L’inquieta ricerca di amore e di Assoluto dello scrittore Pier Vittorio Tondelli

Il poeta dell’abbandono

Vincent van Gogh, «Sulla soglia dell’eternità» (1890, particolare)
16 settembre 2020

Un’assenza divorante — «il senso di una sottrazione primaria» la chiamerà in Camere separate — attraversa tutta l’opera, nata «nei sotterranei della provincia», dello scrittore di Correggio, morto trentaseienne nel 1991. «Camere separate parla alla coscienza contemporanea — ha scritto Marco Mancassola — grazie alla sua idea di un abbandono continuo, sconfinato, impossibile» (Senso di abbandono permanente, in «Flash-art», dicembre 2016).

Una letteratura romantica, animata da una struggente sehnsucht, al ritmo della musica degli anni Ottanta. Nel pezzo Colpo d’oppio del 1980 troviamo un manifesto programmatico della poetica di Pier Vittorio Tondelli: «La mia letteratura è emotiva, le mie storie sono emotive; l’unico spazio che ha il testo per durare è quello emozionale... Dopo due righe, il lettore deve essere schiavizzato, incapace di liberarsi dalla pagina; deve trovarsi coinvolto fino al parossismo, deve sudare e prendere cazzotti, e ridere, e guaire, e provare estremo godimento. Questa è letteratura».

Citando Thomas de Quincey e Céline, Tondelli distingue tra «letteratura di conoscenza» e «letteratura di potenza», la prima insegna, la seconda commuove. E lo fa inventando sulla pagina il sound del linguaggio parlato: «La scrittura emotiva è dunque sound, codice sonoro; è catena fonica». Il testo è una questione di ritmo, per questo il racconto è la migliore espressione della letteratura emotiva, va bevuto tutto intero e d’un fiato. Nonostante il riconoscimento del primato del racconto, come quelli di Altri libertini, il suo primo libro, il Tondelli della maturità narrativa scriverà tre romanzi ma non uscirà mai dal sound della letteratura emotiva: «La scrittura emotiva è spigolosa, è forte, è densa, si tocca con il corpo, ci si fa all’amore, entra dentro, ti prende, ti penetra, ti suona, canta: ecco la forza della letteratura». E i personaggi dei suoi testi non sono che «intensità emotive, sono cortocircuiti di sound... in sostanza, i personaggi sono i sax mobili e vagabondi della scrittura emotiva» così il testo è intessuto di vere e proprie compilation di brani musicali, come quella che lo stesso Tondelli inserisce alla fine del romanzo Rimini. «Il testo emotivo è l’unico testo che si può parlare. L’unico che si può cantare e ballare. L’unico che si può dolcemente cullare nella propria gola e fischiettare nel proprio cervello. Il testo emotivo fotte l’inconsolabile solitudine di essere al mondo».

Biglietti agli amici, l’opera più intima e personale dello scrittore, una sorta di breviario, sarà la celebrazione assoluta di questa letteratura, con ventiquattro biglietti per altrettanti incontri, ventiquattro emozioni decontestualizzate e assolute, a coronamento di quella che Fulvio Panzeri, curatore dell’opera tondelliana, ha chiamato una «poetica del frammento». Tondelli scrive con uno «sguardo affettivo dotato di memoria, temprato dalla lontananza e dalla separazione» e si dichiara espressamente contrario a una «lettura ideologica» dell’opera letteraria: «Quello che voglio da un romanzo, o da un libro, è che mi dia qualcosa che io non so, che mi comunichi uno scarto nella mia visione delle cose e del mondo, che apra una breccia nella mia coscienza». Scrivere è seguire una “traccia” e per Tondelli — citando Peter Handke — «significa lavorare al mistero del mondo».

