Una mostra itinerante contro la violenza economica sulle donne

Guadagnare e non poter gestire

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01 settembre 2020

È una violazione dei diritti umani, una delle più subdole: il Fondo monetario internazionale, da tempo impegnato per l’inclusione finanziaria delle donne, definisce la violenza economica un gravissimo «atto di controllo e monitoraggio nei confronti della donna in termini di uso e distribuzione di denaro». E nonostante sia inserita nei dettami della Convenzione di Istanbul in materia di prevenzione e lotta alla violenza di genere e domestica dall’agosto 2014 e nel Rapporto Ilo della Conferenza internazionale sul Lavoro, non vengono ancora colti appieno la portata e i costi sociali, economici e culturali di un fenomeno assai diffuso, per il quale è stata evidenziata l’urgenza di interventi di prevenzione.

Secondo l’Istat, solo in Italia una donna su due subisce violenza economica, correlata nel 95 per cento dei casi a quella domestica o a molestie e ricatti sul posto del lavoro, con effetti economici evidenti per 1,404 milioni di donne. Emerge poi che il 23 per cento di italiane non possiede un proprio conto corrente, il 17 tra coloro che lavorano, alle quali è negata la gestione dei propri guadagni: tale percentuale sale, in alcune regioni, sfiorando il 40 per cento, nonostante l’85 per cento delle famiglie monoreddito, in condizioni di estrema povertà, abbia a riferimento una figura femminile. Si tratta di stime che non considerano la quota sommersa di quello che, in diversi paesi, come Regno Unito, Islanda e Nuova Zelanda, è punito penalmente come reato.

Grazie a una serie di collaborazioni con università internazionali e allo studio su ricerche e azioni intraprese, a livello istituzionale, nei Paesi Ocse, con la partecipazione all’International Network for Financial Education dell’Ocse, la Fondazione Global Thinking ha dato avvio a un percorso formativo, che, a fianco di operatori del terzo settore ed enti istituzionali, raggiungesse tutto il territorio nazionale. Il percorso è centrato sull’alfabetizzazione finanziaria: «In Italia non si è mai agito, facendo leva sull’alfabetizzazione finanziaria, anche perché i numeri sottolineano le ottime capacità delle donne negli studi economici e nel creare valore laddove rivestano ruoli di responsabilità o abbiano possibilità e spazio di esprimersi» spiega Claudia Segre, presidente della Fondazione Global Thinking, insistendo sulla necessità di agire sul fronte culturale e di rendere consapevoli, fin dall’infanzia, le bambine in merito all’autogestione e all’autonomia economica, e all’assunzione personale della responsabilità finanziaria.

A questo scopo nasce la rassegna «Libere di… Vivere» che — ripercorrendo l’escalation delle dinamiche di sudditanza, che si sviluppano prevalentemente all’interno del nucleo domestico — mostra, in contrasto, l’efficacia dell’inclusione delle donne nel mondo delle professioni e, di conseguenza, della loro partecipazione attiva in ogni aspetto della comunità: solo attraverso un’integrazione a 360 gradi si può realizzare una convivenza definibile civile, che riconosca pari opportunità e diritti, a maggior ragione, se in gioco sono quelli inalienabili.

«Il fumetto e l’arte visiva e teatrale sono la forma espressiva ideale a trasmettere un messaggio così ricco di sfumature e ad avvicinare, soprattutto i piccoli, ad una tematica poco “emozionale”, senza dimenticare gli adulti — continua la presidente — il frutto della creatività, immediata e diretta, dell’Anonima Fumetti coinvolge trasversalmente tutte le fasce di età». La mostra, visitabile anche in 3d, si articola in tre sezioni: 3 graphic novel (La Regola del Vuoto, La Grotta della Zinzulusa e Voci di donne da infiniti universi) ispirate a testimonianze di esperienze vissute raccolte dagli sportelli della Fondazione; 16 tavole sulla violenza economica, che interpretano il fenomeno di questa forma di violenza e “Le donne eroine del fumetto di ieri e di oggi”, che, in epoche diverse, hanno incarnato valori e ideali del femminismo internazionale. Non mancheranno occasioni di confronto tra la società civile e rappresentanti istituzionali, degli ordini professionali e del volontariato, tesi ad approfondire il dibattito sui diritti delle donne e sul contrasto alla violenza di genere, in ogni sua forma.

Una proposta culturale ricca, completata dal contributo del mondo del teatro con pièce inedite destinate a smuovere le coscienze sia femminili che maschili. «Per rendere la nostra società veramente inclusiva ed eguale, dobbiamo tendere a un traguardo comune, muovendoci nella stessa direzione e parlando a bambine e bambini — sottolinea Claudia Segre — per questo, porteremo il tour didattico, che seguirà la mostra, nelle scuole, favorendo l’allargamento di questo confronto ai nativi digitali». La mostra, veramente itinerante, partirà da Castro, nella splendida cornice del Castello Aragonese, per proseguire negli 8 comuni italiani con i quali sono già in vigore patrocini e protocolli di intesa con la fondazione, e terminare a Parigi il 25 novembre in coincidenza della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Proprio lì verrà, ancora una volta, ribadito cosa significhi essere vittime di una violenza, senza nome, senza volto. Perché proprio l’anonimato, forse, è la cifra di un sopruso che toglie ogni punto di riferimento, facendo inconsapevolmente scivolare in una prigione, senza sbarre, di inadeguatezza e alienazione. «Migliaia di donne vivono espropriate del loro status socioeconomico: una condizione drammatica che inizia con la sudditanza all’interno del nucleo familiare, anche a parità di impegno lavorativo, quando il coniuge si impossessa e gestisce, a suo arbitrio, l’intero reddito familiare, non di rado, usufruendone a piacimento e in modo sconsiderato», spiega la presidente Segre. Vedere svilito il proprio lavoro, sfumato e non riconosciuto il frutto di fatica e impegno, venire private dei propri meriti, non intacca solo la sfera della libertà personale, ma ferisce l’identità individuale e sociale, derivante dall’essere parte della collettività.

«Rispetto a questa piaga, sottovalutata, talvolta inconsapevolmente, talvolta colpevolmente, persiste ancora molta omertà: una omertà a cui contribuisce il tacito consenso delle vittime, l’insicurezza, la scarsa educazione o la ricerca di quieto vivere. Il tutto, non di rado, si consuma con l’avallo delle istituzioni, per le quali queste prassi sono solo in pochissimi casi illegali, e nel silenzio della società, soprattutto in quei contesti in cui usi e tradizioni favoriscono queste prevaricazioni», continua la Segre.

Fortunatamente, però, dall’incontro tra il terzo settore e la società civile nascono progettualità efficaci e, proprio queste iniziative, meritano di essere incentivate anche attraverso gli strumenti digitali: «Abbiamo pensato di inglobare tutti i materiali nell’applicazione “Consapevoli&Indipendenti!” in modo che siano accessibili suggerimenti, buone pratiche, video e tutorial, ma anche una sintesi di passi utili all’autodeterminazione. Per non rinunciare mai alla propria indipendenza». Ai propri diritti. In ultimo, alla propria dignità.

di Silvia Camisasca