In Sahel centrale le crisi umanitarie più dimenticate del pianeta

Soffrire nel silenzio

Nigeriens sit in the back of a truck, preparing to travel north towards Libya, while waiting for ...
17 agosto 2020

La rapida ed inesorabile diffusione del covid-19, che passerà nella storia per aver costretto il mondo intero a fermarsi, sta rischiando di far passare in secondo piano alcune gravi crisi umanitarie su cui invece bisognerebbe continuare a mantenere alta l’attenzione. Come ha ricordato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, lo scorso 23 aprile attraverso un videomessaggio: «La pandemia covid-19 è un’emergenza sanitaria pubblica, eppure è molto di più. È una crisi economica. Una crisi sociale. È una crisi umanitaria che sta rapidamente diventando una crisi dei diritti umani». Così come in poche settimane questo virus letale ha contagiato centinaia di migliaia di persone, con la stessa velocità sta amplificando tutte le ingiustizie causando effetti devastanti sui più fragili. In questa emergenza sanitaria senza precedenti, i governi e gli altri attori coinvolti devono porre i diritti umani al centro delle loro azioni, tenendo conto soprattutto delle esigenze specifiche dei gruppi vulnerabili.

Particolarmente allarmante risulta la situazione degli Stati del Sahel centrale (Mali, Burkina Faso e Niger) messi a dura prova da conflitti armati, terrorismo, catastrofi naturali dovute ai cambiamenti climatici, dall’invasione di locuste del deserto e adesso anche dalla diffusione del covid-19. Quest’ultimo ha colpito la regione alla vigilia dei mesi cruciali della semina, fra maggio e luglio, facendo aumentare il numero degli affamati senza sosta e spingendo in uno stato di grave insicurezza alimentare 1,3 milioni di persone in Mali, 2 milioni in Niger e oltre 2 milioni in Burkina Faso. Inoltre, è cresciuto anche il numero degli sfollati, che è quadruplicato in tutto il Sahel centrale con picchi che hanno raggiunto 780.000 persone rispetto al mezzo milione dell’inizio anno solo in Burkina Faso. Queste comunità sono state costrette ad abbandonare le proprie case per le violenze degli estremisti ed ora fanno affidamento quasi completamente sull’assistenza esterna per sopravvivere. È quanto rileva una nuova verifica congiunta sulla sicurezza alimentare pubblicata lo scorso aprile da una serie di agenzie partner tra cui il Programma alimentare mondiale (Pam).

A suscitare preoccupazione sono anche i dati riguardanti i bambini, dal momento che i tassi di malnutrizione nel Sahel sono tra i più alti al mondo. Secondo il Rapporto globale sulle crisi alimentari 2020, circa 2.5 milioni di bambini, oltre un quarto della popolazione in Burkina Faso, Mali e Niger, soffrono di malnutrizione acuta grave e il quadro è destinato a peggiorare a causa dell’aumento dei conflitti a cui si aggiungono i cambiamenti climatici e l’interruzione del commercio in questi mesi di lockdown. Il numero di bambini che l’Unicef stima avranno bisogno di assistenza umanitaria nel corso del 2020 è aumentato dell’80 per cento rispetto ai circa 1.2 milioni dello scorso anno. Il covid-19 ha aggravato una situazione già critica aggiungendo ulteriori rischi ai diritti e alla sicurezza di milioni di minori già intrappolati in una o più crisi umanitarie. Le conseguenze sull’istruzione risultano molto pesanti in quanto circa 12 milioni di studenti non hanno potuto frequentare le lezioni a causa della chiusura delle scuole per limitare la diffusione del coronavirus.

Le problematiche che attanagliano questa zona del mondo spesso dimenticata hanno sempre suscitato la preoccupazione della Santa Sede. Già San Giovanni Paolo II, il 10 maggio 1980 in Burkina Faso, in un’omelia rimasta storica, lanciò un appello solenne a tutto il mondo, «a non chiudere gli occhi» davanti alla tragedia che si consuma ogni anno nella regione del Sahel, invitando tutti ad «ascoltare solo la voce della giustizia e della carità, e non quella dell’egoismo individuale e collettivo». A tale proposito, risultano sempre attuali le sue parole: «Levo supplicando la voce perché non posso tacere mentre i miei fratelli e sorelle sono in pericolo. Io sono qui la voce di quelli che non hanno voce: la voce degli innocenti morti perché non avevano acqua e pane; la voce dei padri e delle madri che hanno visto morire i loro figli senza capire, o che vedranno sempre nei loro figli le conseguenze della fame patita; la voce delle future generazioni le quali non devono più vivere con la terribile incombente minaccia sulla loro esistenza». Le sue parole attivarono una grande ondata di solidarietà e la prima pietra tangibile fu la creazione della Fondation Jean-Paul II pour le Sahel. La Fondazione recentemente ha stretto una più stretta collaborazione con la Fao nell’ambito del Global Framework for Action to Cope with Water Scarcity in Agriculture, per farsi protagonista attiva di quella sollecitudine per i più piccoli tipica che risponde alla vocazione della Chiesa, ma al tempo stesso, in spirito di collaborazione con l’agenzia delle Nazioni Unite.