Le ideologie non lo appassionano — siamo nel 1984 — ma come dice a proposito del romanzo Pao Pao, gli interessa la «storia quotidiana di una tribù... nella lotta di sopravvivenza nel mondo», come le storie dei primi due libri, Altri libertini e Pao Pao, scritti secondo la lezione di Kerouac, con «una lingua non letteraria, non libresca, non burocratica». La scrittura della “beat generation” per Tondelli segna l’uscita dal provincialismo della narrativa italiana e costituì la valvola di sfogo per i giovani che di fronte alle regole sociali spesso repressive e ipocrite avevano rifiutato lo scontro con le istituzioni, la lotta armata e l’annullamento nella droga. La letteratura fu per lui l’uscita di sicurezza, la via di salvezza, tramite alcuni libri in particolare, compagni indimenticabili: «Il maggior aiuto che ebbi per riaffiorare alla superficie della vita fu costituito da un libro. Si tratta di Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes... è la mia seconda o terza Bibbia, insieme al Libro tibetano dei morti e, naturalmente, ai Salmi». Questi testi, insieme all’amata Radclyffe Hall e Ingeborg Bachmann, delineano una «fenomenologia dell’abbandono», tema che sottende tutta l’opera tondelliana, fino al romanzo Camere separate, in cui la separazione degli amanti e la morte trovano la massima espressione, e nella raccolta curata da Fulvio Panzeri, L’abbandono. Racconti dagli anni Ottanta, uscito postumo nel 1993. La scrittura di Tondelli si nutre di letture diversificate, da La separazione degli amanti. Una fenomenologia della morte dello psicanalista Igor Alexander Caruso alla rilettura delle strutture di dominio sull’eros fatta da Herbert Marcuse fino all’opera di Teilhard de Chardin.

Nel confronto con il libro di Peter Handke, Il cinese del dolore, Tondelli si apre a una dimensione metafisica, finanche religiosa e mistica. L’essere sulla soglia per lo scrittore è stare sulla frontiera come luogo di un inizio. «La soglia è la sorgente». Al centro della scrittura si configura come un vuoto che viene meditato dal protagonista del libro, contemplatore, archeologo, appassionato di «soglie» — luoghi in cui «tutto è in sospeso» — che ricerca ciò che è irrimediabilmente scomparso, che è stato trafugato o si è magari solo decomposto, e però sussiste ancora come spazio cavo. Richiamando esplicitamente il buddismo, per Tondelli il vuoto e la soglia della poesia di Handke sono «luoghi da cui si elabora il senso». L’assenza — il tema centrale di tanti mistici che Tondelli ha letto molto — ritorna in tutte le sue opere, dall’assenza come noia e insoddisfazione dei racconti di Altri libertini, all’assenza come morte di Camere separate, fino a quella sorta di «breviario» che è Biglietti agli amici che ruota sul tema dell’assenza dell’amato, «volevo tutto e mi sono sempre dovuto accontentare di qualcosa», fino all’illuminazione di uno dei personaggi centrali di Rimini: «Fu in quei primi giorni a Firenze, scendendo a piedi da via San Leonardo fino in costa de’ Magnoli, che Bruno provò quella particolare e strana dolcezza che è solo dell’abbandonato, o meglio, di certi istanti che l’abbandonato prova: il sentirsi cioè ancora fidanzato per il resto della propria vita, ma fidanzato in assenza».

Ed è proprio in Rimini — pensato fin dall’inizio come sceneggiatura — che l’idea della mistica si esplicita, una spiritualità del quotidiano che non trova nessuna contraddizione tra il vivere nei viali affollati della capitale del divertimento italiana degli anni Ottanta e la ricerca di Dio. Il dialogo tra i due protagonisti del romanzo, in giro per discoteche e monasteri sulla riviera romagnola alla ricerca di se stessi e della soluzione al giallo della morte di un politico, è fulminante: «“Trovi che esista qualche differenza fra il bar di un Grand Hotel e un monastero?” “La gente direbbe che sì, c’è qualche differenza”. Mi afferrò deciso il braccio e mi trascinò dentro. “Si sbaglia,” disse serio, “sono entrambi luoghi mistici e assoluti”».

