Il reinserimento dei minori problematici attraverso l’esperienza in barca

A scuola per mare e tornare liberi

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29 settembre 2020

Si sono imbarcati il 14 settembre scorso a San Vincenzo (Livorno) sono in sei, quattro ragazzi e due ragazze, accompagnati da uno staff di tre educatori coordinati da Gabriele Gaudenzi, presidente de I Tetragonauti onlus, l’associazione capofila del progetto «A Scuola per mare», selezionato e cofinanziato dall’impresa sociale Con i bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. I ragazzi sono stati inviati dagli enti locali attraverso la rete dei servizi sociali, dalle scuole e dai centri di giustizia minorile. L’iniziativa coinvolge direttamente cinque regioni (Sicilia, Lazio, Lombardia, Sardegna, Campania) e vede protagonisti adolescenti che incontrano difficoltà a completare il ciclo di studi. Tra questi anche ragazzi che hanno vissuto, nonostante la giovane età, l’esperienza del carcere. Navigheranno per due mesi e seguiranno un piano di lavoro molto impegnativo. Tra le attività in programma, un corso con il rilascio del brevetto per l’attività subacquea al parco nazionale dell’Asinara. Da lunedì 28 settembre sono protagonisti di una settimana di navigazione integrata con un gruppo di coetanei disabili dell’associazione italiana persone down Aipd di Pisa. Non mancheranno le attività didattiche quotidiane, concordate con le scuole e propedeutiche al loro reinserimento al termine dell’esperienza.

«Abbiamo statistiche che ci confortano e che ci spingono ad andare avanti. Per questo — racconta orgogliosamente Gabriele Gaudenzi, educatore, capitano e responsabile del progetto — siamo salpati di nuovo. Il 90 per cento dei partecipanti supera positivamente la prova e riesce a conseguire il diploma di scuola media inferiore, una volta ripresi gli studi. Ci sono anche quelli con i debiti formativi e, d’accordo con gli istituti di riferimento, riusciamo ad aiutarli e a rimettersi in carreggiata» spiega Gaudenzi. Al capitano l’idea è venuta nel 2005 quando, insieme ad un suo amico imprenditore, ha acquistato una barca e si è messo in testa che il mare avrebbe potuto cambiare la vita di tanti giovani. «È andata proprio così — ricorda — all’inizio avevamo pensato solo alle persone con disabilità, poi abbiamo puntato sugli adolescenti. Soprattutto quelli più problematici». Facile a dirsi, più complesso a mettere in piedi un progetto così ambizioso. Soprattutto perché se le regole sono state violate a terra, figuriamoci in mare, dove lo spazio di convivenza all’interno di una imbarcazione è pressoché quello di una cella. «Niente affatto. È molto più semplice in acqua» risponde Gaudenzi, presentando la sua filosofia vincente: «Partiamo da un presupposto: le regole non vengono rispettate se non si capiscono. A bordo è più semplice. L’educatore dice al ragazzo o alla ragazza che non deve fumare quando la vela è aperta perché il mozzicone potrebbe bruciarla. Lui (o lei) comprende la ragione del divieto e non accende la sigaretta. Se il tutor ti invita ad indossare il giubbotto salvagente quando il mare è agitato, vuol dire che è indispensabile farlo. Dopo i pasti i piatti vanno immediatamente lavati e risistemati al loro posto, altrimenti potrebbero rompersi facilmente, anche a causa di onde improvvise, se lasciati in giro. Queste sono norme molto rigide che i nostri ospiti comprendono e osservano».

Gaudenzi parla anche dell’importanza del rispetto degli orari: «Non si fa tardi la sera, perché ci si sveglia presto la mattina. Bandito ogni abuso di alcol e l’utilizzo dello smartphone. In barca c’è sempre da fare e, in più, loro devono studiare. Vivere in 20 metri quadrati in dieci persone non è certo una passeggiata».

La proposta del mare ai ragazzi “dentro” appare di primo acchito quasi un premio a persone che hanno commesso reati, ma anche qui il capitano è risoluto: «Hanno certamente sbagliato, ma ci dovremmo domandare il motivo per cui ragazzi di 14, 15 o 16 anni lo hanno fatto. Che ruolo hanno avuto gli adulti in tutto questo? Ritengo che, data la giovane età, hanno diritto ad una seconda chance, senza marchiarli a vita come delinquenti o criminali. Ribadisco che la responsabilità di ciò che hanno commesso — conclude — è da attribuire, almeno nel 90 per cento dei casi, ai più grandi». L’arrivo è previsto il 2 novembre prossimo a Catania. Ad attendere i provetti marinai, nuove sfide, ma questa volta avranno imparato la rotta per approdare nei porti giusti e sicuri della vita.

di Davide Dionisi