L’ultimo libro di Gaetano Piccolo, «Nascere di nuovo. Un itinerario di guarigione»

Per non inciampare nella coperta di Linus

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04 agosto 2020

Scava nella coscienza, interrogandola e scuotendola, l’illuminante libro di Gaetano Piccolo Nascere di nuovo. Un itinerario di guarigione (Milano, Edizioni Paoline, 2020, pagine 122, euro 8), dedicato alle persone che si sentono bloccate e sfiduciate, ma che, al contempo, non si arrendono e vogliono cominciare di nuovo a camminare. Gesuita, l’autore — che insegna Metafisica presso la Pontificia Università Gregoriana — sottolinea, nell’introduzione, che per avviare un itinerario che porti a prendere decisioni nella vita, «occorre creare le condizioni». Il libro mira a rispondere proprio a questa esigenza che riveste un’importanza nevralgica. «Ognuno di noi — scrive Piccolo — si porta dietro inevitabilmente una storia ferita, eppure possiamo riprendere in mano la nostra storia e ricominciare a camminare. Ogni cammino in fondo è un invito a non rimanere attaccati al proprio lettuccio di malattia e di lamento. Il Vangelo ci annuncia una buona notizia: la vita può ricominciare, possiamo sempre nascere di nuovo».

Nel comporre questo libro Piccolo è stato accompagnato e coadiuvato dalla lettura di Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro, che racconta un evento tra i più duri che un genitore possa sperimentare: la perdita di una figlia piccola. E a quel punto l’esistenza rischia di perdere senso. La madre, Luisa, rasenta la follia, non riuscendo nel frattempo a gestire quel dolore, a domarlo per poi ripartire. Arriva a sentire Dio come un mostro che ha rovinato la sua vita. Eppure la speranza riesce a trovare un pertugio in quel manto opprimente di disperazione, fino a toccarle il cuore. Quanto mai calzante, in merito, è la citazione di un passo del romanzo a cui rimanda Piccolo: «Sappi che nel Libro del tuo Destino una pagina s chiude, un’altra si apre. Vi è ancora in te un avvenire di vita intensa; il dramma, che tu credevi finito al secondo atto, continua e dev’essere straordinario se Io te lo annuncio».

La prima tappa del cammino che porterà alla guarigione consiste nel dare un nome al nostro presente, alla situazione che stiamo vivendo. Una guarigione che richiede la disponibilità al cambiamento, ma, rileva l’autore, non sempre si è pronti a cambiare. Si tende infatti ad avvertire una resistenza. E anche se volessimo cambiare, «ci sembra di non averne le forze». Quando non riusciamo a cambiare laddove lo desideriamo, dovremo chiederci se lo desideriamo davvero. «Anzi — evidenzia Piccolo — se fossimo onesti, potremmo anche chiederci cosa ci guadagniamo in realtà se non cambiamo. Dietro la resistenza al cambiamento c’è sempre un subdolo e sotterraneo piacere che intravediamo e che non siamo disposti ad abbandonare».

Può darsi che ce ne siamo andati dalla nostra casa perché abbiamo intravisto qualche crepa più o meno profonda. Eppure sappiamo bene che ogni struttura richiede manutenzione. «Le crepe — esorta Piccolo — non ci devono né sorprendere né spaventare, perché fanno parte della nostra esistenza che si estende nel tempo. Questo primo passo verso la guarigione consiste dunque anche nel tornare nella propria casa e fare il punto della situazione. Occorre girare bene nei vari spazi per riconoscere dove si sono aperte le brecce, dove è caduto l’intonaco, cosa occorre riparare».

Rileva acutamente l’autore che a volte quello che ci impedisce di camminare sono proprio le nostre sicurezze. «Siamo tutti un po’ come Linus, l’amico di Charlie Brown — scrive —, che si trascina dietro una copertina da cui non riesce a staccarsi. Linus non cresce mai, perché è paradossalmente bloccato da quelle che sembrano le sue sicurezze». Una copertina trascinata, proprio come a volte si trascina la vita. Quella copertina è una sicurezza in cui, però «si può inciampare. Nel Vangelo — osserva Piccolo — c’è un personaggio che un po’ somiglia a Linus, ma che, al contrario, riesce a liberarsi dalla sua coperta e riesce a cambiare: è il cieco Bartimeo, il quale si porta dietro un mantello, ovvero la sua unica sicurezza. È un mendicante e non ha altro. Vive in completa solitudine: sembra che nessuno incroci mai la sua strada. L’unica cosa che sa fare è chiedere e nel farlo addirittura grida. E siccome nessun grido rimane inascoltato davanti a Dio, Gesù si ferma. È questa l’azione che salva Bartimeo. Egli non desiderava proprio questo: che qualcuno si fermasse davanti a lui. «Nel momento in cui Gesù si ferma, Bartimeo è già guarito, si sente riconosciuto, visto, ascoltato — scrive Piccolo —. È il profondo desiderio che tutti ci portiamo nel cuore. E infatti, quando Gesù si ferma, Bartimeo, a differenza di Linus, getta via il mantello e si mette in piedi. Finalmente risorge dalle sue situazioni di morte. Solo quando buttiamo via le nostre false sicurezze possiamo ricominciare a vivere e possiamo esprimere davanti a Dio quello che ci sta veramente a cuore».

