Percorsi

La parola che non c’era

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26 settembre 2020

Ivana e l’Ordine della Sororità


L’idea in me venne da lontano, ma all’inizio non avevo neppure la parola per dirla». Nasce da una parola che non c’è, l'Ordine della Sororità. Esistono “sorellanza”, “fraternità”, ma non c’è, spiegava la fondatrice Ivana Ceresa nel raccontare gli inizi, un termine per indicare un legame profondo tra donne che non sia di sangue. Un’assenza linguistica che è anche simbolica, sottolineava la teologa mantovana nata nel 1942 a Rivalta sul Mincio e scomparsa nel 2009.

Ed è sempre la parola schiacciata a un solo genere, quello maschile, la lampadina che aveva acceso in lei il desiderio di fare quello di cui cercava il nome.

Un giorno, racconta in una intervista, va a messa nella chiesa di Sant’Andrea a Mantova. Sono tutte donne, ma il celebrante dice “Pregate, fratelli”. «Lo guardavo e dicevo: ma cosa dice?». Non si ferma allo stupore. «Dopo la messa, sono andata in sagrestia e gliene ho dette quattro. Gli ho detto: ma non ti vergogni, non ti vergogni a chiamarci fratelli che eravamo tutte donne?».

In un altro suo scritto afferma: «Se io dico: tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza, non sto dicendo la verità, sto usando un linguaggio che mi nasconde». Che occulta la differenza dell’essere donna. Decisiva anche nella fede. Anche davanti a Dio. Ecco l’intuizione che poi diventerà un libro, il suo più importante: Dire Dio al femminile.

Ma Ceresa fa un passo in più. Non si ferma alla scoperta intellettuale. Decide, insieme ad alcune amiche, di farne una pratica. Di verificarlo, tra donne, nell’esperienza. Occorre «un viaggio di esodo dall’omologazione al maschile», si legge nella Regola dell’Ordine. Ma è possibile solo attraverso la relazione tra donne che cercano, in una relazione di “autorità” e “affidamento” (concetti centrali nel pensiero di Ceresa) di dare concretezza a quella intuizione.

Nasce allora l'’Ordine della Sororità, associazione di «donne convocate dallo Spirito Santo per rendere visibile la presenza femminile nella Chiesa e nel mondo», specifica la Regola.

Per arrivarci il cammino era stato lungo. Il primo incontro fondamentale per Ivana Ceresa è quello con la nonna, donna forte, di fede, espressione di quel matriarcato che reggeva tante campagne al Nord. Dalla sua figura riceve l’ispirazione di essere teologa. Ma a quel tempo, siamo alla fine degli anni Cinquanta, il mestiere è precluso alle donne. Nel 1960 si iscrive all'Università Cattolica. «Se non posso studiare teologia come un uomo, studierò lettere come un mare di donne fanno» si dice. Arriva il secondo, decisivo, incontro. Quello con Luisa Muraro, filosofa del pensiero della differenza. Entrambe sono ospiti a Milano del Collegio universitario Marianum.

Ivana Ceresa torna a Mantova, si sposa, insegna lettere alle scuole medie. Ma non smette mai di coltivare la passione per la ricerca teologica. Arriva la stagione della contestazione: «In quegli anni teologai per contestare: l’autoritarismo, il conformismo, la misoginia, il capitalismo e tutto il resto». Ma è ancora alla ricerca di una parità che non c’è. Poi, negli anni Ottanta, il terzo incontro fondamentale. Quello con la comunità filosofica Diotima dell’Università di Verona, che diffonde il pensiero della differenza. Ivana Ceresa capisce che il problema, anche nella Chiesa, non è essere come gli uomini, ma rivendicare il proprio essere femminile.

Sono anni di studio e confronto, ritrova Luisa Muraro, diventata la principale teorica, in Italia, del pensiero della differenza, la Libreria delle Donne di Milano.

Ceresa, però, è anche donna di fede. E sempre di più sente l'urgenza di realizzare queste intuizioni nella realtà ecclesiale. Perché, ama ripetere, «Chiesa e mondo sono una endiadi». Studia teologia femminile, rilegge la storia di sante e madri della Chiesa. Tiene convegni, seminari, lezioni alla scuola di cultura contemporanea di Mantova.

