Riflessioni sul nuovo anno ebraico 5781

I “Giorni Terribili” e il covid-19

Jewish men pray at synagogue in the Jewish settlement of Efrat, Gush Etzion, May 20, 2020. Photo by ...
17 settembre 2020

Nell’ebraismo le preghiere rituali, fatte alcune rare eccezioni, sono composte al plurale. L’individuo apporta i propri sentimenti alla preghiera, ma compie l’atto di offrirli a Dio come membro della comunità. Per questo la tradizione ebraica attribuisce così tanta importanza alla preghiera comune (Berachot 8, a); solo quando le persone si riuniscono le preghiere sono offerte nella loro pienezza.

Quest’anno, diversamente dagli altri, il riunirsi degli ebrei nelle sinagoghe per celebrare l’inizio di un nuovo anno subirà restrizioni a causa del distanziamento sociale imposto dalla pandemia del covid-19. Ci saranno limitazioni agli incontri con gli altri, al cantare uniti, al far riecheggiare le stesse preghiere e condividere i sentimenti comuni in questo momento dell’anno. La compagnia che troviamo gli uni negli altri dovrà essere trovata più nella mente e nel cuore visto che mancherà la vicinanza fisica.

Secondo l’antica tradizione ebraica, i “Giorni Terribili” (Yamim Noraim), che includono Rosh Hashanah (il Nuovo Anno) e Yom Kippur (il Giorno dell’Espiazione), sono il tempo in cui Dio giudica l’intera umanità, sia individualmente sia come popoli. È il tempo per fare un esame critico della nostra vita e della nostra esistenza. Questo autoesame è detto Cheshbon HaNefesh, ed è un’analisi della propria vita simile a quella che i cattolici chiamano “esame di coscienza”. Naturalmente l’autoesame riguarda molto il nostro rapporto con gli altri. Il distanziamento imposto dal virus esigerà di sondare il nostro intimo più in profondità mentre analizziamo il nostro comportamento verso gli altri. L’impossibilità di offrire le preghiere in comunità potrebbe spingere singoli ebrei a dedicare più tempo alla riflessione introspettiva. In realtà questo è forse un effetto collaterale positivo della pandemia, poiché consente a ciascuno di noi di avvicinarsi di più a come Dio ci vede in questi giorni di giudizio divino.

Nelle nostre preghiere eleviamo suppliche al Creatore affinché ci aiuti a essere uniti nel sapere come agire con cuore pieno secondo la volontà di Dio. Una delle preghiere più eloquenti inizia con l’implorazione: «Ascolta la nostra voce, Signore Dio nostro, abbi pietà, e usaci grazia e misericordia!». Seguono quindi le parole dei Salmi 51, 13 e 71, 9, che nella Bibbia vengono presentati come suppliche personali del re David, ma che nel libro delle preghiere sono riformulati al plurale: «Non respingerci dalla tua presenza e non privarci del tuo santo spirito […] Non ci respingere nel tempo della vecchiaia, non abbandonarci quando declinano le nostre forze!».

Nel libro dei Salmi, tali parole esprimono i desideri più particolari e intimi di una persona. Nella sinagoga, invece, la preghiera individuale acquisisce un significato superlativo quando, partendo dall’individuo, si allarga per abbracciare gli altri nell’intera comunità e, in ultimo, l’intera umanità.

L’attuale pandemia ha gettato tutta l’umanità nella paura, nel dolore e nella preoccupazione. Ha unito individui e nazioni in preoccupazioni comuni. Ci saranno persone perspicaci che vedranno questo sviluppo come segno della necessità di un’umanità unita, capace di apprezzare le differenze senza trasformarle in barriere insormontabili? Questa percezione contribuirà a quell’unità universale voluta da Dio affinché l’intera umanità pratichi la giustizia, ami la pietà, e cammini umilmente con il suo Dio (cfr. Michea, 6, 8)? Sarà possibile giungere a un dialogo ampio e sincero in cui ognuno mantiene la propria identità ma viene nobilitato sperimentando l’altro in tutta la sua unicità?

All’inizio del Nuovo Anno noi ebrei chiediamo a Dio di giudicare l’umanità con misericordia e benevolenza, avvertendo la presenza di tutti anche in un tempo di distanziamento sociale. Quest’anno, il covid-19 è ovviamente solo una delle numerose e sempre più complesse minacce che sfidano un’umanità che cresce velocemente sia in numeri sia in bisogni. Come le preghiere nei “Giorni Terribili”, ci costringe a comprendere che in questa realtà terrena condividiamo tutti le stesse fatiche e che il destino di ognuno di noi è ineluttabilmente legato a quello di tutti gli altri.

di Abraham Skorka
Institute for Jewish-Catholic Relations of Saint Joseph’s University, Philadelphia