La comunicazione secondo il cristiano, ovvero l’esercizio della speranza

Francesco: il cuore dell’uomo è “proteso verso il futuro”

SS. Francesco - Sala Clementina: Redazione del Settimanale “Tertio”  18-09-2020
21 settembre 2020

Papa Francesco è ritornato a parlare di un tema che a lui sta molto a cuore: il futuro. Lo ha fatto parlando alla redazione della rivista belga «Tertio» lo scorso giovedì 18 settembre, con queste parole: «Il professionista cristiano dell’informazione deve dunque essere un portatore di speranza e di fiducia nel futuro. Perché solamente quando il futuro è accolto come realtà positiva e possibile, anche il presente diventa vivibile».

Il presente, dice il Papa, in qualche modo, è generato, nella sua concreta possibilità, dal futuro. Immaginare il futuro, un futuro possibile, “umano”, è determinante per poter vivere il presente. Significativo l’uso del verbo “accogliere”: futuro e presente sono due doni (la parola “presente” lo indica già nel suo significato) che l’uomo può e deve saper ricevere. Si potrebbe dire anche di più: che anche il passato nasce, “proviene”, dal futuro. Di fronte alle sfida rappresentata dal futuro, che è sempre una “av-ventura”, qualcosa che sta per venire, ogni uomo esamina il presente e lo fa sulla scorta del passato, cioè riattiva la memoria per cercare, nel bagaglio della sua esperienza, un suggerimento, una strada per attraversare il momento che ha di fronte. È il futuro stesso che, presentandosi, opera questa riattivazione della memoria, riportando alla mente scene, situazioni, episodi del passato. Ecco perché il futuro è così importante, esso ci dice che l’uomo è de-centrato, trova il suo baricentro fuori di sé, in qualcosa che lo precede, che gli sta davanti e lo attira.

Questo vale per ogni uomo e ancora di più per il cristiano. Egli sa che il suo “cuore”, il centro della sua vita, è in Dio e finché non “riposa” in Dio (come ha colto il genio di sant’Agostino) è inquieto, è appunto de-centrato. Questo cuore quindi è “al di là”, è nel futuro che per ora si può solo immaginare. Questo è un aspetto caratterizzante del cristiano che nutre la sua fede dall’ascolto della Parola di Dio, leggendo il testo della Bibbia, un libro che ha fatto un grande dono all’umanità regalandogli, appunto, il futuro. Prima dell’Antico e del Nuovo Testamento infatti il futuro non aveva una propria e legittima cittadinanza nelle idee e nella vita degli uomini antichi. Ad esempio per i greci il futuro non c’era ma corrispondeva all’eterno ritorno dell’identico, cioè alla ripetizione ciclica del passato. Questo era il fato che, ineluttabile, come una ruota ritornava sempre su stesso non riuscendo mai a sganciarsi dai ritmi della natura per cui dopo l’inverno tornava sempre la primavera e così via, per sempre. Ulisse torna a casa, a Itaca e finisce con incontrare Laerte suo padre, cioè il passato. Ad Abramo invece il Signore parla proponendogli di andare in una terra straniera che “ti indicherò”. E Abramo si muove, spinto, come dirà san Paolo, da una “spes contra spem”, sperando contro ogni speranza.

Per il cristiano il futuro dunque non solo riattiva la memoria, ma suscita la speranza, questa virtù nuova e decisiva che la Bibbia mette al centro dell’esistenza umana. Sempre san Paolo, parlando ai greci di Tessalonica, scrive loro della sorte delle persone defunte affinché «non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza» (1Ts 4, 13). Il cristiano è l’uomo della speranza, che si sforza di immaginare il futuro in cui confida perché Cristo è il Signore della storia, avendo spezzato le catene del tempo con la sua incarnazione, morte e risurrezione.

Così è il cristiano e così ancor più il «professionista cristiano dell’informazione» chiamato oggi, dice il Papa, in questa fine estate del 2020, «ad alimentare la speranza nella situazione di pandemia che il mondo sta attraversando. Voi siete seminatori di questa speranza in un domani migliore. Nel contesto di questa crisi, è importante che i mezzi di comunicazione sociale contribuiscano a far sì che le persone non si ammalino di solitudine e possano ricevere una parola di conforto». La sfida del futuro è questa terribile malattia della solitudine, che già da decenni dilaga nelle società occidentali, per fortuna ci sono dei “presidi ospedalieri”, e sono i giornalisti, anche loro arruolati in questo grande “ospedale da campo” che è la Chiesa, portatrice di quella “grande speranza” di cui parlava Benedetto XVI nella Spe salvi, la speranza che, sempre secondo san Paolo, “non delude” (Romani 5).

Andrea Monda