La ricerca percorre le strade più svariate ma resta una perenne insoddisfazione esistenziale che è la cifra della vita di Tondelli e della sua apertura alla trascendenza: «“Ma c’è un fatto” — proseguì Anselme — “che cerchi Dio e non ti accontenti di averlo trovato. Vorresti una vita diversa, vorresti fermarti e riposare in Dio, ma non lo farai perché niente ti basterebbe mai. Molti vedono solo una piccola fessura dove tu trovi invece crepe e abissi. Cercherai Dio per tutta la vita e questo basterà a salvarti. Non smettere di cercare, ma sappi che, ovunque tu vada, ti guiderà sempre la sua Grazia”» dice padre Anselme allo scrittore protagonista del romanzo Rimini.

Una ricerca che si nutre della lettura dei testi mistici della cristianità e della tradizione buddista, sul modello del maestro sempre ammirato, Carlo Coccioli: «Anche stanotte crederà intensamente alle mille altre vite che lo contengono e che l’hanno contenuto in questo nostro sofferente divenire, fino al momento della pienezza e della pace, fino al momento in cui il divino che è in noi sarà talmente puro da accordarsi all’Unico». Il ricordo di un antico rituale del Buddismo visto nel film Tibet: a Buddhist Trilogy viene sovrapposto dal protagonista di Rimini alla pratica cattolica del rosario: «A Roma. In una basilica. La chiesa era deserta, silenziosa e buia. Solamente una luce calda proveniva dall’ultima cappella laterale della navata. Bruno avanzò. La luce era tremolante e sempre più forte. Improvvisamente il silenzio si arricchì di una vibrazione, come un ronzio, che si faceva più grande man mano che Bruno si avvicinava a quella cappella. Il ronzio si riverberava sulle volte della chiesa penetrando il silenzio. Raggiunse la cappella. Un gruppo di donne anziane recitavano velocemente un rosario sedute su sedie di paglia. Non c’era nessun prete a guidarle. Si alternavano nella recita delle preghiere accordando il loro brusio a quello più forte di chi in quel momento dava l’inizio. Bruno chiuse gli occhi. Ne era certo. Era la stessa identica musica che usciva dalle labbra chiuse dei monaci. La stessa musica che aveva scoperto facendo l’amore con Aelred».

Il catalogo della biblioteca dell’autore, donata dalla famiglia al Comune di Correggio, è ora disponibile online consultando il sito del Centro di Documentazione Tondelli di Correggio e mostra una consolidata e oculata conoscenza della letteratura mistica e teologica, dalle opere di Agostino a Teresa d’Avila, da Scrittori di religione del Trecento di don Giuseppe De Luca al Pellegrino cherubico di Angelo Silesio, ai Sermoni tedeschi di Meister Eckhart fino a Le grandi correnti della mistica ebraica di Gershom Scholem e ai Vangeli apocrifi. Ci sono anche opere di teologia specialistiche come Il sacro e Mistica orientale ed occidentale di Rudolf Otto. Troviamo anche le opere di Adriana Zarri, tra cui Tu. Quasi preghiere, con una spiritualità del quotidiano che costituisce una chiave della poetica tondelliana con la sua elegia della gente comune: «Gente ordinaria e gente comune, gente che batte le strade provinciali e quelle comunali, gente che produce, gente sottoccupata, gente incantata, gente improduttiva, gente selvatica, gente morbida, gente ubriacona, vecchia gente senza passato, giovane gente senza avvenire, gente lontana dalla cronaca e dal pettegolezzo, gente che costituirebbe a prima vista una massa anonima ma che, se indagata con solo un poco di attenzione, riserverà molte sorprese e curiosi aneddoti: insomma, gente di cui vogliamo raccontare per rendere il doveroso tributo allo zavattiniano incanto del quotidiano che da sempre ci avvince, come se ci trovassimo, insomma, in un travolgente remake neorealistico, in una metafisica dell’effimero e del banale». Resta imprescindibile in questo ambito il lavoro di ricognizione fatto da Antonio Spadaro nel volume Lontano da se stessi. L’attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli (Jaca Book, 2002).