Spesso si riscontra la tendenza a rimandare il cambiamento e «a furia di metterci una pietra sopra, finiamo sepolti sotto un cumulo di macerie». Ammonisce Piccolo che fare finta di niente o pensare che c’è chi sta peggio ci costringe semplicemente a rimanere dentro il sepolcro che ci siamo scavati o dentro cui la vita ci ha messi. Ci sono i sepolcri che gli altri ci scavano intorno «quando, con la loro indifferenza, uccidono le nostre speranze». Questo fatto però non deve rappresentare una sorta di alibi poiché «ci sono anche sepolcri nei quali noi ci buttiamo per paure di affrontare la vita» sottolinea l’autore, osservando che «ci addormentiamo per non vedere e così la via si spegne e diventa, appunto, una tomba».

La riflessione dell’autore acquista ulteriore profondità nel richiamarsi costantemente agli episodi raccontati nel Vangelo, così da conferire una chiara esemplificazione e un potente suggello alle dinamiche umane che via via vengono esposte ed analizzate nel libro. Nel trattare il tema della maschera e quindi della questione relativa alla recita che ciascuno di noi sostiene nella propria vita, Piccolo ricorda che anche nel Vangelo Gesù ci invita molte volte a prendere consapevolezza del copione che stiamo recitando. In particolare l’evangelista Luca ama mettere i personaggi uno di fronte all’altro, come in un dittico nel quale ciascuno può prendere consapevolezza di sé nel confronto con l’altro. È il caso del fariseo e del pubblicano che salgono al tempio. Il fariseo prega ripetendo la parola “Io”, fino a mettersi al posto di Dio. Al contrario il pubblicano riconosce il suo limite e per questo se ne va giustificato, cioè liberato da una falsa immagine di sé. Il fariseo, invece, se ne va ancora sotto il peso della maschera di perfezione che si ostina a portare.

«C’è sempre un’età di mezzo — scrive Piccolo — un momento della vita in cui decidi di chiudere un capitolo e di cominciare a scriverne un altro. E in genere dietro al desidero di un nuovo inizio c’è la consapevolezza che è ormai tempo di amare in un modo diverso. In fondo è proprio questo desiderio che ci fa passare da un’età all’altra della vita». In questo scenario spicca, calzante, la figura di Nicodemo, di cui parla il vangelo di Giovanni. Con la sua inquietudine e con le sue domande sembra proprio rappresentare l’esempio di chi sta tentando di scrivere un nuovo capitolo nella sua vita. Nicodemo è un fariseo, ma nonostante ciò non è irrigidito nella sua conoscenza della Legge. È rimasto un uomo curioso, che si interroga, un uomo che non dà le cose per scontato. «E proprio questa è la molla del cambiamento», sottolinea l’autore, ricordando che, non a caso, l’evangelista Giovanni ci farà notare che quell’inquieto e incerto Nicodemo sarà alla fine tra i discepoli di Gesù, dopo un cammino di trasformazione avvenuto dentro di lui.

Nella chiusa Piccolo scrive: «So bene che nessuna conclusione è possibile, ma solo un congedo. Vorrei essere stato tuo compagno di cammino per dirti che, in fondo, non siamo mai soli, ma ci sono tanti altri che condividono con noi i passi che stiamo cercando di compiere ». Nel ricordare che la vita non procede mai in maniera lineare, l’autore richiama l’importanza di riconoscere nel cammino spirituale un’opportunità per essere vigilanti. «Ciò che conta — evidenzia — è non rimanere fermi e sapere che un nuovo cammino è sempre possibile. Non importa dove ci siamo persi o incagliati, la buona notizia è che possiamo ricominciare, possiamo sempre nascere di nuovo».

di Gabriele Nicolò