Una biografia ripercorre l’illuminante esperienza di Vasilij Grossman

Testimone di un secolo

Vasilij Grossman a Stalingrado
18 agosto 2020

«Ancora vivo nei suoi libri, Grossman ci sprona ad assumere su di noi la responsabilità della storia, affinché le tragedie del “secolo-canelupo” vengano scongiurate e non abbiano a ripetersi e perseguitare i nostri discendenti».

Si chiude così  Le ossa di Berdičev. La vita e il destino di Vasilij Grossman  (Bologna, Marietti 1820, 2020, pagine 488, euro 29), la più completa biografia sullo scrittore ucraino (1905-1964). Risultato di un lungo lavoro di ricerca svolto in Russia negli anni Novanta, il libro utilizza anche lettere, testimonianze inedite e materiali d’archivio venuti alla luce dopo il crollo dell’Unione sovietica. Curato da Giovanni Maddalena e Pietro Tosco con la traduzione di Roberto Franzini Tibaldeo e Marta Cai, e pubblicato nel 2009 (anno in cui vinse il Premio Comisso)  Le ossa di Berdičev  è firmato da John Garrard, professore di letteratura russa all’Università dell’Arizona, e da sua moglie Carol.

In Italia la rinascita dell’interesse per Grossman risale al 2005 quando si tennero a Torino alcune iniziative per ricordarne il centenario dalla nascita (su iniziativa del centro culturale Pier Giorgio Frassati e della Fondazione Arte storia e cultura ebraica a Casale Monferrato e nel Piemonte Orientale-onlus). E se  Vita e destino, capolavoro dello scrittore, era già stato portato in Italia la prima volta nel 1984 da Jaca Book (con traduzione di Cristina Bongiorno e introduzione di Efim Erkind), nel 2008 è stato Adelphi a riproporlo, tradotto da Claudia Zonghetti.

Ciò che caratterizza la vicenda personale di uno dei maggiori scrittori del Novecento, è il suo essere stato testimone diretto di alcune pagine decisive del secolo: il flagello della carestia ucraina, le persecuzioni del grande terrore staliniano, la seconda guerra mondiale, l’occupazione nazista e la scoperta della Shoah.

Nato in una famiglia ebraica benestante e cosmopolita, avversa allo zarismo e favorevole alla rivoluzione, Grossman esordisce come scrittore nel 1934. Corrispondente di guerra, è il primo a raccontare le fucilazioni di massa nell’Ucraina occupata dai nazisti e poi i campi di sterminio. Nel settembre 1941 proprio nella cittadina di Berdičev — dove Grossman nasce il 12 dicembre 1905 — vengono fucilati in soli tre giorni trentamila persone nella prima operazione di eliminazione degli ebrei pianificata su vasta scala.

Dal 1941 al 1945 Vasilij Grossman trascorre oltre mille giorni al fronte con l’Armata rossa, assistendo a più azioni militari di qualsiasi altro corrispondente in qualunque scenario della seconda guerra mondiale. Presente alle battaglie decisive sul fronte orientale, documenta per primo la Shoah, pubblicando resoconti già a partire dal 1943 mentre tutto è in atto. Viaggiando al seguito delle truppe sovietiche nel 1943-1944 durante la liberazione dell’Ucraina, vede con i propri occhi Babij Jar e le centinaia di più piccole Babij Jar che hanno insanguinato il suo Paese. Presente alla liberazione di molti campi di sterminio (cominciando da Majdenek), il suo  L’inferno di Treblinka, scritto e pubblicato nel 1944, è un documento importantissimo, unico resoconto del funzionamento del campo, scritto a meno di un anno di distanza dalla rivolta dei prigionieri. Una lunga e dettagliata cronaca che verrà portata come prova al processo di Norimberga.

