LABORATORIO - DOPO LA PANDEMIA
Per superare le fragilità sanitarie

Un nuovo approccio etico

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27 agosto 2020

Parafrasando un antico assioma di Voltaire si dice che «il grado di civiltà di un popolo lo si valuta dal trattamento riservato ai più indifesi e deboli». L’assistenza agli anziani, specialmente se non autosufficienti, è una delle questioni più dibattute del Servizio sanitario nazionale, in particolare di quello calabrese. E l’invecchiamento fluttuante della popolazione è destinato ad avere un forte e crescente urto nei vari settori della società e, in particolar modo, sulla domanda di servizi e strutture extraospedaliere dedicate. Per sopperire a questo bisogno, a metà degli anni Novanta, sono nate in Italia le Rsa, acronimo che sta per Residenze sanitarie assistenziali ovvero strutture non ospedaliere, a carattere sanitario, che accolgono a tempo imprecisato persone anziane non autonome.

Un approccio fenomenologico serio al mondo della sanità non può non constatare che estese criticità investono anche queste strutture. Una bassa responsabilità delle istituzioni nei confronti dei bisogni di salute del territorio ha generato l’accumulo di tante criticità strutturali. La salute è divenuta uno dei nodi cruciali della cultura contemporanea. Tutto questo produce agitazioni che fanno del mondo sanitario uno spazio assai conflittuale. L’epidemia di coronavirus non ha fatto altro che portare alla ribalta squilibri che rappresentano le debolezze di un sistema sanitario, già febbricitante come quello italiano, di cui si parla e si dibatte poco, se non quando sopraggiungono scandali e indagini, ma che ora dovrebbe imporre alla politica novelle regole e scelte di discontinuità con il passato. A questo punto, in relazione alla recente strage pandemica che si è abbattuta sulle Rsa — il 50 per cento dei decessi da covid-19 è avvenuto in strutture per anziani e il numero dei contagiati fra il personale sanitario ha superato quota 10.000 e i medici morti oltre 160 (un prezzo troppo elevato pagato sia dagli anziani sia dai sanitari, lasciati morire sul campo senza adeguate protezioni) — mi chiedo se le cose sarebbero andate diversamente con un sistema sanitario più efficiente e non danneggiato da continui tagli e da carenza permanente di personale medico e paramedico.

Sin dagli anni Ottanta, infatti, si apprezza un processo di deeticizzazione del mondo sanitario. Il pianeta sanitario si è come secolarizzato, anzi addirittura ha cercato di affrancarsi da ogni ancoraggio etico. Non è solo un problema di deterioramento morale (“tangentopoli”) ma di crescente difficoltà a barbicare la medicina sull’etica a causa del dilagante pluralismo dei valori, che rende sempre più arduo scorgere un terreno comune. E come Chiesa non possiamo non denunciare questo stato di cose. Partendo da un’affermazione di Winston Churchill («le critiche non saranno piacevoli ma sono necessarie»), sento di dire che criticare è facile, invece fare una critica costruttiva è un’arte che pochi padroneggiano. Quello che serve oggi è una valutazione su ciò che non è andato, su ciò che è necessario fare e su ciò che sarà essenziale fare nel futuro perché tutto questo non debba più capitare. L’epidemia ha fatto emergere le nostre pseudo sicurezze, le nostre consuetudini, l’abbaglio di essere sani in un mondo affranto da egoismo e puntellato unicamente su parametri economici. I processi di secolarizzazione e di globalizzazione in atto hanno generato nel nostro tempo un’ischemia verticale non solo dei valori cristiani ma anche del senso religioso ed etico della vita. La ristrettezza di risorse non deve mai riflettersi sulla popolazione più debole «così da penalizzare nelle cure sanitarie alcune stagioni della vita, come la vecchiaia» (Giovanni Paolo II).

Il soggetto del servizio sanitario è la persona, non l’istituzione. Non è consentito passare oltre di fronte a chi è provato dalla malattia. Occorre piuttosto fermarsi, chinarsi sulla sua infermità e condividerla generosamente, alleviandone i pesi e le difficoltà. Da qui la drammatica urgenza, in questo inizio del XXI secolo, della “questione persona”. L’aggressione all’uomo non avviene più per la via, barbara e crudele, dei forni crematori, ma mediante quella morbida e seducente di una scienza onnicomprensiva e di una struttura sociale fatta di uomini e di donne eterodiretti. Una persona sistematicamente confutata da più parti è ricorrentemente oggetto di tentativi di (presunto) “superamento”, ma che rimane il necessario fondamento di ogni antropologia.

La vita biologica, fragile e debole per costituzione, necessita di essere custodita e curata. Le cure sanitarie oggi si devono armonizzare con il rispetto dei diritti della persona. E questa è la grande responsabilità di tutti coloro che sono preposti alla tutela della salute nei ruoli più diversi, come afferma Papa Francesco quando dice che «proprio il rispetto per il valore della vita, e, ancora di più, l’amore per essa, trova un’attuazione insostituibile nel farsi prossimo, avvicinarsi, prendersi cura di chi soffre nel corpo e nello spirito: tutte azioni che caratterizzano la pastorale della salute». L’evangelizzazione, a cui la fede chiama la Chiesa e il cristiano, passa ineludibilmente attraverso la promozione della società e della città dell’uomo. L’agire per la giustizia e partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo. Adoperarsi per una società più armonica nella libertà e nella giustizia è dunque annuncio testimoniante di una fede liberante.

La Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo, è tenuta a cercare l’incontro con l’uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza. In un tale incontro l’uomo «diventa la via della Chiesa» ed è, questa, una delle vie più importanti. Oggi la politica non rincorre più grandi progetti ideali e non offre più scopi di vita e «si manifestano dubbi verso tutte le forme dei movimenti di liberazione» (Joseph Ratzinger, La via della fede, Milano, 2005, pagina 15). Si avverte sempre più l’esigenza di un ritorno all’etica, sola capace di far recuperare alla politica e alla medicina il costitutivo potenziale umanizzante. Ancora una volta viene così all’evidenza che la morale è all’origine di ogni male e ogni bene per l’uomo. In questo senso l’etica diviene una sorta di campo neutro che non può essere assorbito né dalla fede né dalla politica, ma ha legami profondi con le due: dalla fede riceve nuovi impulsi, che raggiungono la politica senza alterarne i contorni, e dalla politica stimoli nuovi. L’etica, dunque, conferisce alla politica il suo senso ultimo, la orienta al fine che le appartiene: vale a dire il servizio integrale dell’uomo e dell’intera famiglia umana. Nella convinzione che si tratti di un’occasione per avviarsi sulla strada di una leale collaborazione si chiede alla politica una maggiore attenzione verso l’universo persona. È la risignificazione cristiana della persona, il vero antidoto alle ideologie, perché è a partire da come pensiamo la persona umana e il modo in cui dovrebbe vivere che costruiamo, per quanto ci è possibile, un certo tipo di società che ci consente di contrastare efficacemente le distorsioni evidenziate.

di Francesco Savino
Vescovo di Cassano all’Jonio