Dopo uno dei tanti convegni, si ritrova con alcune amiche a condividere il desiderio di riflettere su questi temi insieme e in modo più costante. Un pomeriggio Martina Bugada [1], iconografa e sua amica, va a trovarla. Mi parla di quel giorno così: «Mi disse: “Ho pensato a questa parola: sororità. Mi è venuta questa parola che non esisteva”. Persino il computer la rifiutava, non era prevista». Sororità è la traduzione di sorority, termine inglese che veniva usato nei college per indicare gruppi di studentesse universitarie, affiliate da un legame di comunanza che non era di sangue. Ceresa lo riprende dalla teologa Mary Daly, autrice di Al di là del Padre, che ne estende l’uso. È il 1994, comincia tutto lì. Ma ogni illuminazione va verificata. «Se Martina dice di sì — riflette Ivana — andiamo avanti». Martina dice di sì. E dopo lei un’altra, e un’altra ancora. Diventano venti, poi trenta. Si dividono in vari gruppi per poter mantenere un confronto più efficace. Si trovano ora a casa di una, ora dell’altra.

«La mia aspirazione — racconta la fondatrice dell'Ordine della sororità — era quella di vedere un gruppo di donne riunirsi per imparare a sostenersi vicendevolmente, a riconoscersi in quanto donne, a capire che il mondo non è neutro e che loro non vogliono essere al neutro ma vogliono essere al femminile».

L’intuizione la incardina nella storia della Chiesa dove ritrova alcune precorritrici: le Beghine del Nord, Chiara d’Assisi con le sue compagne, Angela Merici, la fondatrice delle Orsoline, Giovanna Francesca Chantal, la fondatrice dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria. In queste tracce trova conforto al dono che lo Spirito Santo, dice, le ha fatto: «Davo voce al mio desiderio di mettere al mondo il mondo, la Chiesa, il presente, insomma e il futuro anche al femminile».

Il 18 marzo 2002 il vescovo di Mantova, monsignor Egidio Caporello, riconosce l'Ordine della Sororità come associazione di fedeli che, citando l’articolo 1 della Regola, desidera «vivere la fede cristiana secondo la differenza femminile nella Chiesa cattolica locale, sulle orme di quante, in epoche lontane e recenti, le hanno precedute». Oggi sono una quarantina, divise in sei gruppi: cinque nel mantovano, una a Milano. Ciascuno dedicato a Maria. Ci sono donne sposate, single, consacrate, donne non credenti o di altre confessioni religiose (al momento c’è una valdese). Si incontrano una volta, due al mese, per riflettere su figure di sante, testi di teologhe o per confrontarsi su temi di attualità. Una volta l’anno si trovano tutte insieme per due o tre giorni.

Ogni gruppo ha una presidente a rotazione secondo il tempo di entrata nel gruppo. Una volta l’anno, nel giorno della Festa di Santa Maria Incoronata, a cui è dedicato l’Ordine, viene scelta per sorteggio la presidente di tutte le sororità. In obbedienza a uno dei fondamenti di questa esperienza: «l’autorità femminile — mi spiega Martina — è il reciproco riconoscimento tra due o più donne che si danno sostegno in ordine ai propri desideri e in base alla finalità che vogliono perseguire».

Un concetto che Ivana Ceresa spiegava usando l’immagine della Visitazione: due donne, Maria ed Elisabetta, si affidano l’una all’altra, in una fiducia che nasce dal riconoscimento dell’autorità dell’altra. Antitesi al potere. Oggi la sororità ha anche una Icona (a pagina 27), scritta da Martina Bugada [1]. La Madonna e il Bambino al centro, a destra e a sinistra le donne ispiratrici di questa esperienza: Angela Merici, Teresa Fardella, Osanna Andreasi, Paola Montaldo, Speciosa.

di Elisa Calessi

[1] Martina Bugada «Martina testimonia e prosegue una linea femminile della pratica delle icone, e il riferimento è a Maria Sokolova (1899-1981), prima maestra della Scuola della Lavra di San Sergio e Sergiev Posad, una delle scuole di iconografia più importanti della Russia, che Martina ha frequentato» [dal testo di Nella Roveri in Enciclopedia delle donne - http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/martina-bugada/].


Intitolato a Maria SS. Incoronata


Nascita
nel 1996 a Mantova
Fondatrice Ivana Ceresa (1942-2009)
Riconoscimento 18 marzo 2002 dal vescovo di Mantova Egidio Caporello
Altre sedi Mantova, Ostiglia, Asola, Grazie, Milano