L’aspirazione all’Assoluto si scontra inevitabilmente col limite e la sua dura accettazione, che per Tondelli significa soprattutto accettazione del limite che ogni amore e relazione umana comporta: «Ho sempre cercato “tutto” nella vita: la verità e l’assoluto. Ho sempre detestato la gente soddisfatta. Non c’è niente al mondo per cui stare allegri. Niente di niente. Eppure, io che ho lasciato perdere tante volte “qualcosa” per avere soltanto niente ora mi sto accontentando di qualcosa. E sento che mi basta. E a mio modo sono felice. Amo profondamente Aelred, al punto che vorrei essere lui. Lo giustifico e lo capisco, anche se soffro. Ma se soffro è un problema mio. Io so che mi ama. A tutto o niente ora sto finalmente imparando a preferire qualcosa». La storia tra Bruno e Aelred finirà e Tondelli in uno dei Biglietti agli amici scriverà tutta la sua impossibile felicità nell’amore: «In quel dicembre a Berlino, nella tua casa di Kopenickerstrasse io volevo tutto. Ma era tutto, o solo qualcosa, o forse niente? Io volevo tutto e mi sono sempre dovuto accontentare di qualcosa» (Biglietto n. 14). Ed è probabilmente questa tensione, che lascia sempre aperte le sue lacerazioni interiori, alla base del suo interesse per il buddismo e la mistica: «Fare tutto il possibile, sapendo che sarà inutile». Le letture di Pier, in questi giorni di gennaio, sono: Cesare Brandi, Budda sorride, Roland Barthes, L’impero dei segni, Rudolf Otto, Mistica orientale, mistica occidentale.

E conclude così, in questo testo cruciale del 1986 nella sua produzione che è Pier a gennaio: «Quando è maturo il tempo, gli accordi e le armonie si rivelano talmente struggenti da metterti in ginocchio. Pier non ha allora altra strada che la “contemplazione”. Il suo passeggiare per le strade di Bologna, il suo sguardo altro non fanno che accarezzare desideranti le pietre, gli angoli, i palazzi, i giardini, come se fossero essi stessi la sostanza verbale di una preghiera, di qualcosa che è troppo forte da tenersi dentro ed esplode nel suo sguardo».

Ma è nelle pagine del 1987 dedicate allo scrittore Carlo Coccioli, in quello zibaldone che è Un week end post moderno, una sorta di sottotesto di tutte le sue opere narrative, che Tondelli è molto esplicito sul suo rapporto con la Chiesa e il cristianesimo proprio alla luce della dialettica affettiva che per lui resta la lente attraverso la quale leggere la sua attività letteraria e l’esperienza religiosa. Coccioli — autore ancora oggi poco letto in Italia — per Tondelli rispecchia molto il suo stesso percorso, dalla formazione cattolica al rapporto complesso con l’omosessualità e la Chiesa: «La tematica esistenziale e religiosa di Coccioli certo non poteva essere accettata dall’establishment culturale di sinistra degli anni Cinquanta... Resta il fatto che, in nessun autore italiano contemporaneo, è presente una così grande tensione interiore, un’irrequietezza spirituale che poi si traduce in un nomadismo culturale e metafisico assolutamente originale, per non dire eccentrico». Tondelli ricorda lo shock che provocò in Italia nel 1978 — dopo quasi vent’anni dalla prima edizione francese (Coccioli scriveva contemporaneamente in francese, italiano e spagnolo) — il romanzo Fabrizio Lupo: «Ancora una volta il dualismo assoluto e non comunicante, se non attraverso il gesto tragico, fra spiritualità e carnalità, fra le ragioni della fede e quelle dei sensi, fra misticismo e mondanità. E si era troppo giovani, e inesperti, nonostante tutto quel cristianesimo impegnato e sociale, nonostante Jean Danielou e Karl Barth, Dietrich Bonhoeffer e addirittura Teilhard de Chardin, nonostante il catechismo olandese e la teologia della liberazione di monsignor Helder Camara e di padre Camillo Torres, nonostante i discorsi del cardinale Michele Pellegrino, di don Primo Mazzolari e del pedagogo don Milani; si era davvero troppo ingenui per non chiedersi come mai si facessero battaglie per liberare tutto e tutti, gli analfabeti e i disperati delle favelas, il popolo cileno e quello delle borgate romane, e non ci fosse una parola, nemmeno una giaculatoria, per liberare da quell’insopportabile e devastante peso un ragazzino di sedici anni travolto interiormente dalla propria diversità: potevano liberarsi i popoli e gli stati, si poteva proclamare la rivoluzione permanente, ma sempre purché fosse al di là dell’oceano. Quanto a noi, nessuna liberazione interiore, nessuna rivoluzione in nome della felicità. E il Medioevo trionfava, sotto la cintura».

