Riprodotto per la prima volta in edizione facsimilare il «Quaderno C» di Goya

Paladino dei poveri e degli emarginati

«La stessa»
12 agosto 2020

Costituisce una delle testimonianze più significative della storia dell’arte: è il Quaderno C che comprende più di cento disegni realizzati da Francisco de Goya. Ora, grazie alla fruttuosa collaborazione tra la casa editrice Skira e il Museo del Prado di Madrid vede la luce un’opera (Milano, 2020, pagine 288, euro 39) che è la riproduzione fedele di questo prezioso documento, realizzato in un arco di tempo compreso tra gli anni della guerra di indipendenza e quelle successivi della repressione (1808-1820). Si tratta di un’importante iniziativa editoriale perché per la prima volta viene riprodotto in edizione facsimilare l’unico album giunto a noi integralmente. È pubblicato in cinque edizioni: italiana, spagnola, francese, tedesca e inglese.

Il Quaderno C era originariamente costituito da 133 o più fogli, poiché l’ultimo disegno numerato moto è il 133. Il Museo del Prado ha conservato, dal 1872, 120 disegni, arrivati in un album del Museo de la Trinidad. Almeno 13, che devono essere stati separati dagli altri intorno al 1860, sono quindi mancanti dalla collezione del Prado. I fogli sono disegnati solo sul recto, ma la sottigliezza del materiale e l’intensità degli inchiostri fa sì che in molti casi la composizione traspaia anche sul verso. Dal punto di vista formale vi si delinea una sorta di ritorno alla sobrietà rispetto alle creature caricaturali di una sua precedente produzione e l’autore si concentrò sulla rappresentazione apparentemente realistica della figura umana. Nella sua evoluzione tecnica, Goya cominciò a servirsi di un guazzo (un tipo particolare di colore a tempera) più asciutto — al punto che si riesce a scorgere la traccia lasciata dai peli del pennello sulla superficie ruvida della carta vergata — ma continuò a lavorare nel suo modo caratteristico, sovrapponendo gli strati come si fa in pittura, partendo da un tenue accenno dei contorni a matita nera e proseguendo con l’applicazione di gradazioni di varia intensità, prima chiare e poi scure.

L’opera offre una visione al contempo lucida e inquietante della società spagnola dell’epoca: scene di vita quotidiana segnate dalla povertà, prigionieri dell’Inquisizione, testimonianze di crudeltà nelle prigioni, visioni del mondo collocate in una prospettiva onirica. Un altro gruppo di disegni mostra le tristi conseguenze della confisca dei beni ecclesiastici che portò alla chiusura di numerosi monasteri e conventi, costringendo monaci e monache a rinunciare ai loro voti e a iniziare una nuova vita lontano dalla loro naturale vocazione. Libertà, ragione e giustizia sono poi i soggetti di un ulteriore gruppo di disegni che testimoniano le speranze di Goya per la politica di riforme del cosiddetto Triennio Liberale (1820-1823).

«Osservando i vari disegni è talvolta difficile definite il confine tra reale e immaginario — scrive nel suo saggio José Manuel Matilla, storico dell’arte e curatore senior del dipartimento di disegni e stampe del Museo del Prado —. In molti casi sembra in effetti di poter affermare che tale limite non esiste. Poveri, storpi, pazzi, deformi popolano le prime pagine e testimoniano la realtà della Spagna dell’epoca». Lo studioso ricorda che è stato ipotizzato che il Quaderno C fosse una sorta di “diario grafico” in cui Goya illustrava tutte le sue preoccupazioni, in particolare quelle riguardanti il destino degli individui più miseri ed emarginati, coloro che «subivano le conseguenze economiche, sociali e politiche del dopoguerra, le vittime delle circostanze con le quali l’artista ormai anziano, sorto e in una situazione finanziaria e politica precaria a causa delle proprie idee, poteva in gran misura identificarsi».

Nello strazio che pervade questi fogli si specchia la sofferenza personale dell’artista, e il pessimismo che emerge dai disegni è quello di un uomo profondamente disgustato e offeso da ciò che lo circonda. «Queste prove — sottolinea José Manuel Matilla — esigono un osservatore-lettore attivo, che mediti sulla loro composizione e sul loro significato. Le didascalie di pugno dell’autore, che spesso fungono da titolo o da commento alle varie immagini, sono rivelatrici, perché il doppio senso su cui giocano invita a riflettere sulla reale intenzione che le anima. In questo senso — spiega lo studioso — la parola e l’immagine formano un insieme indissolubile e vanno recepite all’unisono. Spesso, inoltre, le parole costruiscono un trait d’union tra i vari disegni, concatenano opere che acquisiscono il loro effettivo significato quando vengono “lette” in successione, come le pagine di un libro. Solo così è possibile cogliere le sequenze e i gruppi tematici concepiti da Goya nel corso dell’elaborazione del Quaderno C».

Questo documento serve anche a ricordare che Goya — celebre tra i contemporanei per i ritratti di sovrani, aristocratici e personaggi di spicco della cultura — è stato anche un prolifico disegnatore. In tale cimento l’artista seppe ignorare le convenzioni ed esprimersi dunque senza alcuna autocensura, evitando di conformarsi al protocollo, stantio e penalizzante, cui era vincolato nelle opere destinate ad essere esposte in pubblico. Nei suoi quaderni l’autore superò i limiti della realtà e si abbandonò a fantasiose trasfigurazioni del mondo che lo circonda. In essi affiora dunque la sua arte più personale, quella che si nutre dell’esperienza per tramutarsi, attraverso l’immaginazione, in creazione intellettuale. Goya molto spesso si mostrò critico nei confronti degli aspetti più riprovevoli del comportamento umano, l’irrazionalità, la violenza, la fragilità dei deboli e la prepotenza dei forti, dimostrando una sensibilità acuta e penetrante che si carica di una dimensione etica di eccelsa levatura.

di Gabriele Nicolò