teresa Albano. Battezzato con il nome di Vito, egli si era formato in un ambiente spirituale e sociale animato da personalità religiose come santa Caterina Volpicelli fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore, l’oratoriano dei girolamini e futuro cardinale Alfonso Capecelatro, e in particolare il buon sacerdote don Enrico Attanasio. Quest’ultimo faceva parte di una schiera di ecclesiastici napoletani legati al padre francescano alcantarino Ludovico da Casoria, proclamato santo nel 2014, di cui fu collaboratore, impegnandosi specialmente a vantaggio della gioventù nel campo degli asili infantili privati municipali, di uno dei quali, quello della Vicaria al vico Grotta della Marra, era sacerdote visitatore. Fu in questo fervido ambiente che il giovane Diamare sperimentò l’impegno non solo degli ecclesiastici ma anche dei laici cattolici moderati nel campo dell’educazione popolare. Una volta divenuto monaco il 23 gennaio 1888, e sacerdote il 28 giugno 1891, non gli fu difficile dare applicazione ai metodi pedagogici appresi in gioventù, a beneficio degli allievi del Collegio di Montecassino del quale fu rettore per lunghi anni. Ma è soprattutto nella città di Cassino che Diamare, divenuto abate nel 1909, profuse tutto il suo impegno di organizzazione e animazione cristiana della gioventù.

La prima delle istituzioni a tale scopo da lui poste in essere a Cassino grazie alla collaborazione di bravi sacerdoti, fu il Ricreatorio cattolico, ufficialmente istituito nel 1913 ma già ideato nel 1910, a un anno dall’inizio del suo ministero di abate. A quella scuola, fatta di preghiera comune, pratiche sacramentali, istruzione, conferenze, giochi e lunghe passeggiate, si formò tanta parte della gioventù cassinate. E non mancarono impegni straordinari come quelli promossi dallo stesso abate nel corso della prima guerra mondiale, allorché nel palazzo abbaziale fu impiantato un vero e proprio ufficio per la spedizione di pacchi-viveri ai prigionieri di guerra, nonché un ufficio informazioni nel quale prestavano la loro opera i giovani più grandi del ricreatorio.

Il ministero abbaziale di Gregorio Diamare, animato nel corso degli anni da un’incessante carità volta a sollevare le tante difficoltà materiali e morali nelle quali versava il suo popolo in tempi resi calamitosi dalle malattie, dai terremoti e dalla guerra, fu onorato dalla sede apostolica con l’elevazione all’episcopato: il sessantatreenne abate fu consacrato vescovo titolare di Costanza di Arabia il 12 marzo 1928. L’anno successivo, il 1929, ricorreva il XIV centenario della fondazione di Montecassino, e in quell’occasione Papa Pio XI inviò all’abate e vescovo una lettera apostolica, Non sine numinis instinctu, nella quale tra l’altro rievocava con sentimenti di riconoscenza a lui rivolti, i giorni trascorsi a Montecassino nel 1921, quando creato cardinale il 13 giugno di quell’anno, nella quiete del monastero aveva preparato le due prime lettere pastorali al clero e ai fedeli dell’arcidiocesi di Milano.

Dieci anni dopo i tempi erano decisamente mutati. Pio XI moriva il 10 febbraio 1939. Il 28 successivo il cardinale Ildefonso Schuster, profondamente legato all’abate Diamare, essendo stato suo diretto collaboratore in qualità di procuratore generale della Congregazione cassinese quando il Diamare ne era presidente dal 1915 al 1931, poco prima di entrare in conclave per la scelta del nuovo papa, così scriveva all’abate di Montecassino: «Domani entreremo, a Dio piacendo, in conclave. Chi può prevedere il consiglio del Signore? Ogni altro prognostico è fatuo. Il Signore certo aiuterà colla sua potenza il novello Pontefice, ma avrà molti dolori e difficoltà. Chi potrebbe essere così audace, da non sottrarsi a tanta responsabilità? Spero che almeno avrò il piacere di riabbracciarla il dì della coronazione del nuovo Papa, quando conto di tornare anch’io a Roma» (Montecassino, Archivio privato dell’Abbazia, carteggio Schuster-Diamare). E Schuster fu buon profeta: la seconda guerra mondiale, con il suo carico di “dolori e difficoltà”, scoppiata nel settembre di quell’anno avrebbe travolto tutti, impegnando specialmente Pio XII in un’inesausta tensione al recupero della pace, mentre l’Italia e l’Europa sperimentavano distruzione e morte. Il bombardamento di Montecassino avvenuto il 15 febbraio 1944 nel corso della dura battaglia tra l’esercito germanico da una parte e quelli alleati dall’altra, era come il sigillo di una tragedia universale. Eppure l’abate Diamare che non volle mai abbandonare il monastero, nei mesi che precedettero la tragica conclusione, oltre ad occuparsi delle suore, dei bambini e dei numerosi civili che si rifugiavano in abbazia per sfuggire agli orrori della guerra, non mancò di arginare egli stesso atti di violenza a danno di persone inermi, come quando intervenendo il 15 ottobre 1943 presso il generale tedesco Hans-Valentin Hube comandante del 14° corpo d’armata corazzato, ottenne la liberazione di venti ostaggi della contrada di Sant’Antonino (Cassino) che erano stati condannati a morte in seguito a un atto commesso da due abitanti del luogo ai danni di militari germanici. D’altra parte decisiva fu anche la sua opera rivolta alla salvaguardia non solo dell’archivio e della biblioteca di Montecassino, ma anche del deposito dei Musei di Napoli portato a Montecassino insieme alle collezioni numismatiche di Siracusa e al Tesoro di San Gennaro nella vana speranza che in quel luogo sarebbero stati al sicuro dall’infuriare della guerra.