Tondelli coglie nell’amore il cuore del cristianesimo tramite le parole di don Ardito, il protagonista di un altro grande romanzo di Coccioli, Il Cielo e la terra del 1950: «Amare Dio, negli uomini: in ogni uomo. Dio non è solo nell’alto del cielo, sparso fra le stelle; è qui in terra, fra gli uomini. È gli uomini. Amare la terra, gli uomini; anche se sono peccatori, e amare il loro peccato. Ho scoperto, Dio, che la tua soglia non si varca se tu non discendi qui da noi. E abbiamo una maniera per costringerti a discendere: l’amore».

Anche nella forma letteraria Carlo Coccioli resta il modello e maestro assoluto di Pier Vittorio Tondelli, come mostra il parallelismo tra due piccole ma cruciali opere dei due, entrambe sospese tra meditazione, preghiera e intuizione poetica intima, Piccolo karma e Biglietti agli amici. Di Coccioli Tondelli scrive: «La sua predilezione per le forme diaristiche ed epistolari, per una scrittura continua che diventa, ora dopo ora, il tentativo di svolgere l’arte in preghiera, in riflessione compassionevole sul sé e sul mondo, tutto ciò continua ad incantare». Ed è proprio in Piccolo karma che, abbandonata la speculazione filosofica, «Coccioli approda alla leggerezza del frammento e all’ambigua pienezza dell’appunto interiore»; il piccolo capolavoro evidenzia «la grazia smaltata e incantata di un livre d’heures medievale, il fascino di un breviario intimo in cui si rivelano, quasi con la scansione delle horae canonicae, l’Uno e il Tutto». La stessa struttura che Tondelli sceglierà per il suo libro più intimo e poetico, incastonando le ore del giorno nella gerarchia degli angeli.

Scrivendo ancora su Coccioli nel 1990 Tondelli torna sull’affinità tra la spiritualità e scrittura, dandoci forse il senso di tutta la sua opera di scrittore: «Anch’io forse non so pregare, se non nell’osservare, con pietà, il mondo e gli uomini. Ma per questa notte, addormentandomi, posso ricordare: Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum, in pace...». E ancora, nelle pagine di Camere separate, una meditazione alla ricerca di se stesso dopo la morte del compagno: «L’unica cosa che può fare è porsi in un atteggiamento di attesa. E, riflettendo su questo, si accorge che da mesi e mesi, inconsapevolmente, nelle sale-gioco di Soho o nel suo girovagare fra i night club di Milano, tutta la sua vita altro non è stata che una preghiera di ininterrotta sincerità... Così quella che lui chiama preghiera, altro non è che un atteggiamento di ascolto delle cose e degli uomini, un osservare e contemplare, che ha a che fare con il suo stesso modo di essere. Non ha altari davanti ai quali inginocchiarsi, non ha templi né simulacri a cui sacrificare; allora celebra come liturgia la vita stessa. Avverte la presenza del sacro come qualcosa di tangibile nella realtà, qualcosa su cui il suo sguardo si posa con devozione. Quando pensa alla preghiera lui si dice: “Io non so pregare, soprattutto non so chi pregare”. Poi ricorda la sua giovinezza, le ore di meditazione, le discussioni con i sacerdoti, la recita della parola. E la sua mano cerca nella libreria, automaticamente, la Bibbia».

