La «cultura dello scarto» nell’ultimo spettacolo di Jan Fabre

Cassandra torna a parlare

Stella Höttler in «Resurrexit Cassandra» in scena al Napoli Teatro Festival
15 settembre 2020

Grida l’orrore di un mondo in cui tutto viene ridotto a merce, Cassandra, la figlia veggente di Ecuba e Priamo, in una delle sue innumerevoli reincarnazioni contemporanee, post novecentesche. Stavolta è tornata a parlare dalla tribuna del Napoli Teatro Festival, durante uno spettacolo ideato e diretto da Jan Fabre sulla base di un testo firmato da Ruggero Cappuccio (andato in scena il 12 e 13 settembre scorso). Al centro della scena, su un palco coperto di scura terra sabbiosa, c’è la performer Stella Höttler, accompagnata dalle musiche oniriche di Arthur Lavandier, riflessa e moltiplicata nella rifrazione di sé da cinque maxi schermi ad alta definizione. Quinte digitali a luce variabile, spente fino a diventare specchi opachi, o accese, popolate di riti sciamanici reiterati e trance oracolari e attraversati dal lento migrare di un gruppo di placide tartarughe (animali totem per Fabre, simbolo della forza tranquilla della natura. Basti pensare alla celebre scultura in bronzo Searching for Utopia, della serie Spiritual Guards ospitata quattro anni fa in piazza della Signora a Firenze: un uomo a cavallo di una enorme testuggine marina).

Cassandra ancora una volta cerca di aprire gli occhi dei suoi simili al male imminente ma la condanna a non essere compresa non la abbandona, e la costringe a nuove, e sempre più dolorose reincarnazioni. Il suo corpo riemerge dalla sabbia come un reperto archeologico corroso dal tempo che si veste di nuovo di carne e sangue e i suoi capelli, dopo tanti secoli, tornano a gonfiarsi di vento «come frange di una bandiera». Le lunghe ciocche dorate della performer pulsano sui maxischermi come anemoni di mare, dando forza visiva alle invettive della sacerdotessa di Apollo contro le scelte miopi e meschine degli uomini del ventunesimo secolo, che trasformano le parole «in giochi di prestigio per far finta di essere Dio» e vedono nella Creazione solo un immenso Paese dei Balocchi pieno di prodotti da consumare, articoli usa e getta che durano lo spazio di un mattino e subito si trasformano in «arcipelaghi di plastica, chiazze di morte». Grida in greco antico, con le lamentazioni corali dei classici della tragedia antica, Stella Höttler, ma soprattutto nella sua lingua madre, il tedesco, che evoca sul palco anche il fantasma letterario della celeberrima Cassandra di Christa Wolf, rinchiusa nella sua comunità sulle rive dello Scamandro, impotente di fronte alla cecità dei suoi concittadini e della sua stessa famiglia. I sottotitoli in italiano aiutano a seguire il suono duro e dolcissimo delle invettive (c’è anche un breve fotogramma-Marlene Dietrich, con una struggente Falling in Love again cantata nel corso di un ironico brindisi alla follia umana) mentre il testo di Ruggero Cappuccio, in questo inizio di autunno, realizza, di fatto un casuale gemellaggio teatrale fra Roma e Napoli. Il 2 settembre scorso infatti è per la prima volta sbarcato al Globe Theatre di Villa Borghese il suo Shakespea re di Napoli, pluripremiato, in scena da 26 anni. Un raffinato omaggio al Bardo e alla cultura partenopea in cui la fine dello spettacolo coincide con il divampare della peste, in un mondo in cui «l’aria s’è ammalorata». Impossibile non pensare al lockdwn e alle misure cautelari anti coronavirus del nostro presente.

di Silvia Guidi