Effetti musicali

Quando si inarca il sopracciglio

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25 agosto 2020

Il nesso tra note ed emozioni


Sulla spinta del pensiero cartesiano, Charles Le Brun, il pittore di corte di Luigi XIV, si interrogò, scrisse e disegnò del rapporto che intercorre tra il viso ed un’emozione, di come cioè il viso trasformi i propri lineamenti, lasciandosi modellare dalle emozioni che prendono vita in esso. Nel suo Le figure delle passioni. Conferenze sull’espressione e la fisionomia, riconosceva nel sopracciglio, come peraltro accade nella cultura cinese, la parte del viso in cui le emozioni si fanno conoscere meglio. Progettò così quarantuno maschere delle emozioni, semplici e composte, nelle quali i cambiamenti psicologici si imprimono nelle varie sfumature che assume il movimento degli archi sopraccigliari. Il volto racconta le emozioni che viviamo e lo fa, quasi sempre, cogliendoci alla sprovvista.

Immaginiamo per un attimo di trovarci in un teatro durante un concerto sinfonico. L’orchestra esegue la quinta di Beethoven, con il suo celebre e perentorio attacco. Seduti al nostro posto, potremmo cercare di fermare lo sguardo sul volto degli orchestrali mentre suonano. Vedremmo il loro volto descrivere la musica che stanno suonando, piegarsi, ritrarsi, sciogliersi ed irrigidirsi riproducendo il fluire delle note. Se poi avessimo la possibilità di alzarci dal nostro posto, senza essere notati da nessuno, e di posizionarci di fronte alla platea, ci accorgeremmo che anche i volti degli spettatori sono tutt’altro che rigidi. La musica entra in loro e il loro volto risponde, esibendosi in un parallelo concerto di cenni, movimenti, variazioni in cui si leggono le emozioni musicali che li attraversano.

La musica è, più di ogni altro, il linguaggio delle emozioni. Ascoltando un brano possiamo certamente ricavarne un piacere intellettuale, apprezzarne la tecnica di scrittura, quella dei musicisti e la qualità del suono; ma la vera gioia, quasi un piacere ineffabile, la avvertiamo quando in noi, in maniera improvvisa e sorprendente, si accendono e divampano le emozioni più disparate. È la musica a regalarcele, a farci perdere il controllo, a irrompere in noi abbattendo tutte le nostre barriere, facendo germogliare questa o quell’emozione. Come un’onda, essa si abbatte in noi e modifica il nostro stato d’animo. E quando si ritrae, quando la musica è finita, nulla è uguale a prima.

Non è semplice capire cosa sia un’emozione, come nasca in noi, e che ruolo abbia nella nostra vita, soprattutto oggi che le emozioni entrano quotidianamente nel dibattito, spesso in maniera riduttiva e semplicistica.

Alcune espressioni di uso ricorrente come, ad esempio, essere «sopraffatti dall’ira», essere «sorpresi dalla gioia», essersi «presi una cotta», suggerirebbero che le emozioni siano qualcosa di esterno, qualcosa che da fuori entra in noi, esattamente come l’immagine dell’onda che abbiamo usato in precedenza. Qualcosa che da fuori colpisce l’uomo e lo trasforma. Secondo questa visione, che trova riscontro già in Omero, l’uomo è abbandonato in balia delle emozioni che lo assalgono. Già con Aristotele, però, ci si rende conto che la dimensione emotiva e quella cognitiva sono inseparabili, che l’uomo può intervenire sulle emozioni e che esse nascono dall’interno di esso. Di fronte ad un leone l’emozione della paura nasce, per Aristotele, dall’immaginazione del potenziale morso che potrebbe infliggermi. Ma, per assurdo, se io fossi cresciuto fin da bambino tra i leoni, e ne avessi un’esperienza positiva, la paura in me potrebbe anche non sorgere.

Agostino, da parte sua, suggerisce il fatto che le emozioni, e tutte le inclinazioni, sono sempre poste sotto il controllo della volontà, e sono positive solo se quest’ultima è rettamente indirizzata al divino.