Lo Stato italiano intese perciò dare pubblico riconoscimento alla coraggiosa opera svolta dal Diamare nei cruciali anni 1943-1944, conferendogli con decreto del presidente della Repubblica del 5 marzo 1951 su proposta del ministro dell’Interno la medaglia d’oro al valore civile, così motivandola con atto ufficiale del 20 marzo successivo: «Luminosa figura di sacerdote, confermava, durante le lunghe e sanguinose vicende belliche svoltesi nei pressi dell’Abbazia di Montecassino, i suoi elevati sentimenti di carità cristiana, più volte affrontando, con esemplare fermezza ed indomito coraggio, la morte, pur di apportare la sua parola di fede ed il suo soccorso in favore di tutti coloro che, rifugiatisi nell’Abbazia, invocavano la sua paterna protezione. Unica autorità rimasta sul posto, interveniva ripetutamente e con energia presso il Comando militare tedesco, ottenendo il rilascio di numerose persone che, prelevate come ostaggio, erano state condannate a morte, ed evitando la distruzione, disposta in segno di rappresaglia, di alcune località abitate. Dopo aver posto in salvo innumerevoli tesori d’arte depositati nell’Abbazia, riconosciuta la inutilità dei suoi sforzi diretti a preservare dalla distruzione l’insigne Monumento, decideva di allontanarsene ed, attraversata la linea del fuoco, profonda circa 20 chilometri, alla testa di un corteo di donne, malati e feriti, riusciva, tra l’infuriare della battaglia, a portare tutti alla salvezza».

Il 20 febbraio 1944, cinque giorni dopo il bombardamento dal quale era uscito illeso con i monaci che lo affiancavano, alle ore 9 della mattina l’abate Diamare fu ricevuto in udienza da Papa Pio XII: quanto da lui riferito al Pontefice fu di sicuro un monito su quello che avrebbe potuto verificarsi anche a Roma. Da quel momento, e nonostante le estreme difficoltà, il vecchio abate visse la responsabilità di riunificare, per quanto possibile, la comunità monastica e diocesana, e al tempo stesso di lavorare per il ripristino dell’antico monastero le cui macerie si ergevano spettrali sulla montagna. È quanto emerge puntualmente in una lettera da lui indirizzata ancora al cardinale Schuster da Sant’Anselmo in Roma il 15 maggio 1944: «La comunità è divisa e sparpagliata tra S. Anselmo, S. Paolo e S. Girolamo a Roma, e tra Perugia, Farfa e Subiaco ed anche altrove. Occorrerebbe riunirla al più presto sia per la disciplina monastica e sia per alleggerire il peso con cui graviamo principalmente sulle tre comunità monastiche di Roma. Ma per formare una comunità a sé occorre cominciare a fornirci delle cose più semplici e più necessarie per la vita materiale, monastica e spirituale. Lo stesso per la diocesi. Oltre le chiese sono andati distrutti con l’archivio della curia anche tutti gli archivi, libri e documenti parrocchiali. Inoltre in Cassino e in quasi tutti gli altri paesi gli archivi civili sono andati ugualmente distrutti o perduti. Bisogna ricominciare da capo!! Il disastro è enorme: sia fatta sempre la volontà di Dio» (Milano, Archivio storico diocesano, Carteggio Schuster, Episcopato italiano - ii guerra mondiale, n. 82).

Forse non è inutile a illuminare il grado di fede salda e di sincera umiltà dell’abate Diamare in quei difficili frangenti, svelare come egli si sottoscriva in calce a questa lettera autografa: «Affezionatissimo e riconoscentissimo † Gregorio Diamare indegno vescovo ed abate di Montecassino». Nondimeno con spirito di fiducia nel futuro l’abate si andava prodigando per una rapida ricostruzione del monastero, confortato dal fatto che il 16 febbraio del 1945 il ministro dei Lavori pubblici, Meuccio Ruini, aveva nominato una commissione ministeriale al fine di stabilire i criteri fondamentali per la ricostruzione di Montecassino. Contemporaneamente il 28 febbraio per lo stesso scopo si era tenuta nel Palazzo della Cancelleria la prima riunione ufficiale della Pontificia Commissione centrale per l’arte sacra in Italia, incaricata di studiare e predisporre linee guida per la riedificazione dell’antico monastero. Era come un’alba di risurrezione che l’abate Gregorio Diamare poté tuttavia solo intravedere, poco prima che una febbre malarica contratta a Cassino nella sosta per la festa dell’Assunta ne indebolisse mortalmente la fibra già resa fragile dalle tante traversie subìte in quei mesi. Con la sua scomparsa il 6 settembre 1945 un capitolo glorioso e al tempo stesso tragico della storia di Montecassino si chiudeva, e un altro non meno impegnativo, quello della ricostruzione, si apriva assorbendo le energie del suo intrepido successore, l’abate Ildefonso Rea, che nel primo messaggio radiofonico dopo il suo insediamento l’8 dicembre 1945, così ricordava il predecessore: «L’abbate Gregorio Diamare dorme in pace nella sua terra: rigermoglierà dalle sue ossa l’Abbazia di Montecassino che più volte distrutta nella vicenda dei tempi mai fu annientata. Chiamato dalla fiducia del S. Padre e dall’appello dei monaci cassinesi a succedere al mio venerando Padre e Maestro nel governo dell’Abbazia, rivolgo un appello a tutti gli Italiani per invitarli a cooperare nella riedificazione della millenaria Abbazia». L’Abbazia sarebbe presto “rigermogliata”, e con essa l’Italia tutta.

di Mariano Dell’Omo