La «Scuola di Atene» pone uno dei più grandi interrogativi della storia dell’arte

Un’architettura per due

Pinacoteca Ambrosiana, Raffaello, Cartone preparatorio per la Scuola di Atene, con evidenziato il disegno di pianta a sanguigna (Foto © Pinacoteca Ambrosiana)
12 agosto 2020

L’influenza di Bramante sulla struttura del capolavoro di Raffaello


L’ideazione dell’architettura della Scuola di Atene pone uno dei grandi interrogativi aperti della storia dell’arte. Il dipinto fu probabilmente il primo lavoro autonomo realizzato da Raffaello nel Palazzo Apostolico e contiene la chiave per comprendere l’affermazione del pittore destinato ad assumere la regia dell’intera opera delle Stanze di Giulio ii.

Diversamente dalle pitture delle altre pareti, la sua genesi non è documentata da bozzetti o schizzi d’insieme, ma soltanto da alcuni disegni di dettagli a grande scala e soprattutto da un cartone di dimensioni monumentali (circa 8 x 2,8 metri) composto da oltre duecento fogli incollati, che rappresenta la parte inferiore della parete, popolata dalla celebre sequenza di figure di filosofi del mondo antico.

La sopravvivenza di un elaborato simile nella sua interezza è un fatto eccezionale. Generalmente i cartoni preparatori durante le lavorazioni subivano strappi e tagli, giungendo fino a noi solo per frammenti e anche se non erano utilizzati per realizzare gli affreschi spesso erano destinati all’oblio, come nel caso celebre cartone della Battaglia di Cascina realizzato pochi anni prima da Michelangelo, esposto in Palazzo Vecchio a Firenze, copiato da numerosi artisti e in seguito disperso nonostante la fama del suo autore.

Il cartone della Scuola di Atene dovette essere considerato precocemente un’opera d’arte in sé. La qualità delle figure dimostra infatti tutte le virtù di Raffaello disegnatore e la capacità di dominare un tema vasto e complicato dal numero di personaggi quasi a grandezza naturale che convivono in uno spazio relativamente ristretto. Il cardinale Federico Borromeo comprese l’importanza dell’opera e nel 1610 decise di portarla a Milano, dove ancora oggi è conservata nelle collezioni della Pinacoteca Ambrosiana. Il valore di questo foglio va oltre le qualità artistiche, poiché rappresenta un documento storico concreto del lavoro compiuto dal pittore, il quale se ne servì per il trasferimento dei disegni sulla muratura con la tecnica dello spolvero, forando la carta e incidendo linee e punti sull’intonaco fresco sul quale sarebbe poi stato steso il grassello di calce colorato della pittura.

Quasi certamente, in origine la grande tavola dell’Ambrosiana si estendeva verso l’alto più di quanto si è conservato fino a oggi, ma i recenti restauri (2007) hanno chiarito definitivamente che le pareti del solenne edificio sullo sfondo del dipinto furono realizzate senza l’utilizzo di un cartone, semplicemente con la riga, il compasso e una punta metallica e che soltanto le volte a botte che coprono l’ambiente furono dipinte utilizzando un cartone preparatorio.

Un secolo fa lo storico dell’arte Oskar Fischel ha per primo notato la presenza di alcuni disegni architettonici sotto le figure rappresentate nel cartone. Tra questi schemi grafici una linea spezzata a matita rossa, la cosiddetta sanguigna diffusa nella pratica artistica del tempo, definisce in pianta un fronte architettonico. Questo fronte continuo è pressoché identico a uno dei fianchi dell’edificio principale dipinto nell’affresco, rispetto al quale le differenze sono minime e in parte causate dal rimontaggio per parti del cartone dopo il suo utilizzo per l’affresco.

Fino a oggi la presenza di questo disegno non ha trovato spiegazioni. Le sue dimensioni di circa il doppio rispetto all’architettura nel dipinto non hanno portato finora a metterlo in relazione diretta con quanto realizzato sulla parete. La chiave di volta per comprenderne la sua funzione sta in una linea orizzontale presente nel cartone all’altezza delle figure dei filosofi, nella quale sono segnate delle tacche a matita nera dalle quali parte verso l’alto una serie di linee verticali. Queste linee corrispondono alla sequenza dei pilastri e nicchie che scandiscono i fianchi dell’edificio che fa da sfondo alla scena in primo piano nel dipinto. Le tacche sulla carta fornirono quindi la cadenza delle righe che governano di fatto la prospettiva e conferiscono profondità al dipinto.

Anche se a prima vista non sembrano esserci relazioni dirette tra la pianta pressoché invisibile sotto le figure disegnate da Raffaello e l’affresco realizzato, è facilmente dimostrabile come questa abbia assolto una funzione pratica cruciale. Fissando infatti una linea orizzontale e un punto a destra della parete si sarebbe potuta fissare la sequenza di punti che definivano le paraste sempre più strette in scorcio prospettico a destra della mezzeria della parete. Queste misure potevano in seguito essere riportate sul lato opposto per simmetria. L’insieme di queste operazioni si sarebbe facilmente potuta realizzare con uno spago e due persone. All’atto pratico Raffaello sembra aver utilizzato due punti, il primo per fissare la sequenza della prima serie di paraste più vicine all’osservatore, il secondo per definire quelle più in profondità. La ragione dell’adozione di questo secondo punto è verosimilmente dettata dalla volontà di rendere più larghe e quindi più visibili le membrature più lontane.

Da lungo tempo gli storici dell’arte si sono chiesti se la concezione di questa solenne architettura si potesse attribuire in toto al giovane artista, o se piuttosto non fosse frutto dell’influsso di Donato Bramante, l’architetto cui il Papa aveva affidato la costruzione della nuova San Pietro.