Nel dopoguerra Grossman concepisce l’idea di scrivere una grande epopea sulla battaglia di Stalingrado; la seconda parte dell’opera,  Vita e destino, lo inserirà a pieno titolo tra i grandi nomi della letteratura mondiale. Ma tutto avverrà poi: nel 1961, infatti, il manoscritto viene sequestrato dal Kgb e Grossman muore senza vederne la pubblicazione, avvenuta solo vent’anni più tardi in Occidente. Un dolore nel dolore: «Verso la fine della sua vita — scrivono i Garrard — Grossman fu letteralmente trasformato in “non-persona” dalle ferree autorità sovietiche e le sue maggiori opere tolte dalla circolazione». Subito dopo la guerra, infatti, Stalin vietò ogni riferimento agli ebrei come vittime principali del nazismo, il che fu come affermare «che la Shoah non avesse mai avuto luogo. (…) Così il conquistatore della Germania nazista divenne complice del proprio nemico. (…) I più importanti contributi manoscritti di Grossman sulla storia e la letteratura furono “arrestati” dalle autorità, ma alcune copie furono conservate da un piccolo gruppo di devoti e coraggiosi amici, che riuscirono a farli pubblicare solo molti anni dopo la sua morte».

Ne  Le ossa di Berdičev  l’incredibile vita dello scrittore viene ripercorsa inserendola in un discorso ben più ampio. «Ora che si conclude il martoriato XX secolo — scrivono gli autori —, le cui contraddizioni irrisolte irridono gli ideali sbandierati e la fede nell’ineluttabile progresso umano, non possiamo non vedere chiaramente come le sue abbaglianti conquiste scientifiche e tecnologiche non siano state impiegate per alleviare le sofferenze dell’umanità, ma per gettare il mondo in orribili guerre e prepararlo a conflitti più spaventosi. (…) Questo è quanto tentiamo di fare in questo libro: comprendere meglio dove abbiamo sbagliato, ma non in virtù di un’indagine storica che passa in rassegna i maggiori eventi del XX secolo», ma piuttosto attraverso «l’esame delle istanze che essi suscitarono nel corso della vita e delle opere» di Grossman.

In lui, infatti, abbiamo l’uomo, il testimone, lo scienziato e lo scrittore insieme. Prima di diventare narratore — ricordano Carol e John Garrard — Grossman si era formato come scienziato, il che gli darà piena consapevolezza dei progressi scientifici, in particolare di quelli atomici, ben sapendo quanto essi minacciassero l’intera umanità e non solo i nemici del momento. «La sua formazione scientifica (…) fu un prerequisito cruciale per il suo rifiuto dell’ideologia sovietica».

Il libro non vuole farne un santino, ma piuttosto intende restituire a Grossman la complessità che gli spetta. «Fu in realtà un uomo segnato da profonde contraddizioni, come l’epoca in cui visse. La sua fu una vita contrassegnata da conflitti morali, culturali e filosofici. Benché fosse stato uno dei primi beneficiari del regime sovietico, nonché un intellettuale che aveva lavorato e lottato per la sopravvivenza di quest’ultimo, egli si scostò dall’adesione alla rivoluzione d’Ottobre a un graduale, ma totale rifiuto delle premesse e dei valori fondamentali del marxismo-leninismo». Facendo esperienza sia dell’antisemitismo nazista che di quello sovietico, «l’esistenza dell’ebreo Grossman si svolse alternando assimilazione e opposizione».

La vicenda personale di Vasilij Grossman e le sue opere «si intrecciano inscindibilmente — scrive nella presentazione all’edizione italiana Michele Rosboch dell’università di Torino, presidente del Study Center Vasily Grossman — offrendo una testimonianza unica nel panorama del Novecento per ricchezza di personaggi, lungimiranza nella lettura storica, pluralità delle vicende umane e profondità di messaggio: l’affermazione dell’irriducibilità dell’io di fronte a ogni potere, la natura violenta di qualsiasi ideologia e la ricchezza delle domande ultime sul significato della vita e il suo destino che caratterizzano il cuore dell’uomo».

di Silvia Gusmano