L’Ocades (Caritas del Burkina Faso e Niger) nell’anno 2019 è intervenuta non solo per portare sollievo alle centinaia di migliaia di sfollati, ma anche per continuare quell’opera di promozione capillare dell’agricoltura che nel Sahel rappresenta, purtroppo, ancora la sola forma di economia di sussistenza per milioni di persone, talora in conflitto con un’altra forma di economia di sussistenza, l’allevamento negli immensi e aridi spazi aperti. L’Ocades non solo affianca i nuclei familiari che si dedicano all’agricoltura, ma si sforza soprattutto di promuoverne le tecniche di produzione tramite la formazione, così come d’introdurre forme di promozione del commercio locale dei prodotti ottenuti: in tale quadro sono stati firmati protocolli di accompagnamento degli agricoltori con sedici province. Inoltre la Chiesa si sforza di introdurre un quadro di approccio alla natura secondo il magistero della Laudato si’, e così le tecniche avviate si caratterizzano per il rispetto del ciclo naturale (ad esempio sono stati realizzati quasi ottocento siti di compostaggio e sono state tenute sessioni di formazione sulle tecniche sostenibili per poco meno di mille agricoltori). Si tenga poi presente, che in forma complementare, l’Ocades interviene con i partner tecnici e finanziari cattolici, nell’ambito dell’acqua e dell’energia. Grazie alla presenza capillare, la Chiesa del Burkina Faso e del Niger, solo l’anno scorso — anche grazie al generoso sostegno dei finanziatori — ha potuto accompagnare 24.742 beneficiari diretti, di cui 12.812 uomini e 11.975 donne (perché occorre ricordare che in questi Paesi è ancora la donna che coltiva per sostenere la famiglia).

Anche Papa Francesco ha sempre avuto a cuore le difficili situazioni che questi Paesi si trovano ad affrontare e, proprio nel Regina Caeli del 10 maggio scorso, ha espresso solidarietà per il Sahel provato dalla siccità ricordando l’iniziativa Laudato si’ Alberi il cui obiettivo è piantare nella regione almeno un milione di alberi che andranno a far parte della Grande muraglia verde d’Africa. Quest’ultima è un tentativo per contrastare gli effetti dell’intervento dell’uomo sulla natura che, attraverso la desertificazione e il degrado delle terre, porta notevoli danni alla popolazione locale. Addirittura egli definì, nell’Enciclica Laudato si’, la desertificazione del suolo «quasi come una malattia fisica, che colpisce ciascuno e richiede quindi il conforto degli altri» (n. 89). In questi ultimi mesi del 2020, il successore di Pietro ha dedicato profonde riflessioni alla crisi del coronavirus che sta avendo effetti nefasti sulle popolazioni più deboli, e i suoi pensieri sono stati raccolti in un volume intitolato La vita dopo la pandemia. In questa pubblicazione, il Vescovo di Roma guarda al futuro dell’umanità con amore e speranza, esortando tutti a mettere da parte la competizione e l’egoismo degli interessi particolari, ad eliminare disuguaglianze e ingiustizie per riconoscersi come membri di un’unica famiglia umana. La pandemia ci ha dimostrato la nostra interconnessione nella vulnerabilità ed è pertanto necessario dare inizio ad una nuova era di solidarietà che ci permetta di affrontare in futuro minacce di questo tipo con effetti più duraturi. Quanto accaduto in questi ultimi mesi rimarrà «una lezione che romperà tutto il fatalismo in cui ci eravamo immersi e ci permetterà di sentirci nuovamente artefici e protagonisti di una storia comune e, così, rispondere insieme a tanti mali che affliggono milioni di persone in tutto il mondo. Non possiamo permetterci di scrivere la storia presente e futura voltando le spalle alla sofferenza di tanti. Saremo capaci di agire responsabilmente di fronte alla fame che patiscono tanti, sapendo che c’è cibo per tutti? La globalizzazione dell’indifferenza continuerà a minacciare e a tentare il nostro cammino… Che ci trovi con gli anticorpi necessari della giustizia, della carità e della solidarietà» (Papa Francesco, Piano per risorgere, Rivista «Vida Nueva», aprile 2020).

di Fernando Chica Arellano