L’architettura dipinta della Scuola di Atene è alquanto diversa da quelle che Raffaello aveva rappresentato nei suoi quadri prima di trasferirsi a Roma negli ultimi mesi del 1508. In precedenza i suoi edifici erano eleganti e ben proporzionati, ma nessuno mostrava una concezione di spazi con murature massicce scandite da membrature possenti e scavate da nicchie, proprio come quelle che apparivano negli edifici antichi della Città eterna e nelle moderne fabbriche progettate da Bramante per Giulio ii. Nella parte sommitale dell’affresco Raffaello rappresentò il tamburo di una cupola con finestre rette da colonne e aperte verso l’azzurro del cielo. Queste finestre, gli oculi dei pennacchi sottostanti e più in generale il carattere dell’edificio sono evidentemente tratti dai progetti di Bramante per San Pietro. Allo stesso tempo, l’arco che vediamo sul fondo del dipinto è ripreso direttamente dalla Porta Julia del Belvedere, uno dei progetti più ambiziosi di Bramante per Papa della Rovere anch’esso in piena costruzione e che peraltro si poteva vedere semplicemente affacciandosi dalla finestra della stanza dov’è collocato il dipinto. Ma, quando Raffaello realizzò gli affreschi della Stanza della Segnatura, la Basilica e il Belvedere apparivano come grandi cantieri, non come edifici compiuti. L’artista ebbe dunque accesso ai disegni di Bramante, studiò i suoi lavori in corso e ne fu profondamente influenzato. Grazie alle sue ben note capacità di assorbire e rielaborare gli esempi che aveva davanti a sé comprese l’importanza di dar forma visibile ai sogni di un Pontefice che in pochi anni aveva mutato il volto di Roma.

Possiamo tentare di immaginare l’impressione suscitata dal dipinto in fase di realizzazione. Mentre il lavoro procedeva dall’alto verso il basso, compariva la solenne e magnetica sequenza di spazi voltati oltre i quali si apre l’azzurro del cielo. Più ancora della Disputa del Sacramento, forse in parte realizzata in parallelo, questa immagine forniva la rappresentazione più fedele dello spirito di un committente che aveva messo in primo piano l’architettura come strumento di comunicazione.

I dipinti successivi delle Stanze di Raffaello dimostrano con quale rapidità il giovane allievo abbia appreso i principi fondamentali dell’architettura dal suo maestro, ma questa prima parete pone la questione forse insolubile di quale ruolo quest’ultimo possa aver avuto nella concezione di questa prima architettura.

Bramante era cresciuto nel cuore della grande tradizione prospettica di Piero della Francesca e della Corte di Urbino. A Milano egli stesso era stato anche un grande pittore prospettico. Nelle sue architetture per Giulio ii, come San Pietro e il Belvedere Vaticano, il sogno di questa forma di rappresentazione si trasformò in edifici reali. Archi e pilastri in pietra e mattoni fornivano una misura allo spazio secondo un’idea di razionalità, come se le regole “matematiche” della prospettiva potessero governare almeno alcuni ambiti del mondo reale entro il quale si muovevano gli uomini.

Forse non sapremo mai se fu Bramante a concepire l’architettura della Scuola di Atene o se fu lui a suggerire all’allievo poco più che ventenne, abilissimo disegnatore di figura, il sistema pratico e coerente che abbiamo qui ricostruito per tracciare sull’intonaco fresco un’architettura che possiamo leggere come il ritratto di un pontificato. Quel che è certo, è che Raffaello volle lasciare un segno indelebile della sua riconoscenza verso il suo maestro rappresentandolo nel celebre ritratto in primo piano dell’affresco nelle vesti di Euclide circondato dai suoi allievi. Il disegno tracciato sulla lavagnetta ai piedi del fondatore della geometria antica ha indotto gli storici a sviluppare le teorie più complicate sulle conoscenze matematiche dell’artista. Ma, prima di tutto, Raffaello era un pittore e nella rapida maturazione della primavera del 1509 dovette intuire che l’efficacia di un messaggio può avere maggior effetto quando non contiene spiegazioni troppo esplicite. In altre parole, se pone a chi lo guarda un interrogativo senza fornire soluzioni evidenti. Questo vale anche per l’architettura dipinta e, dopo la chiara citazione del progetto di San Pietro nella Scuola di Atene, in tutti i dipinti successivi realizzati per Giulio ii non vi sono citazioni palesi di edifici riconoscibili. Molto sarebbe cambiato con Leone x quando iniziò a realizzare le sue architetture e inserì edifici che tutti potevano riconoscere, come la Basilica Costantiniana e la Rocca di Ostia nella Stanza dell’Incendio di Borgo.

Possiamo forse pensare che il disegno tracciato dal Bramante-Euclide voglia semplicemente alludere al ruolo dell’architetto nel passare dall’esigenza pratica di tracciare una grande prospettiva in un problema geometrico. Probabilmente non sapremo mai con certezza chi fu l’autore del disegno sotto le figure della Scuola di Atene, né chi fu veramente l’ideatore dell’architettura dipinta. Sembra tuttavia inequivocabile che Raffaello abbia compreso rapidamente, come la forza intellettuale di Bramante non risiedesse nell’astrazione, ma nel trasformare in edifici la purezza delle idee della matematica e della geometria. Poggiata salda al suolo, la lavagnetta di Bramante parla della capacità del grande costruttore urbinate di realizzare architetture che discendono dal mondo delle idee e che, come suggerisce lo sguardo degli allievi che lo circondano, in qualche luogo al mondo in qualche momento speciale è possibile che la perfezione del pensiero dal cielo discenda sulla terra.

di Vitale Zanchettin