La storia dell’antica diocesi nel libro di Antonio Chilà

Bova terra d’incontro

Il vescovo Giuseppe Cognata in visita pastorale
24 settembre 2020

La ricerca storica sulla Chiesa calabrese si arricchisce ulteriormente con un testo sulla quasi millenaria diocesi di Bova, scritto da Antonio Chilà, già caporedattore de «L’Osservatore Romano»: La diocesi di Bova dalle origini al 1986, (Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2020, pagine 609, euro 48).

Bova — sede episcopale di rito greco fino al 1573, anno del passaggio al rito latino imposto dal vescovo Giulio Stavriano — fu una prestigiosa, anche se territorialmente non molto estesa, diocesi aggregata nel 1986 all’arcidiocesi di Reggio Calabria, con un seminario culturalmente vivace, centro di formazione di futuri vescovi, sacerdoti, chierici e numerosi laici.

Il vescovo Straviano, cipriota, cancellò, di colpo, secoli di storia, di tradizioni, di usi e di costumi, religiosi e laici, che scandivano la vita dei bovesi. L’ultima roccaforte del rito greco cadde quando la Calabria era ormai latinizzata.

La spiritualità episcopale ebbe rilevante importanza non solo nella vita quotidiana dei diocesani, bensì anche nelle strutture sociali, poco rispondenti ai bisogni dei poveri e dei diseredati. Verso di loro, due presuli, in particolare, monsignor Stefano Morabito e monsignor Giuseppe Cognata, quest’ultimo, fondatore delle Salesiane Oblate del Sacro Cuore — il vescovo “martire” ingiustamente accusato, calunniato e riabilitato dai Papi Roncalli e Montini e del quale il 12 dicembre prossimo avrà inizio, a Tivoli, il processo di beatificazione, dopo la richiesta di un gruppo di giuristi cattolici, guidato dal primo presidente emerito della Corte di Cassazione, Giuseppe Viola — svolsero un intenso apostolato con la fondazione di istituti religiosi per cercare di alleviare le sofferenze della popolazione delle zone aspromontane, poco praticabili e arretrate. Arretatrezza sociale non riscontrabile, invece, in altre istituzioni ecclesiastiche.

Bova, culturalmente, fu una delle poche diocesi della Calabria dove si tentò di sperimentare, già nel 1802, la centralizzazione dei registri parrocchiali. Il vicario capitolare, Antonio Marzano, comprendendo l’importanza della conservazione di un imponente patrimonio storico, ecclesiale e civile, pensò, per impedire furti, saccheggi o manipolazioni, di far convogliare negli archivi della Curia vescovile tutti i registri parrocchiali esistenti nella diocesi. Ferdinando iv approvò il decreto, mai attuato, per la revoca del ministro degli Affari ecclesiastici, Francesco Migliorini, in seguito alle lettere di protesta, inviate da rappresentanti del clero bovese e da autorità civili.

Fu il centro di un’intensa attività scrittoria, soprattutto, alla fine dei secoli XII e XIII, nella quale si distinse il prete Filippo di Bova che, tra l’altro, ha trascritto il Triodo Messinese, noto come «S. Salvatore 86». E, ancora, l’opera del vescovo Achille Brancia che fece trascrivere gli ultimi codici greci di Calabria. Né si possono dimenticare i testi liturgici, biblici, omiletici, patristici, agiografici nei monasteri della diocesi: San Pantaleone e Santa Maria Teutoca, situati fuori città; Santa Candelora, dentro le mura di Bova, monastero femminile; Santo Ippolito di Palizzi; Santa Maria di Tridetti; e dei monasteri femminili di Sant’Anna, di Santa Venere, di San Pantaleone.

I vescovi del primo periodo non sono documentati. Antonio Chilà, consultando numerosi archivi, è riuscito a ricostruire con minuzia di particolari l’esatta cronotassi della diocesi calabrese, ben documentata, risolvendo numerosi dubbi sull’esistenza di alcuni episcopati.

Bova, a partire dal 19 dicembre 1165 fino al 30 settembre 1986, ebbe 71 vescovi. Solo una caratteristica eccelle nell’evocare le vicende, anche tristi, dell’episcopato: la grande fede dei bovesi e dell’intera diocesi a san Leo, e ad altri santi dei quali la Chiesa di Bova si nutrì spiritualmente; soprattutto grazie ai monaci basiliani, che i vescovi latini non riuscirono mai a porre in secondo piano, tanto era forte e radicata la spiritualità greca in tutta l’area della Bovesìa, nella quale, come in altre località calabresi, furono un saldo punto di riferimento per gli abitanti, ai quali insegnarono a lavorare e a coltivare la terra e, contemporaneamente, la religione, e le diverse discipline letterarie e scientifiche. L’autore riporta anche tutte le nomine dei vescovi bovesi, desunte dal Regesto Vaticano per la Calabria di padre Francesco Russo, e il numero esatto delle Confraternite, che seppero diffondere lo spirito associativo fin dai primordi dell’esistenza della diocesi.

Bova, fu anche sede di una Chiesa greca che, per secoli, rimase viva e pulsante, e che oggi, giovani amministratori tentano, con molta fatica, di fare, in qualche misura, rivivere per non dimenticare le antiche origini.

di Francesco Ricupero