La religiosità dei suoi personaggi è segnata dalla tensione dell’amore e dell’erotismo. Più volte gli è capitato di dire: «Non posso vivere senza Dio, ma posso vivere senza religione». Poiché, se ha abbandonato la pratica della religione in cui è cresciuto e attraverso la quale ha imparato a segnare il mondo, il suo ambiente, i suoi sentimenti, l’ha fatto per una inconciliabilità di fondo fra la sua vita e il suo misticismo. L’ha fatto perché portava non solo la propria emotività, ma anche la sua sensualità, nella ricerca di Dio. Per questo leggeva Osea. Perché in quelle pagine non c’era una visione esclusivamente mentale del rapporto fra Dio e il suo popolo, ma una rappresentazione di corpi, di prostituzione, di abbandono, di delirio della separazione, di rabbia, di paterna protezione. Come succede, da sempre, fra gli uomini che si amano.

Si è voluto a volte classificare Tondelli come uno scrittore intimista e frutto di una cultura che rifiuta la politica e la comunità. Basterebbe leggere Ombre dell’estate del 1991 per sfumare questo giudizio: «Mentre intorno a noi si disfano gli imperi e le nazioni; mentre alcuni paesi bloccati nel proprio sviluppo da decenni di dittatura dimostrano in questi anni vitalità e capacità di creare progetti ambiziosi, come nel caso della Spagna; mentre, con drammaticità, il sud del mondo preme sempre di più su quel fazzoletto di terra che è in proporzione l’Europa Occidentale, il nostro paese chiacchiera, la classe politica si diverte alle proprie battute e alla pseudoironia dei propri rappresentanti più in voga... Ma in Italia tutto appare libresco e burocratizzato, centrato sulla forma e non sui fatti, sui cerimoniali e non sull’esperienza. Basterebbe analizzare le banalità che si dicono in nome dell’Europa e dell’ormai prossima abolizione delle frontiere, soprattutto riferite ai giovani che, sia detto per inciso, di Europa e di cultura europea, tra film, dischi e compact, ne sanno più dei loro insegnanti... Se vogliamo dare l’Europa ai nostri ragazzi, dobbiamo facilitarne l’espatrio... Solo così si diventa cittadini europei: attraverso la conoscenza, l’osservazione, la creazione di amicizie e di rapporti con cittadini di altri paesi». La sensibilità politica di Tondelli, lontana dai facili slogan di quegli anni come dalle intricate vicende dei partiti, era legata alla formazione ricevuta nell’associazionismo cattolico, con una profonda attenzione alla teologia delle realtà terrestri, nello spirito del Vaticano II: «Eppure, a riguardarli anche oggi, con tutt’altra consapevolezza e compassione, come furono importanti e formativi quegli anni giovanili, dove le energie e l’attivismo, e anche la fantasia e l’intelligenza, erano inserite in un progetto collettivo, all’interno del quale si lavorava, si sbagliava, si riprendeva, si cercava in ogni modo di costruire, giorno dopo giorno, quella situazione di salvezza conosciuta come “regno di Dio”. Avevamo una speranza e tutto aveva un senso, anche il dolore, anche la sofferenza e la prova. Ma qualcuno avrebbe dovuto, semplicemente, ricordarci Meinster Eckhart: “Un’anima non può salvarsi se non nel corpo che le è stato assegnato”».

E in questo Tondelli reclama con forza l’idea che il corpo e l’amore sono la via della salvezza, intrecciando nei momenti più vibranti del suo capolavoro, Camere separate, la religiosità popolare, il corpo, l’amore e la morte. La processione del Cristo morto nel venerdì santo e il ricordo dell’icona della Madonna, posta davanti la casa dei genitori a Correggio, diventano specchio della sua più personale vicenda e cifra lirica del destino universale degli uomini.

di Luigi Mantuano