Ci vorrà Cartesio per definire quell’antitesi tra ragione ed emozione che ancor oggi pare essere dominante, quando parliamo di queste ultime. Se il dito di una persona che sappiamo essere un amico — spiega Cartesio — si avvicina al nostro occhio, il nostro corpo reagirà, con un sentimento di paura, strizzando le palpebre. La nostra mente, in questo caso, servirà a poco, non potrà evitare questa reazione istintiva.

Con l’Illuminismo, questo divario tra ragione ed emozioni si amplierà ancor di più, e queste ultime verranno viste sempre più con sospetto, perché in grado di offuscare la prima e di farle perdere il controllo. «Il sentimento di piacere o di dispiacere in atto che impedisce al soggetto di riflettere (se debba o no lasciarsi andare) è l’emozione», spiega Immanuel Kant. Essa ha un carattere improvviso e incontrollabile.

Nel 2015, prodotto da Pixar, esce nelle sale cinematografiche Inside out. Realizzato da Pete Docter, papà di altri capolavori dell’animazione come Up, Monster & Co., Wall-e. Questo lungometraggio racconta la storia della piccola Riley, bambina del Minnesota che si trasferisce a San Francisco con la famiglia. Il trauma di questo spostamento, attiva nella piccola un’esplosione di emozioni contrastanti. Gran parte del film è ambientato nel suo cervello, dove le emozioni — Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia —, veri e propri personaggi animati, indirizzano gli stati d’animo da una plancia di comando, reagendo secondo la loro natura agli stimoli esterni di questo momento così delicato per la piccola. 

Per realizzare questo lavoro Docter si è avvalso della consulenza di Paul Ekman, vero e proprio luminare in materia di studio delle emozioni e di espressioni microfacciali. Ekman è famoso per la sua teoria sulle emozioni base. Le emozioni si dividerebbero in primarie (base) e secondarie. Le prime sono sette (felicità, paura, rabbia, disgusto, tristezza, disprezzo, sorpresa) e sono universali, cioè si manifestano nello stesso modo — attraverso la postura del corpo, l’inflessione della voce e le reazioni del viso —, indipendentemente dalla cultura di provenienza. Le emozioni secondarie invece (come ad esempio la vergogna, il senso di colpa e la nostalgia), variano a seconda della personalità, della cultura di provenienza e del grado di sviluppo della persona.

Le reazioni fisiche che descrivono un’emozione, per Ekman, sono figlie dei processi evolutivi e servono a comunicare agli altri dei messaggi specifici, quello che stiamo provando, o permettono di preservare la nostra incolumità fisica. Sono presenti in tutto ciò che facciamo e colorano le nostre vite in maniera specialissima, permettendo di sentirci vivi, qui e ora. Per questo andiamo alla ricerca di emozioni, ad esempio guardando un film o ascoltando un brano musicale. In questa prospettiva le emozioni non sono completamente controllabili, sorgono improvvise. Non vorremmo arrabbiarci, eppure accade, senza che possiamo farci nulla. Possiamo, però, educarci a modularne l’intensità, imparando a riconoscere quali sono le cause che provocano determinate emozioni in noi.

Quando diciamo, dunque, che la musica è uno strumento privilegiato per far nascere in noi delle emozioni, non stiamo sminuendo questo linguaggio, quasi fosse un mezzo di comunicazione melenso e sdolcinato. Tutt’altro.

Stiamo dicendo che la sua potenza, capace di trasformare l’uomo, anche contro la propria volontà, risiede proprio in questa particolarissima, e unica, attitudine a far scaturire in noi reazioni impreviste, di cui non possediamo completamente il controllo. Di suscitare in noi, di volta in volta, gioia, tristezza, paura, consolazione e di farci sentire vivi, e unici, proprio perché quelle note generano quel particolare colore emozionale.

Il compositore quindi, organizzando le note nel tempo, impara l’arte di creare emozioni in chi ascolta. I più grandi riescono a regalare percorsi emozionali magistrali capaci di proiettarci in un al di là di bellezza che rimarrà sempre nella nostra memoria.

di Cristian Carrara