LABORATORIO - DOPO LA PANDEMIA
L’appello per l’Africa di un centinaio di intellettuali

Ora o mai più

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05 agosto 2020

Il coronavirus è una sciagura per l’Africa. Non solo dal punto di vista sanitario, ma anche per i suoi drammatici effetti collaterali. I numeri confermano quello che era già facile immaginare all’inizio della pandemia. La Banca mondiale (Bm), ad esempio, prevede che l’economia continentale possa subire una contrazione compresa all’interno di una forbice tra il -2,1 e il -5,1 per cento, precisando che si tratterebbe della «prima recessione nel corso degli ultimi 25 anni». Sempre secondo la Bm, la recessione del 2020 aumenterà con ogni probabilità il tasso di povertà dell’Africa sub-sahariana di almeno due punti percentuali, riportando il continente ai livelli di povertà del 2015 e cancellando cinque anni di progressi. Come se non bastasse, il famigerato covid-19 sta mettendo a repentaglio la sicurezza alimentare: le previsioni infatti indicano che la produzione agricola potrebbe contrarsi tra il 2,6 per cento in uno scenario ottimistico e fino al 7 qualora fossero procrastinati i blocchi commerciali. Di fronte a queste sfide che interpellano il consesso delle nazioni, non è lecito stare alla finestra a guardare. A pensarla così è un centinaio di intellettuali e accademici africani che hanno preso, per così dire, penna e calamaio per redigere una lettera aperta, indirizzata ai loro capi di Stato e all’opinione pubblica in generale. Fin dalle prime battute il testo della missiva è diretto ed esplicito. «La situazione è critica. Non si tratta di fermare un’altra crisi umanitaria “africana”, ma di contenere gli effetti di un virus che sta scuotendo l’ordine del mondo, mettendo in discussione le basi della vita comune». Ciò che sorprende, leggendo la missiva — che ha come primo firmatario il premio Nobel Wole Soyinka e altre eccellenze africane tra cui lo scrittore senegalese Boubacar Boris Diop e la poetessa ivoriana Véronique Tadjo — non è solo la grande lucidità nell’interpretare i segni dei tempi, ma anche e soprattutto la capacità di indirizzare alle classi dirigenti africane e alla società civile nelle sue molteplici articolazioni un messaggio straordinariamente profetico. Leggendo il testo da cima a fondo si ha la netta impressione che s’intenda richiamare chiunque ad una decisa assunzione di responsabilità nei confronti della Casa comune di cui ha scritto ampiamente Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’. D’altronde il coronavirus ha messo a nudo i limiti dell’attuale modello di sviluppo, evidenziando le distorsioni di una crescita non sostenibile, di un mondo pesantemente segnato dall’esclusione sociale e dunque diviso tra una minoranza che vive nel benessere e le masse impoverite nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo. Ecco il motivo per cui il messaggio degli intellettuali e degli accademici africani va ben al di là dell’urgenza sanitaria imposta dalla pandemia che peraltro, in Africa, è l’ultima di una lunga serie. A parte le tre “big ones” che sono aids, malaria e tubercolosi, il continente in questi anni ha visto di tutto: dalle malattie tropicali neglette alla piaga di ebola. La convinzione dei firmatari è che «L’Africa deve svegliarsi e riprendere in mano il proprio destino, alla luce delle enormi risorse materiali e umane di cui dispone. Le diverse forme di resilienza e creatività messe in campo in questi giorni da tanti giovani scienziati e ricercatori africani sono la prova delle enormi potenzialità del nostro continente». Ma questo non basta: bisognerebbe concentrarsi, si legge nel documento «sulla reale urgenza, che è quella di riformare le politiche pubbliche, di farle lavorare a favore delle popolazioni africane e secondo le priorità africane. In breve: è imperativo evidenziare il valore di ogni essere umano, indipendentemente dal suo status, andando oltre logiche di profitto, dominio o presa di potere». Proprio per questo motivo gli intellettuali e accademici africani invocano un cambio di paradigma, nella consapevolezza che occorre guardare alla crisi causata dalla pandemia del coronavirus come un’opportunità per stimolare un «cambiamento radicale». «La sfida con cui siamo chiamati a misurarci — si legge nel passaggio conclusivo della missiva — non è altro che il ripristino della libertà intellettuale e della creatività del continente: in assenza di queste, qualsiasi discorso sulla sovranità si rivela inconcepibile. La sfida è rompere con l’outsourcing delle nostre prerogative sovrane, riconnetterci con configurazioni locali, abbandonare l’imitazione sterile, adattare la scienza, la tecnologia e la ricerca al nostro contesto, ridisegnando le istituzioni sulla base delle nostre specificità e delle nostre risorse, adottando un quadro di governance inclusivo e uno sviluppo endogeno, per creare valore qui, al fine di ridurre la nostra dipendenza sistemica». Parole cariche di significati che invocano l’agognato cambiamento, mettendo in evidenza la distanza che si percepisce tra le classi dirigenti al potere e i cittadini i quali vengono spesso penalizzati nel contesto di politiche predatorie, finalizzate allo spoglio delle risorse naturali da parte di multinazionali e gruppi finanziari. In questa prospettiva «i leader africani — si legge ancora nella lettera aperta — possono e devono proporre alle loro società una nuova idea politica dell’Africa: è una questione di sopravvivenza e non di “prosperità retorica”. Sono necessarie serie riflessioni sul funzionamento delle istituzioni statali, sulla funzione stessa dello Stato e sulle norme giuridiche che distribuiscono i poteri e definiscono il loro equilibrio. Possiamo ottenere di più se partiamo da idee rispondenti alle realtà in tutto il continente. La realizzazione della seconda ondata della nostra indipendenza politica dipenderà dalla creatività politica e dalla nostra capacità di assumerci la responsabilità del nostro destino comune». La professoressa Amy Niang, una delle promotrici dell’iniziativa epistolare, docente presso il Dipartimento di relazioni internazionali dell’Università di Witwatersrand a Johannesburg, in Sud Africa, in un’intervista all’emittente televisiva Al Jazeera, ha dichiarato: «Nell’appello, esortiamo i leader africani a pensare anche al di là dell’attuale crisi come sintomo di profondi problemi strutturali che l’Africa deve affrontare per diventare un giorno sovrana e attore che contribuisce al nuovo ordine globale». Il messaggio è chiaro e ben motivato perché l’Africa, per chi davvero la conosce e l’ama, da meridione a settentrione, da oriente ad occidente, dispone di straordinarie risorse umane e materiali in grado di promuovere un benessere condiviso su base egualitaria e nel rispetto della dignità personale. La missiva si conclude con un imperativo a dir poco eloquente: «Non abbiamo più scelta: abbiamo bisogno di un radicale cambio di direzione. Ora è il momento!».

di Giulio Albanese